Il giudice impegnato e l'altra gogna: il caso del sen. Stefano Esposito
Per essere l’espressione di un potere dello Stato il CSM e l’ANM dovrebbero rinunziare alla continua “cultura del piagnisteo”, per ricordare il titolo del bel saggio di Robert Hugues. Il giudice Apostolico si è dimesso dalla magistratura non essendo riuscita, almeno così si legge, a superare il disagio provocatole dalla diffusione del video con la sua presenza, peraltro pubblica, ad una manifestazione, anche piuttosto accesa sul problema dei migranti. Una presenza, insieme a qualche chat di troppo, certo discutibile per la possibile interferenza con i suoi incarichi professionali ma di per sé non una rivelazione disonorevole sulla sua vita personale. Non è certo in discussione il carattere scomposto degli attacchi di alcuni leader politici anche dopo le sue dimissioni. Nemmeno è in discussione l’importanza dei problemi che il giudice ha posto né la sua scelta di lasciare la magistratura, legata alla sofferenza e probabilmente anche ad altre prospettive personali, ma lo è piuttosto la consueta reazione piagnucolosa di esponenti del CSM e della ANM.
Si legge infatti nei vari comunicati e prese di posizione che il magistrato non sarebbe stato tutelato a sufficienza, ma non sembrerebbe proprio, che il CSM avrebbe tardato ad aprire una pratica a sua tutela, che è solo uno dei tanti magistrati vittime di una continua delegittimazione e messi in pratica nell’impossibilità di lavorare.
In realtà il giudice non è stato affatto stato abbandonato visto che, oltre a non essere stato sottoposto comunque dal Ministro ad alcun procedimento disciplinare, ed è giusto così, ha avuto la massiccia e ripetuta solidarietà dell’intera magistratura associata e di quasi tutti i mass media.
E negli stessi giorni si è chiusa un’altra vicenda su cui si riflette assai meno.
Se si vuole parlare di “gogna” sembra infatti meglio e forse anche più drammatico ricordare il caso del senatore Stefano Esposito. Accusato di corruzione e turbativa d’asta, indagato con una accusa divenuta subito pubblica prima di potersi difendere, sottoposto dal PM e dal GIP di Torino a centinaia di intercettazioni illegali nonostante fosse un parlamentare, di questo nessuno risponderà, abbandonato dal suo partito, il PD, è stato riconosciuto innocente con una archiviazione nel merito giunta dopo ben 7 anni. Questo calvario ha significato un danno irreparabile alla sua vita personale, lo ha raccontato proprio sul Foglio, e politica. Paragonando queste due “gogne” la seconda è infinitamente più grande della prima, un tunnel da cui si può anche non uscire e sono casi in cui può venire in mente anche il pensiero di gesti estremi.
Casi simili, lo insegna la storia giudiziaria di questi anni, sono purtroppo abbastanza comuni e continueranno a ripetersi se l’ANM spingendo solo sull’acceleratore sulla “delegittimazione” dei suoi magistrati, una parola che dai tempi di Palamara e anche prima campeggia sempre nei suoi comunicati, non comincerà a riflettere che delegittimazioni anche peggiori cadono in testa anche ad altri che non possono chiedere pratiche a tutela e sono fortunati se ne escono vivi.
Non credo che succederà e l’ormai più che trentennale guerra tra magistratura e potere politico che ora ha trovato il suo detonatore nella questione dei migranti, andrà avanti. Non un contrasto fisiologico sull’interpretazione delle leggi ma un conflitto politico con gli attacchi da una parte e le repliche che, come ha ricordato il sen. Violante in una recente intervista, collocano la magistratura come una diretta controparte del governo. Questa guerra, unica in Europa, che nessuno vuole fermare e nessuno può vincere, continuerà con gli effetti disgraziati che ha sull’intero paese.
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commenti
Blek
10 dicembre 2024 12:44
Non voglio entrare in merito alle personali competenze e all' onestà dei giudici che comunque sono la categoria più tutelata e privilegiata d'Italia, bensì in merito ad una questione di principio. È democraticamente inammissibile che un governo, qualunque sia eletto democraticamente,riesca a produrre tra mille difficoltà una norma, e poi un giudice solo possa stravolgerla e bloccarne l'iter, pur avendo già avuto la firma del presidente della repubblica. Questa è una cosa che fa' inorridire. Un contropotere non democraticamente eletto e comunque nominato per decidere di altro, che scavalca, inabissa le decisioni di un governo eletto. Il che conferma che non siamo in una democrazia.
Manuel
10 dicembre 2024 19:54
Perché è democratico un paese intriso di corruzione, malaffare e che viene “amministrato”, in diverse regioni (ora anche al nord) dalla malavita organizzata?... e nel quale, tra poco, non si potranno più conoscere i nomi degli arrestati?