I vaccini, il futurismo e l’Italia “conservativista”.
Nel nostro archivio c’è un volumetto coi bordi neri e la copertina verde marmorizzata, redatto a mano con pennino, inchiostro al nerofumo e una grafia pignola d’altri tempi. E’uno dei tanti strumenti di corredo, si chiamano così, che servono a consultare gli archivi. Questo nella fattispecie è l’elenco delle affissioni, cioè dei manifesti affissi nel Comune di Milano fin dalla metà del 1800. Gran parte dei manifesti, fino al 1943, sono andati perduti durante i bombardamenti americani. L’occhio però mi è scivolato subito sulla voce “vaccinazioni obbligatorie” dal 1943 al 1957, anno in cui il volumetto verdastro si ferma: estratto dall’archivio il manifesto del 1957 vi si legge che il Sindaco rendo noto che le vaccinazioni annuali obbligatorie contro la difterite e il vaiolo, secondo la Legge del 6 giugno 1939, saranno iniettate a tutti i bambini di meno di 24 mesi presso alcune sedi del Comune, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 14.30 alle 16.30. I contravventori, si legge ancora, saranno deferiti all’autorità giudiziaria, mentre sono esclusi i bambini “deboli, tubercolitici, nefritici, cardiaci”.
Mi è stato inevitabile farne una impietosa quanto rapidissima disamina: “1957”, “obbligatorie”, “difterite e vaiolo”, “bambini”, “contravventori”, “esclusi”, sedi comunali e orari. Se penso al 2021 le parole diventano “covid”, “ultra settantacinquenni”, “effetti collaterali”, “portale”, “fuori servizio”, “io mi vaccino”, “volontaria”.
Non è un manifesto fascista, siamo nel 1957, in pieno inizio del boom economico e del miracolo italiano. Eppure l’obbligatorietà non solo è scontata, ma chi sgarra va alla gogna giudiziale. Si parla senza mezzi termini di esclusi, e senza giri di parole se ne indicano le motivazioni: una lista di problemi e patologie sciorinati senza fare troppi complimenti ai più sfortunati.
Il 1957 è l’anno dell’inizio dell’epidemia di influenza Asiatica, che in un paio di anni farà 4 milioni di morti in un mondo che aveva più o meno due miliardi e mezzo di abitanti: dell’Asiatica nemmeno un cenno. Si vaccina contro la difterite e il vaiolo… la prima nemmeno so cosa sia, il secondo lo conosco giusto perchè a Versailles ai rampolli della stirpe di San Luigi veniva inoculato da piccoli, sperando che non li falcidiasse da grandi: in effetti sul trono salivano addirittura i pronipoti del Re perché figli e nipoti vaiolosi non arrivavano a superare il Delfinato.
Non c’è un sito internet, né un link o un numero di telefono. C’è solo un orario di ufficio mattina e pomeriggio cinque giorni su sette, e l’indirizzo cui presentarsi, in Comune. Le differenze rispetto alla surreale campagna vaccinale in atto in Italia mi inchiodano ad un pensiero: siamo una società al capolinea? Nell’Italia forte, energica e in piena riscossa del boom non si intravede nessuna delle incertezze attuali, non solo organizzative, ma anche etiche o psicologiche. Quelle mediatiche nemmeno esistono, benché gli italiani di allora fossero forse più “teledipendenti” di oggi.
Quando Filippo Tommaso Marinetti scrisse il primo manifesto futurista, in francese, disse “Nous sommes pour les grandes ideés qui tuent”, noi siamo per le grandi-idee-che-uccidono. Un pittorucolo austro-bavarese coi baffetti, tagliati stretti per entrare nelle maschere antigas nel ’15-‘18, lo prese molto più sul serio del giornalista di Predappio che poi ne fu, disgraziatamente per noi, succube. La mentalità futurista, che in Italia è nata, paradossalmente in Italia non ha mai attecchito. Siamo strutturalmente conservativi: non buttiamo i nostri oggetti che accumuliamo per generazioni, non demoliamo i nostri edifici che piuttosto crollano da soli, abbiamo infiniti codici di conservazione del nostro patrimonio culturale molto più severi di ogni altro paese forse del mondo. E, se ci pensiamo, non ammettiamo nemmeno per un istante che i nostri anziani muoiano per una epidemia, anche a costo di chiedere il sacrificio dei più giovani. Eppure, quel manifesto del 1957 mi appare così futurista, quasi spietato, se lo rapporto a quanto vedo accadere oggi attorno al covid: mi ha fatto perfino venire alla mente Konrad Lorenz, il grande etologo dell’imprinting, quando annotava che le specie che sopravvivono sono quelle che più di altre proteggono i cuccioli e abbandonano gli esemplari vecchi. A volte cercare in archivio genera oscuri pensieri.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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