Il Campari, una storia tutta italiana di arte, aperitivi e pubblicità leader nel mondo
Personalmente non sono un amante dello Spritz, anzi lo trovo abbastanza deprecabile e meno ancora ne comprendo il fascino inarrestabile che oramai ne ha fatto il cocktail pare più bevuto nel mondo: perfino Madonna e Beckham si sono fatti immortalare sui loro social a bordo piscina nelle rispettive dimore con degli enormi bicchieroni della ormai virale bevanda arancione. Pare che l'origine dello “spritz” si debba ai soldati dell'Impero Austro-Ungarico di stanza nel Regno Lombardo-Veneto, che sembra avessero l’abitudine di allungare i vini locali con acqua gassata: insomma bisognerà pur ammettere che all’origine del tanto amato cocktail c’è uno dei peggiori sacrilegi di sempre e cioè allungare il vino con l’acqua…
Per la verità l’uso di allungare con acqua gli alcoolici è tipicamente militare: gli Inglesi alla conquista dei mari tropicali e dei deserti orientali solevano allungare con acqua gassata il Whisky per idratarsi e contemporaneamente tenere il morale un po' altro durante le marce, e dalla necessità di allungare il chinino con acqua e zucchero per poterlo assumere quale profilassi antimalarica nacque una delle bibite più apprezzate al mondo ( e soprattutto dal sottoscritto): l’Acqua Tonica, appunto perché tonico antimalarico. Le uniche due eccezioni che chi scrive ammette all’allungamento dell’alcool con l’acqua sono lo Zucca Seltz, notissimo Rabarbaro allungato con acqua gasata, e il Mint Julep, bevanda a base di zucchero, menta, Bourbon, ghiaccio e acqua di seltz: una boccata di Paradiso nei lunghissimi caldi afosi della Louisiana raccontati magistralmente da Tennessee Williams e che perfino James Bond sorseggia assieme al nemico Goldfinger nel suo Ranch del Kentucky.
Ma torniamo agli Austriaci: di quei tempi andati rimane eco a Trieste, dove il classico spritz è tuttora quello composto da vino e seltz, mentre presumibilmente tra gli anni venti e trenta del Novecento in Veneto si cominciò a "macchiare" la miscela con del bitter scuro fino a quando due fratelli padovani, i Barbieri, creano un nuovo liquore bitterato ma dal colore arancione: l'Aperol. Lo Spritz, ormai liquido arancio per antonomasia, diviene negli anni ’50 e fino agli anni ’70 uno degli aperitivi più diffusi in Italia per poi venire inghiottito dalla Storia e tornare nell’alveo delle abitudini locali dei vecchietti di pessimo gusto, risorgere incredibilmente come un’araba fenice negli anni 2000 e diventare un fenomeno globale senza precedenti, con tanto di qualifica ufficiale di cocktail IBA (International Barman Association) dal 2011. Questo incredibile successo mondiale si deve soprattutto ad una azienda italiana che detiene il marchio Aperol e che è leader mondiale da decenni nella creazione di campagne mediatiche perfette che portano le loro bevande a vendite milionarie in numero di bottiglie, oltre 27 milioni di pezzi nel solo 2022: la Campari.
Gaspare Campari era nato da una famiglia di agricoltori in Lomellina, vicino a Pavia: insomma era un lombardo anche se all'epoca essa era parte del Regno di Sardegna, tanto è vero che a Torino apprese l’arte di creare i liquori fino ad arrivare a lavorare nella famosa confetteria Bass di piazza Castello. Sperimentatore divertito e geniale miscelatore di essenze, creerà liquori dai nomi quali Elisir di Lunga Vita, Olio di Rhum, Crema di Thè... Ma il suo capolavoro sarà senza dubbio il "Bitter all'uso d'Hollanda", che in Olanda nemmeno sapevano cosa fosse ma evidentemente suonava così seducente da divenire popolarissimo fino ad essere chiamato "Bitter del Signor Campari" e di poi, e definitivamente, Bitter Campari. La vera genialità di Gaspare fu la scelta del colore: mentre davanti agli specchi dei bar imperversavano solo le bottiglie verdi di assenzio e quelle gialline di altri liquori, oltre a quelle marroni dei vecchi vermouth e bitter, Campari conquista tutti con quel rosso rubino inconfondibile e sensualissimo che otteneva dalla cocciniglia rossa, un piccolo parassita dei fichi d’India dal cui guscio cavava il colorante che fece la sua fortuna.
Appena fatta l’Italia unita torna nella natìa Lombardia e a Milano apre un caffè sotto il “Coperto dei Figini”, l’antico portico di piazza del Duomo che sarà poi sostituto dalla attuale Galleria Vittorio Emanuele II e dove nel 1915 apre lo storico Caffè Camparino (che si trova ancora oggi in Galleria benchè sul lato opposto) che fu famigerato ricettacolo di artisti quali Puccini, Verdi, Marinetti e i pittori dell’Avanguardia Futurista, e in cui scoppiò la famosa rissa tra due mondane poi immortalata da Boccioni nel famoso dipinto.
Morto Gaspare gli subentra nel 1882 il figlio Davide Campari che farà la fortuna dell’azienda di famiglia e che sarà soprattutto uno straordinario genio del marketing ante litteram. Fin dagli anni ’30, con una preveggenza incredibile, egli comprende che la pubblicità fa vendere i liquori molto più del loro sapore, ed inizia ad ingaggiare i più grandi illustratori del tempo per promuovere con manifesti coloratissimi ed onirici le sue bottiglie: da Marcello Dudovic a Fortunato De Pero, da Munari fino agli spot di grandi registi come Fellini e Sorrentino, la Campari è da cento anni sulla breccia del mercato mondiale dei liquori grazie all’applicazione dell’arte al commercio. Se oggi questa azienda, ancora tutta italiana, compete nel mondo con i giganti americani del bere come la Bacardi e ha potuto acquisire marchi americani, francesi e inglesi di bevande, beh lo deve proprio a quel magnifico imprimatur che le diede Davide e cui ancora oggi è fedelissima. Di tutta questa geniale produzione artistica De Pero è certamente il protagonista assoluto: nato in Trentino ai piedi di Folgaria fu pittore, scultore, disegnatore, scenografo e molto probabilmente il primo pubblicitario italiano, e senza dubbio i suoi anni di collaborazione con Campari hanno lasciato un segno indelebile nella storia della pubblicità.
Questa meravigliosa galleria di dipinti, manifesti, caroselli e spot televisivi è in mostra nella curatissima Galleria Campari, visitabile ogni giorno nella bella sede centrale di Sesto San Giovanni dell’azienda realizzata da Piero Botta e dove si può perfino pranzare in una graziosa bicocca seicentesca con piatti dedicati ai liquori della ditta, all’interno del piccolo curatissimo giardino, dove si possono anche ammirare opere e murales di artisti contemporanei viventi, a riprova che Campari non ha perso il suo DNA artistico.
Una storia italiana che merita di essere raccontata e una Galleria che merita di essere visitata perché racconta un pezzo di creatività italiana che ha fatto storia e che ancora oggi è leader nel mondo globalizzato.
(La foto del professor Martelli è di Daniele Mascolo)
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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