22 gennaio 2022

Il Quirinale, il tricolore, storie d'Italia, di Francia e di Savoia

Siamo dunque alla vigilia dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, in uno dei momenti storici più difficili e surreali della nostra storia repubblicana. Viviamo da due anni in una situazione di quasi-regime in parte sanitario in parte burocratico che ci ha fiaccati nello spirito e inginocchiati nel corpo e nelle risorse, abbiamo un Premier forte e dal prestigio internazionale ma un Paese oggettivamente a un passo dal baratro. Draghi è certamente il candidato più importante e forse più adatto in campo, ma le elezioni del nostro Presidente sono un po' come quelle del Re di Gerusalemme: vinta la Crociata e ripresa alla cristianità la Terra Santa scoppiò una tenzone tra i più grandi e potenti cavalieri per chi dovesse essere eletto Re, e si finì per scegliere Goffredo di Buglione, poi Re Baldovino I, che era forse il meno valoroso ma certamente il più inoffensivo e il meno ambizioso, insomma il miglior garante dell’equilibrio dei grandi appetiti degli altri cavalieri. E Draghi è destinato alla medesima fine: lui al Quirinale sarebbe di fatto l’inizio di un Presidenzialismo alla francese o alla americana che il banchiere non tarderebbe a far passare da una situazione de facto ad una di pieno diritto. Nessun leader italiano lo vorrebbe, a meno che il Presidente non fosse egli stesso: come dice il Vangelo “et facta est contentio inter eos quis eorum esse major” ( e iniziò una lite tra gli apostoli su chi di loro fosse il migliore ndr…).

E del resto, in un Paese come il nostro dove la lotta politica è all’ultimo sangue e lacerata da vicende giudiziarie infinite, il Quirinale rappresenta una sorta di beatitudine terrena la cui immunità è il sogno di ogni leader politico.  Ed ecco che quindi i vari grandi condottieri finiranno per cercare un nuovo Goffredo... La discesa furente di Berlusconi in campo, l’ultima della sua vita, ha sbriciolato le chances di Draghi di essere un candidato bipartisan, e benché sia impensabile che accada di vedere il Silvio nazionale sul sommo scranno repubblicano, il terrore a sinistra che possa accadere finirà per spostare verso destra l’elezione del Presidente, cosa che non avviene dai tempi di Cossiga, perchè pur di far fare al Cavaliere un passo indietro si potrebbe convergere su un nome di centro-destra. 

Vada come vada, l’elezione del nostro Presidente è sempre e comunque occasione di sentirsi italiani e di rifare un po' di storia della patria e del nostro Tricolore, che ha appena compiuto 225 anni. Da alcuni anni è stato istituito, proprio al Quirinale, l’Archivio Storico della Presidenza della Repubblica, che custodisce la storia delle elezioni e le storie dei nostri Presidenti. Ma quella storia inizia molto prima, e ce la raccontano l’Archivio Ducale di Reggio Emilia e il Museo del Risorgimento a Milano.

Scriveva il drammaturgo inglese Samuel Johnson che il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie, e se devo giudicare da come durante i vari lockdown, improvvisamente, il Tricolore è stato proiettato ovunque perfino sugli edifici delle grandi banche internazionali, beh un po' di sospetto che Johnson avesse ragione mi viene…

Noi italiani non abbiamo mai brillato per attaccamento alla bandiera, o almeno non con la prosopopea sentimentale degli americani e dei nordeuropei, e questo lo dobbiamo alla nostra storia: diceva il generale  Pinochet che “la culpa es siempre de los Comunistas, de la Iglesia e de los Estados Unidos!”, e se pensiamo alla disaffezione alla nostra identità nazionale un po' aveva ragione lui. Come fa ad essere attaccato alla sua bandiera un Paese che è stato al contempo il baluardo americano davanti alla Cortina di Ferro, la nazione con il più forte partito comunista d’Occidente e la capitale mondiale della fede Cattolica? Si fa presto ad essere attaccati ad una bandiera quando non si ha avuto che quella nella propria storia, ma quando si è stati pieni di Grecia, di Roma, di Arabia e di Fenicia, di Normanni e di Spagnoli, di Francia e di Austria, di Germanie e di U.S.A. e di U.R.S.S. oltre che della sede terrena del Regno dei Cieli come noi come si fa?? 

Il Tricolore di fatto non è l’inizio della nostra storia di nazione, ma tutt’al più il suo punto di arrivo, la conclusione di un lunghissimo processo all’inverso che ha sempre visto esistere gli Italiani ma non l’Italia, se non divisa in tante nazioni che avevano come nome e bandiera quelli delle varie Case Regnanti, alle quali nessuno ha mai pensato di ribellarsi se non dalla Rivoluzione francese in poi. E poiché come diceva critico e pungente Vincenzo Cuoco noi abbiamo una vera e propria mania di dar per meglio e buono quel che viene dall’estero, vista la Rivoluzione in Francia abbiamo iniziato a farle anche noi. A Napoli nel 1799, in Lombardia e in Emilia con il vento di libertà sostenuto dalle armate napoleoniche, e poi nel 1848 quelle di Milano e Napoli e in Piemonte la Prima Guerra d’Indipendenza fino alle campagne garibaldine del 1860, le brecce del 1870 a Roma e la liberazione del Veneto nel 1866.

“Che cosa è mai il Tricolore al confronto della nostra bianca bandiera con il giglio dorato?!” afferma il Principe di Salina nel Gattopardo. E in effetti, il Tricolore è molto meno italiano di quanto pensiamo. 

La nostra storia ufficiale ne data la nascita a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797 con la Repubblica Cispadana, ma in realtà il vero primo tricolore nasce un anno prima ed è tutto lombardo, anzi francese... Il Generale Buonaparte (allora ancora con la u), comandante dell’Armée d’Italie, sconfitti gli austriaci e riconsegnata Milano ai milanesi gli fa dono di una nuova milizia e di una nuova bandiera, quella della Legione Lombarda: un tricolore francese, in cui al blu viene sostituito il verde, il colore delle giubbe dei Cacciatori a cavallo della Guardia, con al centro il berretto frigio dei rivoluzionari francesi. Da allora in poi, a volte in orizzontale a volte in verticale, a volte con al cento una faretra come a Reggio Emilia, altre un’aquila nazista come a Salò, il Tricolore Verde Bianco e Rosso ha coinciso con l’Italia rivoluzionaria e rivolte contro se stessa. I Savoia, benchè vincitori, rinunciarono alla loro croce bianca in campo rosso per il Tricolore, ma gli aggiunsero un nastro blu e pretesero che il loro tradizionale “azzurro savoia” divenisse il colore degli italiani e così fu nello sport e nella guerra: le maglie dei nostri atleti sono azzurre come le fasce degli ufficiali militari, che è come dire che gli italiani in realtà sono sabaudi…

Spesso durante le elezioni presidenziali il nostro paese mostra le sue più terribili piaghe arcane e le peggiori contorsioni politiche, come avvenne durante lo stallo del ’92 risolto solo con il sangue di Falcone e Borsellino in un clima di truce surrealtà istituzionale. E, diciamoci la verità, di Goffredi di Buglione alla Presidenza ne abbiamo visti più di uno. Ma basta pensare a come è strana la storia della nostra bandiera per capire che non può essere semplice eleggerne il rappresentante. Anzi, sembrerebbe impossibile, come governare gli italiani e questo Paese non Paese che non c’è ancora e che pure pre-esiste a se stesso da 2.000 anni. 

C’è da domandarsi, e io lo faccio spesso, come sia possibile che nonostante tutto siamo ancora a galla. Forse perché che questa nostra terra, con tutti i suoi difetti e disastri, è baciata dalla Santità e dalla Bellezza: chissà se Napoleone quando scelse il primo tricolore italiano sapeva che 500 anni prima nella Divina Commedia Beatrice appariva a Dante vestita di bianco rosso e verde come le tre virtù teologali Fede, Speranza e Carità…tre cose di cui noi campiamo ogni giorno. E in una circolare ufficiale del 2003 Antonio Catricalà confermava senza appello che il Tricolore è per esattezza “verde prato brillante, bianco latte e rosso pomodoro”: a me viene subito in mente una profumata e succulenta pizza margherita col basilico, una delle cose più belle al mondo, come l’Italia.

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano 

Francesco Martelli


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