17 febbraio 2021

Inceneritore, visto che non chiude almeno date risposte sui tanti dubbi

Sin dalla fase progettuale, nel 1994, e in tutti i passaggi successivi, l’inceneritore di Cremona è sempre stato un corpo estraneo alla città e fonte di polemiche. A innescare il corto circuito comunicativo tra pubblici amministratori e cittadini è stato un complesso di fattori: l’incapacità dei politici di aprire un confronto chiaro con la gente, la pervicacia nel volere collocare l’impianto in una zona considerata inidonea dai tecnici e comportamenti poco trasparenti. Un fatto è certo: Cremona doveva uscire dall’emergenza ambientale. Non esisteva una discarica in tutta la provincia; quelle di Corte Madama e poi di Malagnino furono aperte più tardi. In quegli anni camion stracolmi di immondizia smaltivano il loro carico maleodorante nei vicini centri di raccolta di Casatisma nel Pavese e Mazzano nel Bresciano, ma anche in Meridione. Trent’anni fa non era maturo il concetto di rifiuto come risorsa e la raccolta differenziata era gli albori anche nei Paesi ambientalmente più evoluti. La soluzione più semplice era bruciare, sull’esempio di quanto già faceva Brescia, antesignana in questo campo.                                                                                                                           

Quella che si presentava come una strada obbligata fu viziata anche dalle valutazioni tecniche fatte all’epoca. C’era chi sosteneva che il termovalorizzatore scelto era già vecchio al momento dell’acquisto e i ripetuti guasti fornivano frecce all’arco dei detrattori. Larga parte dell’opinione pubblica era prevenuta anche perché il 18 giugno 1994 si era tenuto un referendum consultivo sulla localizzazione dell’impianto che aveva visto la schiacciante vittoria dei ‘no’ ma che l’amministrazione formata da democristiani e comunisti aveva ignorato con motivazioni speciose. Da allora i sospetti hanno continuato ad aleggiare su quell’installazione che nell’immaginario collettivo si è imposta come maggiore imputato dell’inquinamento atmosferico insieme con la raffineria e col traffico veicolare e concausa del triste primato nazionale della città nell’incidenza dei tumori. Si è tentato anche un maquillage linguistico, imponendo la dicitura termovalorizzatore, con chiara valenza positiva, al posto di inceneritore. Scopo evidente dell’operazione era modificare l’atteggiamento della gente. Ma fatti più recenti e nuovi sospetti hanno contribuito a mantenere viva l’avversione. Non si è mai saputo con certezza se a Cremona sia stata smaltita la spazzatura prodotta in altre province. Più di recente si è appreso invece che per rifornire di acqua calda la rete del teleriscaldamento si bruciava gas metano, con un’enorme dispersione di calore e una consistente perdita economica. In una pubblica riunione tenuta a Crema nel 2011, l’allora consigliere comunale cremasco Beppe Bettenzoli definì l’impianto ‘un catorcio e come tale da chiudere’ L a contestuale replica del rappresentante di Lgh fu perentoria: ‘Non se ne parla’. Invece se n’è parlato, eccome. Al punto che in campagna elettorale nel 2014 il candidato sindaco di Cremona Gianluca Galimberti ne promise la chiusura. Promessa reiterata nel 2019 e disattesa, non per cattiva volontà ma per l’impossibilità oggettiva di mantenerla in assenza di alternative. Il sottosegretario Luciano Pizzetti faceva inserire l’inceneritore nel decreto ‘Salva Italia’, promuovendolo tra gli impianti ritenuti strategici per il Paese. L’inceneritore è sempre stato motivo di frizione (non l’unico ma forse il principale) tra il parlamentare cremonese e il primo cittadino. Il contrasto mai sopito su questo tema controverso è riesploso quando Pizzetti ha di recente definito ‘un abbaglio’ l’impegno preso con la città da Galimberti di smantellare l’impianto che A2A ha invece deciso di chiudere non prima del 2029. Campa cavallo. A questo punto più che il contrasto tra i due ci interessa che l’inceneritore di Cremona smetta di essere un buco nero e diventi una casa di cristallo. Si faccia chiarezza una volta per tutte su ogni aspetto riguardante l’attività industriale e l’impatto ambientale. Che ne è stato del revamping, cioè dell’ammodernamento dei macchinari, annunciato con squilli di tromba? Serviva solo a zittire il coro di voci che vogliono lo stop immediato?   Visto che ci attendono almeno otto anni di convivenza, si faccia subito chiarezza sui dubbi che aleggiano da quel lontano 1994 e dall’accensione avvenuta nel ’97.  E’ il minimo che possiamo chiedere.                                                                                   

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Vittoriano Zanolli


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