Il "cappotto" e la salvaguardia della memoria
L’intervento dell’Arch. Marco Ermentini coglie il problema nella sua essenzialità. Dimostra infatti come la realizzazione di un cappotto, in particolare sugli edifici storici, alteri la struttura architettonica al punto da rovinarla irrimediabilmente. La coibentazione in tali strutture è assicurata dall’ingombro del muro, dall’uso dei materiali e dalle tecniche costruttive. Se questo è l’aspetto più considerevole, di cui i proprietari dovrebbero essere consapevoli, vi sono poi alcuni corollari che vanno tenuti in seria considerazione. Si proceda con ordine.
Il primo, quello che sembra essere il più importante, perché è contestuale al por mano al portafogli, è quello economico. Come si ragiona: ho l’opportunità di ripristinare il mio edificio, se mi attengo a precise disposizioni cui fa riferimento la vigente normativa sul risparmio energetico, posso accedere alla cessione del credito – ristrutturazione. Così, mi accingo a mettere il cappotto alla mia casa. Già, ma non tengo conto che il materiale utilizzato a tale scopo crea seri problemi: decadimento dei muri di cui appunto ha parlato l’Arch. Ermentini. Fra qualche anno dovrò intervenire nuovamente per svestire le facciate e avrò un doppio costo: lo smaltimento dei materiali di cui era costituito il cappotto e la messa in pristino delle facciate ammalorate. Ritengo di non essere stata molto previdente, anzi una sorta di rabbia, nei confronti di chi mi ha consigliato un siffatto intervento, mi rode dentro. Si tratti dell’impresa o del professionista, si tratti dell’amministratore del condominio certamente non ho più motivo di ritenerle persone affidabili. Per la prossima assemblea a quest’ultimo ci penso io a chiedere agli altri condomini di non rinnovargli il mandato, per quanto riguarda l’impresa o il tecnico “passi lunghi e ben distesi: non mi frega più”. Il tre: amministratore, impresario e tecnico come l’empio servo di cui parla il Parini saranno messi alla porta e alla berlina: “A lui non valse merito quadrilustre; a lui non valse zelo d’arcani uficj”. Chi poi sia la “vergine cuccia” lascio a chiunque di Voi indovinare!.
Il secondo aspetto è quello riferibile alla salute. Vivere in un ambiente non salubre non è certamente una condizione ottimale. Le ossa scricchiolano, l’apparato respiratorio non ne trae giovamento e quel che non va certamente sottovalutato sono le mie condizioni psichiche: mi sento “gabbato” e quel che è peggio è che sono stato io ad aver messo in atto un situazione tanto sfavorevole alla mia economia e alla mia salute. Ma neppure posso dimenticare il Gatto, la Volpe. Neppure posso dimenticare il terzo; purtroppo Collodi non l’aveva previsto.
In tutto questo gli aspetti culturali e urbanistici sono per me una sorta di vago monito che non mi tocca più di tanto. Non mi sembra importante aver infagottato la mia casa, non mi sembra importante aver leso il diritto dei miei concittadini: mantenere la memoria storica della nostra città e al contempo evitare un ulteriore inquinamento. Tutto questo mi trova indifferente. Ma se avessi posto attenzione a quei valori di civiltà, di cultura, di rispetto del paesaggio urbano, ora non sarei qui a piangermi addosso o a trovarmi ad acquistare in un negozio di elettrodomestici un purificatore d’aria. Spenderò in elettricità, aumenterò l’inquinamento, ma speriamo almeno che il gestore dell’appliance store (cioè: del negozio di elettrodomestici) mi faccia lo sconto!
Per quanto detto è opportuno ribadire l’importanza della presenza vigile della Soprintendenza. Onde evitare interventi non consoni all’edificio e nell’intento di salvaguardarlo è d’obbligo affidarsi a professionisti che abbiano competenze umanistiche e tecnico-scientifiche. Analogamente ai medici questi sanno proporre le cure adeguate ed evitare interventi che nel tempo si rivelano nefasti, ma subito ne diminuiscono il valore non solo storico, ma economico. Parlare di restauro conservativo equivale a far riferimento alla “cura”. Nello specifico la cura di un manufatto architettonico obbliga a porre attenzione alla specificità dell’edificio. Ciò comporta salvaguardarne la solidità non meno che l’identità storica. Mentre vanno evitate trasformazioni indotte da “bisogni”, cui il mercato propone miracolose soluzioni e surrettiziamente tace proposte meno dispendiose, vanno posti in essere tutte quegli interventi che, per consentire la leggibilità dell’edificio, pur intervenendo con tecniche non invasive, consentano alla memoria di trarre conoscenze il più possibile certe. Per questi motivi ormai da anni l’Architetto Marco Ermentini propone il “restauro timido”.
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