Il Diavolo veste Prada in archivio (e in piena pandemia): la sfida analogica nell'era digitale
Lui si chiama Daniel Del core, 32 anni, un passato da Dolce & Gabbana e Versace fino a diventare lo stilista delle star di Hollywood per Gucci. Decide di fondare la sua casa di moda in piena pandemia, e di realizzare l’unica sfilata di moda dal vivo con pubblico di tutta la Settimana della Moda 2021. E per questa un po' folle e coraggiosa operazione, sceglie un archivio (in particolare la nostra Cittadella degli Archivi) come luogo fisico di realizzazione del suo sogno. Perché?
La rivista Vogue, Bibbia mondiale della moda, ne ha scritto così: “siamo in piena distruption (paralisi totale NdR), l’immateriale digitale avanza e c’è chi prospetta vendite via app direttamente dai laboratori. Meraviglioso. Daniel Del Core invece pensa analogico e si affaccia sulla scena internazionale con progetto solido, tradizionale: la maison, intesa davvero come casa, con tanto di atelier su misura per le clienti”. A Milano. Aggiungo io, un segno di ripartenza e di speranza formidabile.
Non entro ovviamente nelle motivazioni commerciali né personali di Del Core, anche se avendolo conosciuto personalmente posso dire che ho visto in lui l’entusiasmo e la forza degli innovatori. Mi interessa però, da archivista, tentare di capire il legame che può unire la moda e gli archivi, ma soprattutto quello che c’è tra l’innovazione e la riscoperta del passato.
Un gigante del passato come Giuseppe Verdi, amava dire molto candidamente che il segreto del suo successo era la riscoperta: “tornate all’antico, e sarà un successo!” diceva a chi gli chiedeva del suo formidabile talento. L’operazione di Del Core non è dissimile: nel momento della moda digitale che fabbrica tute e scarpe da ginnastica per lo smart working e sfila tutta in digitale, torna al modello su misura in atelier, per vestire le donne come delle dive, ma utilizzando elementi e materiali estremamente innovativi e in una ambientazione iper-futuribile (o almeno questa è l’impressone che ne ho avuto io partecipando alla sfilata). Ecco forse il perché della scelta dell’archivio, ed in particolare di Cittadella, che è un archivio super-tecnologico ma che custodisce carte che hanno fino a cinque secoli di storia: l’idea che in fondo, ogni vera innovazione è di frutto una riscoperta.
Mi viene subito alla mente l’Atena Lemnia di Fidia: quella testa di marmo indicata da tutti come il canone della perfezione assoluta. Da 2.500 anni ispira e rinasce continuamente: l’hanno ripresa tutti i grandi artisti del Rinascimento, Andy Warhol ne ha fatto una icona pop, in ogni accademia di belle arti del mondo se ne usano le riproduzioni in gesso per gli studi di disegno e se ne fanno lampade e oggetti di design per gli attici ultra minimalisti del real estete americano. E’ quello che comunemente definiamo un “classico”.
E la stessa storia della moda è piena di revival e ispirazioni d’archivio: Gucci deve il suo clamoroso successo di oggi alla reinvenzione degli anni ’70, Etro ha un immenso archivio di stoffe da tutto il mondo cui si ispira per le proprie nuove fantasie, e perfino il grande cravattaio Marinella ha lanciato con successo una linea “Archivio” dedicata alle vecchie cravatte di un tempo.
La storia dell’Italia, e il nostro successo nel mondo, sta in fondo tutto qui: in una straordinaria capacità di reinventare continuamente un passato che ci troviamo addosso come una seconda pelle. Ma sempre con l’idea dell’eternità, cioè che come noi ammiriamo quanto fatto da chi ci è preceduto, così i posteri ammirino ciò che facciamo noi. “We build for the eternity, noi costruiamo per l’eternità” diceva sogghignando Philippe Daverio agli immobiliaristi del real estate americano, che invece secondo lui vivono del distruggere ciclicamente i loro grattacieli per costruirne di più grandi e di più nuovi.
E’ esattamente il motivo per cui il nostro cibo, i nostri abiti, il nostro design, sono ancora oggi i migliori e i più imitati al mondo (imitati ma senza successo): perché sono frutto di un sapere tramandato per secoli di generazione in generazione che si adatta ai tempi e impone un nuovo gusto.
Mi ha sempre impressionato che nell’Apocalisse di Giovanni Dio si presenti con questa frase: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”. Il Creatore di tutto, che alla fine del tutto creato si presenta con la volontà di “fare nuove” le cose che già ci sono.
Come se una grande rivoluzione non sia che una reinvenzione di tutto ciò che già c’è.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di Archivistica all’Università degli Studi di Milano
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