Il centro storico di Cremona va vincolato come quello di Mantova
Non è certo una novità che il centro storico di Cremona soffra di inedia.
Qualcuno osserverà che non si tratta di una condizione solo della nostra città. Molti centri urbani vedono edifici disabitati. Il sintomo più allarmante è la chiusura dei negozi. Un’economia differente ha mutato il rapporto fra acquirente ed esercente, da qui come è noto la dislocazione del commercio. Per altro è comodo a tutti andare nei grandi centri commerciali per provvedere agli acquisti e, solo ora che la pandemia ci attanaglia, riscopriamo come il negozietto sotto casa risponda alle nostre necessità. Ma ridurre il degrado del centro storico ad una mera questione legata ad un approccio mutato con il grande commercio è decisamente riduttivo.
Il problema principale è la disaffezione alla nostra identità cittadina. C’è una voluntas moriendi che porta a trascurare l’identità della Città, volontà che, per un ancor più perverso sentimento, tenta di assopirne la memoria sino a renderla quasi inconsistente. La memoria cittadina costituisce la radice del tessuto sociale. Se i ricordi si affievoliscono, le memorie impresse nelle “pietre” sono presenze. Le testimonianze non vanno alterate in nome di un presunto adeguamento attento solo a proposte, altrettanto di mercato, che vorrebbero ricoprire i nostri coppi con pannelli fotovoltaici o vestire le nostra facciate con i cosiddetti cappotti. Una tale scelta costituirebbe architettonicamente la perdita dell’identità cittadina. Le memorie sono segni per una rinascita. Non so indicare come il centro storico ritroverà vitalità. È questione che a quanto pare sfugge sia agli urbanisti sia agli amministratori, per questo non mi arrogo il diritto di parlarne. Mi permetto solo di far riferimento a due nostre grandi tradizioni. Liuteria e musica costituiscono un binomio inscindibile per Cremona, analogamente cibo e agricoltura. Per un uso congruo del centro storico sin da ora è necessario pensare a “rammendare”, come è solito dire Renzo Piano, il centro con le periferie. Molti eventi possono essere dislocati nelle colonie padane, nella fiera o nello stadio: spazi ampi che consentono un distanziamento necessario per non invadere il centro ed evitare di deturparlo. Penso a quegli eventi musicali in piazza del Duomo che hanno creato seri problemi alle storiche strutture architettoniche. Trovare un utilizzo che permetta di ritrovare l’unità urbana serve a far conoscere la nostra Città. Non credo che il battistero, la cui visione viene totalmente offuscata da un palco, sia un congruo modo per far conoscere Cremona. Al contempo, invadere le nostre campagne con una struttura viaria tanto inutile quanto devastante per l’agricoltura e per il paesaggio, come la Cremona-Mantova, non credo sia una soluzione che abbia a potenziare il rapporto storico fra la Città ed i terreni che da secoli ne costituiscono una realtà sinergica. Non ho maestri e non ho neppure autorità per proporre soluzioni.
Ritengo però sia dovere di Italia Nostra far cenno ad un tema cocente quale quello del risparmio energetico. Va evitato che il green si riveli un grey. Se per altro il grigio sembra ormai caratterizzare il colore delle nostre facciate c’è un subdolo approccio all’economia green che sembra più affine ad interessi di parte che alla salvaguardia del pianeta e, nel nostro caso specifico, alla salvaguardia della nostra Città. Ma veniamo al dunque. Al momento la proposta del fotovoltaico sembra essere una soluzione adeguata. Ma dove collocarlo? Certamente per evitare spreco di suolo è più che corretta la soluzione di collocarlo sui tetti; non certo però sui coppi del centro storico. Un approccio mimetico con le ripresa del rosso costituisce di per sé “un falso storico”. Pannelli che emulano i coppi sono una “ferrari” con la carrozzeria di una “biga”. Non credo che questo sia il desiderio dei cittadini cremonesi. Ma esistono edifici nelle periferie che non verrebbero deturpati, anzi la presenza dei pannelli solari costituirebbe, di per sé, un’attestazione di un fenomeno ad essi contemporaneo. Ci sono poi realtà cittadine come il complesso dell’ex Tamoil, che, se i casi giudiziari non lo vietano, troverebbero quell’utilizzo che tanti auspicano. Una copertura dissennata dei coppi non compete al centro storico. Tanto meno ad esso compete rivestire le sue facciate con cappotti che, oltre di dubbio gusto, sono fuori luogo, anzi nefaste. I muri hanno diritto di respirare, i muri del passato presentano disomogeneità per le quali un siffatto intervento sarebbe malaugurato. Ancor di più: i muri di un tempo per il loro spessore erano già dotati di una propria coibentazione. Vogliamo fare indossare un’ulteriore pelliccia agli orsi?. Non sembra questa una soluzione adeguata. Inoltre, proposte come quelle riferibili alle nanotecnologie al momento, oltre che essere costosissime, non assicurano durabilità e non si è ancora sperimentato se siano adeguate ad un compito che primariamente deve essere conservativo.
Ma se i temi ricorrenti sono questi in nome del green, in nome della memoria storica ritengo plausibile prendere coscienza della memoria come fonte di conoscenza non solo del passato, ma come potenzialità per il futuro. Siamo così certi che lo sviluppo invocato dal pensiero positivista sia un percorso rettilineo?. Le scelte, che vengono operate in un certo momento della storia, sono il frutto di esigenze di quel preciso momento. Siano state reali o indotte, queste hanno portato all’oblio segni che nella pietra rimangono e che ancora oggi insegnano. Troppe volte mi sono sentita dire da architetti rampanti: “ma io debbo lasciare il mio segno!”. Nell’editoriale del primo numero della rivista Il Politecnico, a presunta firma di Carlo Cattaneo, chi scriveva suggeriva di andare ad edificare il nuovo lontano dalle memorie storiche che caratterizzano le nostre città. Si chiede forse troppo? o si dovrebbe chiedere a quegli stessi architetti se hanno competenze sull’edificato storico?. A tale proposito è d’obbligo fare presente che in Italia esistono scuole di specializzazione post-laurea in conservazione e restauro dei beni architettonici. Si tratta di scuole che hanno una doppia finalità: in primo luogo formare negli architetti la consapevolezza del ruolo che vanno ad assolvere quando si accostano al costruito; in secondo luogo dare gli strumenti conoscitivi storico-culturali e tecnico-scientifici per affrontare il progetto. Già anni fa si era parlato della necessità di differenziare i percorsi degli studi d’architettura. Come in medicina o in ingegneria esistono specializzazioni diversificate, analogamente dovrebbe accadere nell’ambito dell’architettura. Questa potrebbe essere un’ottima soluzione. Quanto però distingue la professione dell’architetto da quella del medico e dell’ingegnere è che nel caso specifico dell’architettura il progetto non è mai disgiunto da una capacità estetica. L’arte, se pur debitrice a competenze specifiche, è sempre e comunque segno di una personalità. Non può essere ridotta a soli tecnicismi riconducibili a scientismo autoreferenziale. Che fare allora?. Credo che un esempio ci venga da una città a noi molto simile e per altro molto vicina: Mantova. Il suo centro storico è vincolato. Non si comprende perché non lo sia quello di Cremona. Alle Soprintendenze lo Stato dovrebbe dare lo specifico compito di tutelare i centri storici. Purtroppo, nonostante si faccia un gran parlare di beni culturali, le Soprintendenze sono una realtà amministrativa alquanto ignorata. Un tempo, faccio riferimento esplicitamente a Cremona, quando soprintendenti erano Piero Gazzola e Ruggero Boschi, le disponibilità economiche e la presenza di personale specializzato erano ben diverse da quelle attuali. Oggi tali carenze rendono, nonostante all’interno delle Soprintendenze operino figure di grande spessore culturale, ingestibile un impegno che sovrasta umanamente le loro forze. L’attuale normativa non ne facilita il compito!. Qui si apre il vero tema di discussione. Il centro storico di Cremona va tutelato con adeguati provvedimenti, primo fra questi il vincolo che comporta il confronto fra architetti-progettisti e architetti preposti istituzionalmente alla conservazione. Competenze specifiche di per sé costituiscono strumento per salvaguardare il patrimonio urbano che, come aveva ben evidenziato John Ruskin, va bel oltre il mero valore economico. La memoria storica conferisce ricchezza non transitoria che non viene intaccata dalle oscillazioni di mercato. Per questo anche i beni archeologici, quali le mura di Cremona, vanno tutelati perché costituiscono patrimonio storico. Quante città le hanno valorizzate! Noi vogliamo disinteressarci di un bene che appartiene alla nostra identità? Quello che è doveroso aver presente è che, se l’amnesia è una condizione patologica, lo è anche l’amnesia della storia. Le “pietre” costituiscono di per sé un potente farmaco per il singolo e per la collettività.
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commenti
Gualtiero Nicolini
25 marzo 2021 20:04
Giusta analisi e proposte valide ma con questi amministratori purtroppo .....parole al vento
Michele de Crecchio
27 marzo 2021 13:20
Meglio di così non si sarebbe potuto potuto scrivere o dire. L'intervento è totalmente condivisibile. Spero che almeno qualcuno dei maggiorenti comunali lo abbia letto e meditato e che il centro storico di Cremona finisca, finalmente, di essere, a parte Milano che lo ha praticamente distrutto, il peggio trattato tra le città storicamente più importanti della Lombardia.
Paolo Puzzi
27 marzo 2021 14:47
Solo ora ci rendiamo conto che errore è stato trasformare il centro storico in una isola pedonale,facendo moriret le attività commerciali,ultimo baluardo all 'incuria,sporcizia,degrado delle vie del centro.Tutto questo e' derivato da una precisa volontà politica che ha una connotazione ben precisa.