I mestieri nel cinema e una nuova cultura del lavoro
Che il lavoro non sia più un tema centrale nella società contemporanea lo confermano anche i film. Guardavo in TV The Butler con Forrest Witacker, dedicato al maggiordomo nero della Casa Bianca che poi ricevette da Obama la Medal of Freedom. Un film apparentemente dedicato alla questione razziale americana, ai diritti civili e in parte ai drammi familiari. Ciò che invece regge tutta la vita del protagonista ed anche il film in realtà, perché li vi sono le sequenze migliori, è proprio il mestiere del maggiordomo, tanto che ad un certo punto un ipotetico Martin Luther King spiega al figlio attivista del maggiordomo che proprio la straordinaria efficienza lavorativa del padre, in apparenza al servizio dei bianchi è uno imprescindibile strumento di emancipazione. Le sequenze in cui l'uomo impara il mestiere da ragazzo e diventa il migliore, prende la retta via e si dedica con passione a raggiungere il massimo della efficienza sono quelle veramente memorabili del film. Ecco, quel film sarebbe dovuto essere dedicato solo al lavoro e non a tutti gli altri temi. Il cinema continua ad avere una capacità di condizionamento straordinaria, e se il cinema riprendesse a fare film su quanto è appagante fare bene un mestiere invece che inneggiare alla bella vita mantenuti nel cazzeggio farebbe un enorme servizio alla società.
Negli ultimi anni sono usciti altri film molto belli dove la perfetta e appassionata esecuzione di un mestiere viene magistralmente messa in scena eppure regolarmente scavalcata dalla solita storia d'amore, dal classico dramma della malattia, dei diritti sottratti e via discorrendo.
Ma nonostante gli sforzi del mainstream, chissà perché in tutti quei film la narrazione del mestiere mette KO quella degli altri temi ‘di moda’. Penso a Il Filo Nascosto con Daniel Day Lewis nei panni di un eccezionale sarto alle prese poi con un contorto rapporto matrimoniale, a Il Gusto delle Cose dove la cuoca Juliette Binoche nella prima mezz'ora del film prepara un pasto che è un capolavoro assoluto. Penso a Grand Budapest Hôte dove, se il film non fosse stato trasformato a forza in un giallo grottesco, avremmo avuto un coloratissimo affresco di quanto un lavoro può soddisfare una vita. Ve ne sono molti altri, tutti recenti e tutti con la medesima caratteristica: il lavoro è tenuto come trama sotterranea che deve cedere il passo ad altri temi sociali, e nonostante questo ispira le scene più belle.
Questo perché la concretezza del lavoro si impone per sua natura, e nonostante gli sforzi collettivi degli ultimi anni nel tentare di dimostrare che esso non deve essere centrale, che si può campare bene senza far nulla, che nel nostro futuro grazie alla tecnologia ci sarà solo sollazzo e filosofia, che ricevere un sussidio è più intelligente e dignitoso che farsi “sfruttare”, beh la pienezza di un lavoro ben fatto può dire ancora la sua eccome.
Tanto abbiamo detto negli ultimi due editoriali della centralità della laboriosità nella dimensione Ambrosiana e di come il turismo globale sta ponendo la rendita passiva al di sopra della produzione attiva, e di come troppe università sfornano laureati per mestieri immaginari che nella realtà non servono. Nella società del 900 il lavoro era il tema assoluto: a destra era la carriera e il miglioramento della propria condizione sociale e economica, a sinistra era il Tema senza se e senza ma, su cui si giocavano coscienza collettiva e mutuo soccorso , tanto che nell’URSS nelle prime tre massime onorificenze vi era proprio essere nominato “Eroe del Lavoro socialista”. Oggi lavoro significa per lo più quasi solo essere sfruttati se si è poveri o tempo sottratto a chissà quali avventure se si è ricchi, col risultato che in fondo poco importa che mestiere si fa perché tanto è inutile. E col risultato che i rampolli dei ricchi rammolliscono e quelli dei poveri sono depressi.
Chi scrive crede sempre più che assieme alle politiche occupazionale di cui tanto si parla occorra assolutamente recuperare repentinamente la cultura del lavoro, o nessuna politica occupazionale che non sia assistenziale avrà alcun successo.
(La foto del professor Martelli è di Daniele Mascolo)
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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