16 aprile 2022

Il mito e la guerra

Scrive il professore Angelo Stella in un suo articolo recente che “la condizione prima della pace è la smitizzazione: il mito è già guerra. Infatti la misura vera dell’uomo è data dal lavoro che ha saputo fare per incarnare i suoi stessi valori spirituali”.

Il mito è già guerra. Quanta saggezza in questa piccola frase. E’ fin troppo ovvio che la prima immagine che oggi associamo a questa frase è Putin e il mito della Grande Russia o di un nuovo zarismo. Ma è mito anche la demonizzazione, la costruzione ideale che il nemico sia il male assoluto, che non abbia di quel male radici o cagioni reali o umane ma solo fanaticamente personali o a volte addirittura demoniache o soprannaturali.

Invece dovremmo ricordarci che ogni mito o mitizzazione ha radici ben piantate nella storia, e che tutti noi, ognuno nel suo tempo e in quanto parte di una massa, siamo un po' corresponsabili di quelle mitizzazioni, negative o positive che siano. Mitizzare il male lo esorcizza e in una certa maniera ci fa sentire innocenti, così come mitizzare il bene ci rassicura e al contempo ci assolve da molti piccoli doveri, e anche da certi nostri limiti. Se quel tizio incarna il male assoluto io mi sento buono, se quell’altro ha avuto successo e io no è perché ha delle doti sovrumane e via dicendo… 

Il mito è anche distruzione: tipicamente il mito di sé, o che intorno a sé viene costruito, finisce per consumare e distruggere chi di quella mitizzazione è stato oggetto. Ne sono un caso talmente tipico da essere divenute un cliché le grandi star dello spettacolo, belle e dannate, che della idolatria di cui sono fatte oggetto periscono, sfinite da alcolici, droghe e abusi che proprio dal tentativo di convivere col proprio mito hanno oggetto. Ma anche i grandi dittatori finiscono quasi sempre divorati dal mito di se stessi, e con loro spesso finiscono divorati anche i paesi che hanno governato: diceva Churchill che un dittatore è un uomo che cavalca una tigre inferocita con cui tiene gli altri sotto scacco ma da cui non può scendere o ne viene divorato.  E infatti quasi sempre finisce per cadere dalla tigre e venirne fatto a pezzi. Stalin, Mao, Hilter, Mussolini e moltissimi altri dittatori del ‘900 hanno mitizzato se stessi ne sono stati atrocemente divorati o hanno divorato i loro stessi popoli, benchè in effetti pare che ad alcuni sia riuscito ben meglio di morire nel proprio letto che non ad altri, fatta eccezione per il più intelligente di tutti i fascisti, Francisco Franco, e per Nicolae Ceausescu, il più folle di tutti i comunisti, che non per nulla era arrivato a farsi chiamare il Genio dei Carpazi e il Danubio del pensiero… anche se pare che i geni dei Carpazi abbondino oggi più che mai un po' dappertutto…

Non fanno certamente eccezione coloro che il mito lo hanno “inventato”: gli eroi greci, nessuno di quali è morto nel proprio letto. Anzi, più erano eroici e osannati, più la loro fine era terribile e cruenta, a volte perfino paradossale. Achille ferito al tallone, unico punto vulnerabile del suo corpo, Ercole divorato tra lancinanti dolori da una camicia intrisa del sangue velenoso di un Centauro, Edipo che si acceca per aver ucciso il padre e sedotto la madre e potremmo continuare veramente all’infinito.

Il termine “mito” deriva dal greco “mythos” che in realtà significa narrazione, leggenda, favola: di fatto, qualcosa di non vero, di irreale o quantomeno di ingigantito o idealizzato.

E’ mitologia anche una certa eccessiva fiducia che oggi si ripone nella tecnologia, che pare essere la soluzione di ogni problema, compresa l’esclusione della coscienza umana, della fatica fisica e della convivenza sociale, ma che poi presenta conti assai salati come abbiamo avuto ben modo di constatare con gli enormi disservizi quotidiani che l’eccessivo ricorso alla tecnologia associato alla mancanza di umanità fisica sta producendo.

La guerra stessa è mitizzazione. Ogni volta che scoppia una guerra ci dividiamo tra aggressori e vittime, tra innocenti e colpevoli, tra invasori e invasi, mitizzando le vittime in positivo e mitizzando gli aggressori in negativo. Ma la storia ci insegna che spesso l’aggressore di oggi è figlio di chi è stato vittima ieri, e che spesso le vittime sono oggetti di scambio per altri aggressori che si ergono a difensori degli oppressi. La Germania nazista non era frutto di un patto demoniaco, ma figlia soprattutto delle spietate sanzioni che gli vennero imposte dopo la Grande Guerra dai vincitori, e i sanguinari bolscevichi del ’17 erano il frutto di secoli di abietto sfruttamento da parte di una aristocrazia vergognosamente incurante.

 La smitizzazione è la condizione della pace, e la smitizzazione passa anzitutto dalla lucida analisi della realtà ma anche delle responsabilità che hanno originato quella realtà. E parte soprattutto, come diceva John F. Kennedy, dalla imprescindibile constatazione che tutti noi abitiamo questo piccolo pianeta, respiriamo la stessa aria e siamo tutti mortali.

Scriveva Ortega Y Gasset che la cultura, e quindi la conoscenza, toglie le incrostazioni del tempo e ci permette di vedere ciò che vi sta sotto. La pace è spesso qualcosa di imposto con le armi perché non vi sono alternative, ma la guerra è quasi sempre figlia dell’ignoranza reciproca e della mitizzazione di sé o dell’altro, oltre che dell’atavico irriducibile appetito dell’animo (e del corpo) umano.

E se, come scrive Stella da perfetto manzoniano, la misura dell’uomo è un lavoro, direi che ne abbiamo sempre molto fa fare, prima di tutto ognuno su di sé.  

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano

(la foto del professor Martelli è di Irina Mattioli)

Francesco Martelli


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