18 dicembre 2022

In Gesù c’è tutta l’umanità di Giuseppe

Se Luca ci presenta i Vangeli dell’infanzia con gli occhi e il cuore di Maria, Matteo, invece, indugia sulla figura di Giuseppe. Per noi che abbiamo ridotto il Natale ad una bella favoletta, mielosa e sdolcinata, non ci passa nemmeno per la testa il dramma interiore sofferto sia dalla Madonna sia dal suo promesso sposo.

Chissà quanti pensieri, quanti tormenti, quanta inquietudine assalirono il cuore di questo falegname di Nazareth dalle mani callose e da un cuore colmo di quella misericordia che, nonostante la cattiva pubblicità di scribi e farisei, muove tutta l’antica legge di Israele. L’evangelista annota che essendo un uomo giusto egli non volle esporre Maria al pubblico scandalo, ma decise di ripudiarla in segreto.

Qualche esegeta azzarda che Giuseppe abbia creduto in tutto e per tutto a quello che le disse Maria, ma che si sia sentito troppo piccolo per poter entrare in un disegno così magnifico e perfetto. Egli, quindi, decise di fare un passo indietro, non per paura o vigliaccheria, ma solamente perché non si sentiva degno di diventare il padre putativo di Gesù. Una tesi affascinante che tra l’altro è avvalorata da quell’elogio che Matteo registra al versetto 19: Giuseppe era uomo giusto. Sappiamo bene che il termine giustizia, nella Sacra Scrittura, non ha lo stesso significato che gli diamo noi. Per noi giustizia è “dare a ciascuno il suo”, per la Bibbia giustizia è “il mistero di Dio che si realizza nella storia in piena fedeltà a quanto stabilito dal Padre celeste”. Giuseppe è giusto, dunque, perché, da buon credente, cerca la volontà di Dio e fa di tutto perché si realizzi nella storia umana. Egli, probabilmente, pensa di essere di intralcio, almeno fino a quando Dio non gli rivela, attraverso un sogno, di fidarsi di lui: dovrà prendere per sposa Maria e custodire il figlio di Dio come se fosse il suo! Infatti sarà lui a dovergli dare il nome, a crescerlo nella fede dei padri, a immetterlo nella comunità, a insegnargli un lavoro.

Giuseppe è un uomo che non parla – nel Vangelo non c’è traccia di un suo intervento o dialogo -, ma che agisce! Appena risvegliato dal sonno prese in moglie Maria e accolse quel figlio come un mistero da contemplare e rispettare.

Egli è davvero modello di ogni credente: è umile, silenzioso, pronto, svelto, coraggioso. Sta nell’ombra, rispettando la libertà di Dio e di quel figlio tanto singolare. Un esempio per tutti i padri proprio come scrive il Santo Padre Francesco nella lettera “Con cuore di Padre” (2021) a lui dedicata: “Essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. Forse per questo, accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di “castissimo”. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. [...] Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù”.

C’è un altro aspetto che affascina: il falegname di Nazareth, questo uomo essenziale, silenzioso, laborioso ha contribuito in maniera determinante a formare la personalità di Gesù. L’umanità del Figlio di Dio è frutto anche dell’educazione ricevuta dal genitore, dell’atmosfera che ha respirato in famiglia, del lavoro che ha imparato nella bottega paterna. È bello pensare che Cristo abbia imparato che l’amore è più grande della legge proprio da Giuseppe e da quel suo atteggiamento da uomo giusto che evitò a Maria il ripudio pubblico e la lapidazione o che quel termine tanto familiare e affettuoso con cui si rivolge al Padre celeste – “Abbà” – prima lo abbia usato, con commovente affetto e riconoscenza, per chiamare Giuseppe affinché giocasse con lui o gli insegnasse a piallare il legno.

In Gesù c’è tanto di Giuseppe, perché si è padri perché si è generato un figlio, ma si è padri anche perché si è cresciuto, con altrettanto amore e abnegazione, i figli di altri, aiutandoli ad affrontare il mondo, la vita, gli altri, le sfide… con cuore giusto.

C’è un bellissimo quadro di Guido Reni del 1640 conservato negli Stati Uniti che raffigura San Giuseppe che tiene in braccio Gesù Bambino. Il falegname è dipinto anziano, con il volto rugoso e la folta barba bianca, ma lo sguardo è di una tenerezza straordinaria. Contempla e gioisce quel frugoletto, come gioisce il servo fedele che è consapevole di aver fatto tutto ciò che doveva fare e che non chiede null’altro che continuare a servire il suo Signore.

 

Claudio Rasoli


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