Innovazione, prossimità e comunità: tre parole per un archivio
Venerdì prossimo si terrà a Milano l’annuale “Convegno in Archivio” alle Stelline, organizzato in collaborazione con la Sovrintendenza Archivistica della Lombardia. Il tema di quest’anno è dato dalle parole innovazione, comunità e prossimità.
Raramente ho visto temi così centrati e interessanti parlando di archivi. E per quanto possa sembrare come al solito qualcosa di nicchia e per addetti ai lavori, siamo invece in quanto di più comunitario e di pubblico interesse ci possa essere oggi non solo in Italia, ma in tutto questo Occidente così veloce e confuso.
La prossimità è forse il termine più ostico, e quindi lo affrontiamo subito: gli archivi sono “prossimi”, cioè intimamente vicini al territorio, al tessuto sociale ed ai soggetti pubblici e privati che li hanno generati. Sono tracce fisiche di fatti accaduti che si accumulano per esigenze contingenti di spazio, che con il tempo acquisiscono un valore di testimonianza e identità straordinarie: non è un caso che da sempre siano bottino di guerra o obiettivo di distruzione, cosa che incredibilmente è accaduta anche proprio in questi giorni, con gli archivi di Kiev non a caso bombardati dalle armi russe quali obbiettivi sensibili. Questa prossimità degli archivi è una vicinanza anche fisica, direi perfino logistica, al territorio. E nella fragilissima fisicità della nostra era sempre più virtuale, questa fisicità diviene un tema centrale che genera anche difficoltà importanti, che a volte mettono gli archivi nella ingiusta e pericolosa condizione di essere solo un problema da risolvere, e non una straordinaria e irrinunciabile risorsa.
Chi scrive da tempo ha la ferma convinzione che l’ingresso nell’era del digitale stia trasformando gli archivi in vere e proprie riserve auree, una sorta di “Fort Knox” della verità. Per chi ha buona memoria, negli anni ’70 il presidente Americano Richard Nixon prese la storica decisione di abbandonare la cosiddetta parità aurea tra oro e dollaro, iniziando di fatto una escalation di “virtualizzazione” del denaro che ha visto varcare confini inimmaginabili e causare disastri globali come la crisi del 2008. La stessa identica cosa sta avvenendo per i fatti storici: internet ci ha fatto abbandonare la parità tra narrazione storica e testimonianza storica, e cioè abbiamo ormai aperto una incontrollabile spirale di interpretazione, rivisitazione o semplice annacquamento dei fatti storici per come sono accaduti, allontanandoci sempre più da ciò che è realmente accaduto. L’approssimazione devastante e l’umoralità con cui oggi vengono affrontati globalmente sui social perfino fenomeni come i conflitti militari o le epidemie ne sono al più evidente e pericolosa testimonianza. “Se c’è su internet, allora è vero”. Ma internet è un inarrestabile meccanismo di continua ri-manipolazione o adduzione di fatti da parte di chiunque possa accedere alla rete. Esattamente come oggi, nonostante tutta dematerializzazione del denaro, ogni stato nazionale è ancora ritenuto solvibile solo in proporzione alle proprie riserve auree che vengono custodite , così tra vent’anni la credibilità di una società sarà basata sulla quantità e completezza dei propri archivi. E nel mondo definitivamente digitalizzato che ci attende, la carta e il documento avranno un valore inestimabile.
Chiarito questo aspetto epocale, si innesta il tema della innovazione, che viene banalmente ridotta alla digitalizzazione della carta. La digitalizzazione della carta non è che un mero strumento di maggiore più rapido accesso e consultazione della carta, ma non è in alcun modo la sua sostituzione. Inoltre, l’innovazione è un campo ben più ampio della semplice dematerializzazione. Oggi le innovazioni tecnologiche consentono di costruire avveniristici impianti di stoccaggio e custodia della carta, completamente automatizzati e sicuri da ogni punto di vista capaci di trasformare i problemi in soluzioni. Dei veri e propri caveaux tecnologici che ci permetteranno di custodire e riscoprire la nostra storia locale e nazionale, che è ancora di salvezza nel maremoto di incertezze che sempre più ci investe, complice una tecnologia ormai drogata dai peggiori imbroglioni, dai più improvvisati gestori e dal limbo di irresponsabile anonimato in cui ci troviamo troppo spesso impaludati perfino per prenotare un biglietto o una visita medica o per accedere ai nostri risparmi.
C’è poi l’ultima parola: comunità, che è di fatto la somma di tutti gli aspetti che abbiamo affrontato fin ora. Comunità è luogo fisico, è storia, incontro, scambio, è conoscenza e divulgazione. L’archivio è e deve essere tutto questo. Luogo fisico di custodia della storia, di conoscenza e confronto basato su quella reale conoscenza dei fatti e non su ipotesti o impressioni o peggio su falsità. Luogo di studio e di insegnamento, didattico e interattivo per tutti: dai ricercatori universitari fino ai piccoli alunni delle scuole elementari, dai professionisti ai semplici nomarli cittadini curiosi, con percorsi pensati e dicati ad ognuna di queste categorie. Luogo adatto a passare anche il tempo libero, con giardino accogliente, un bar o un ristorante, perché si possa passare una giornata di relax gettando un occhio alla nostra storia. Oggi perfino chi si occupa di real estate, e cioè di vendere proprietà immobiliari di lusso, ha deciso di abbandonare il marketing tradizionale per abbracciare la cosiddetta “emotional experience”, costruendo ciò dei veri e proprio percorsi-evento per gli acquirenti. E non è un caso che tutti i grandi marchi del mondo che hanno deciso di puntare tutto sulla vendita on line, hanno contemporaneamente costruito fondazioni ed enormi negozi per i propri clienti più importanti. Insomma, il luogo fisico diventa privilegio, diventa accesso riservato ai migliori.
Quello che i musei furono per l’Ottocento , gli archivi saranno per il nostro nuovo secolo: se allora non si poteva vedere il mondo, la storia, gli animali e le civiltà se non percorrendo gallerie espositive, oggi che tutto noi possiamo guardare da un telefono, ciò che sempre più cercheremo è invece una esperienza conoscitiva fisica, un contatto diretto con i fatti accaduti che ci lasci una emozione legata alla conoscenza.
Tutto questo non solo è possibile, ma è assolutamente necessario se vogliamo salvarci dalla slavina di confusione, paura, sciocca emotività e mistificazioni che rischia di travolgere l’Occidente in maniera terribile e inarrestabile.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
(la foto del professor Martelli è di Irina Mattioli)
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