10 luglio 2021

L’emergenza archivi è ormai nazionale: modelli e soluzioni per un “Piano Nazionale Archivi”

Molto scalpore ha destato nei giorni scorsi un articolo de Il Fatto Quotidiano a firma di Leonardo Bison, ripreso anche su Cremonasera da Fabrizio Loffi, sulla drammatica situazione di molti archivi italiani, chiusi o a rischio chiusura a causa di carenze strutturali, di personale e di risorse. Per la verità l’emergenza non è nuova, un paio di anni fa sono stati casi nazionali le chiusure degli archivi a Lodi e Napoli. E non sono nuove nemmeno le cause dei problemi: carenze di personale, mancanza di denaro e di manutenzioni. Ma anche queste, permettetemi, sono storie un po' vecchie. In una Pubblica Amministrazione che ha carenze strutturali ormai incolmabili, gli archivi non possono certo ambire ad essere presi in primaria considerazione: abbiamo troppe altre emergenze sistemiche, anche in ambito culturale, per poterci preoccupare anche degli archivi.

Sì è vero, sono storia della patria, e sono molto più importanti di quanto immaginiamo, ma non hanno lo stesso “sex appeal” delle pinacoteche, dei musei, dei monumenti, che già languono in situazioni a volte drammatiche. C’è poco da fare: abbiamo troppo patrimonio culturale per poterlo salvare tutto, lo sappiamo. Ma non possiamo non tentare, e gli archivi vanno salvati: un archivio non è meno importante di una cattedrale o di una pinacoteca: è la nostra unica vera “Historia Patriae”, in questa Italia che come diceva Yannis Kounellis ha una identità tutta pittorica e non letteraria, e che ha una storia continuamente imposta e riscritta dai tanti conquistatori, occupanti e finanziatori stranieri. Gli archivi sono praticamente l’unica fonte storica reale, non viziata, che abbiamo per ricostruire con un po' di lealtà le nostre vicissitudini italiche. Ma c’è di più: gli archivi servono alla quotidianità. Dovete vendere o compare un immobile? Dovete passare dagli archivi per verificare gli atti di fabbrica. Dovete ristrutturare un edificio o una scuola? Dovete passare dagli archivi per verificare lo stato dei cementi armati o delle strutture portanti, o degli interventi eseguiti in passato. Perfino se muore un vostro caro e dovete trovargli una collocazione al cimitero, dovete passare dagli archivi. Perfino per ottenere la cittadinanza si passa dagli archivi. 

Ma la soluzione al problema non può risiedere in uno schema vecchio come “più personale = più efficienza”, e nemmeno nell’elemosinare denari che non arriveranno mai per rimettere a norma i vecchi archivi. Occorre cambiare schema, e mentalità, puntando su alcuni passaggi essenziali.

*Creare il bisogno: in macroeconomia si dice che se la società non ha bisogno di te, devi creare il bisogno che solo tu puoi soddisfare. Gli archivi devono creare il bisogno degli archivi, o meglio rendere evidente che metà della nostra vita, che ahinoi è burocratica, si regge sulla corretta tenuta degli archivi. Questa è una realtà ignorata dai più, che gli archivisti hanno il dovere di richiamare continuamente con ogni mezzo ogni giorno all’attenzione di tutti. 

*Offrire funzionalità: se non si funziona, e non si è funzionali, non si è utili. Se non si è utili, non si ottengono né risorse né attenzioni. Un archivio ben organizzato fa risparmiare al cittadino tempo e alla Pubblica Amministrazione spazio, le due misure più costose nella società contemporanea. Occorre dimostrare che un archivio efficiente ha delle ripercussioni positive sulla vita quotidiana del cittadino. E l’efficienza non è più data dalla quantità di personale, ma dalla qualità e soprattutto dalla organizzazione del personale, che nasce dalla applicazione di processi e procedure standard costruite sulla buona pratica, che consentono a chiunque di inserirsi rapidamente in un meccanismo ben organizzato.

*Fare economie di scala: concentrare gli investimenti in strutture moderne, robotizzate e centralizzate, invece di disperdere risorse a pioggia sulle singole realtà locali senza risolvere i problemi. Tradotto: realizzare  regionalmente strutture d’archivio meccanizzate, moderne, con rischi incendio e allagamento azzerati, con procedure standardizzate di estrazione digitalizzazione e invio della pratiche al richiedente. Trasferire in sostanza la competenze e i fondi amministrativi a strutture moderne centralizzate, lasciando agli archivi locali la sola gestione dei fondi storici di pregio, riservati a studenti e ricercatori, in modo da ridurre costi, manutenzioni e spazi necessari, oltre al personale dedicato.

*Aprirsi alla società: gli archivi non possono più essere dei Sancta Sanctorum inviolabili destinati solo alla conservazione gelosa del proprio patrimonio, ma istituzioni culturali aperte, didattiche e interattive. Un archivio che non faccia divulgazione, che non interagisca con il tessuto sociale della propria città  finisce per essere un magazzino, ed il magazzino diventa un ripostiglio in cui non si trova più nulla. L’ordine e l’efficienza viaggiano di pari passo con la divulgazione e la didattica: sono i due piedi su cui cammina imprescindibilmente una Istituzione. Ne sono un esempio indiscutibile l’Archivio di Stato di Milano, diretto da Luigi Compagnoni, e la Sovrintendenza Archivistica della Lombardia affidata ad Annalisa Rossi: due figure estremamente innovative in campo archivistico, che hanno aperto e lavorano perché si aprano gli archivi alla società, con la divulgazione a la diffusione della storia documentale italiana.

Tutto questo non è solo realizzabile, ma è già una realtà. Il Comune di Milano, con i suoi 380 kilometri lineari di archivi sparsi in oltre 150 edifici, ha iniziato 15 anni fa un lungimirante e arditissimo piano di efficientamento dei propri archivi che ha attraversato ben tre diverse Giunte, di due colori diversi, con Sindaci , Assessori e Dirigenti che hanno creduto e ancora credono in una mastodontica operazione di efficientamento degli archivi, iniziata nel 2007 con un investimento di 4 milioni di euro. I risultati? Immobili sgombrati e recuperati ad altri usi per oltre 20 milioni di euro, con un aumento dell’ 800% delle richieste evase ogni anno: dalle circa 3.000 dei vecchi archivi alle oltre 24.000 di Cittadella, con processi standard certificati di immissione, estrazione,  consultazione e digitalizzazione delle pratiche, che ancora oggi non bastano, con l’esplosione burocratica degli ultimi anni. Senza queste scelte coraggiose, avremmo certamente assistito ad un corto circuito amministrativo devastante. 

Un modello che oggi veniamo chiamati a raccontare in molte università italiane, e in cui il Comune ha deciso di investire altri 13 milioni di euro, con la possibilità di rendere il proprio modello accessibile anche a realtà esterne all’Amministrazione Comunale.

Il mondo cambia rapidamente, verso scenari che sono molto difficili da immaginare, ma a cui noi rischiamo di applicare schemi superati. I modelli innovativi di gestione del nostro patrimonio culturale e amministrativo ci sono, vanno adottati con un po' di coraggio, ma soprattutto cedendo ognuno un po' del proprio terreno locale al campo del bene comune, almeno regionalmente. Un “Piano Nazionale Archivi” non solo è immaginabile, ma realizzabile partendo da esperienze concrete ed efficienti. Noi ci siamo.

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano

Francesco Martelli


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