6 giugno 2021

L'Eucarestia, antidoto all'indifferenza

Giugno profuma di grano. Attraversando le nostre ridenti campagne il cuore si allarga nel vedere le spighe bionde agitarsi all’unisono in base ai capricci del vento. È vita che si rigenera e che spande speranza, sarà pane spezzato sul desco familiare, profumo di buono, fragrante nutrimento per chi suda per mantenere la famiglia. In questo mese, in cui si gustano i primi caldi e la natura lussureggia con potenza e prodigalità, la Chiesa celebra con tutta la solennità di cui è capace la sua “festa del Pane” - il “Corpus Domini” -, quel pane spezzato da Gesù nell’ultima cena, subito dopo essersi cinto dell’asciugatoio e aver lavato i piedi ai discepoli, forse il gesto più rivoluzionario della storia: regnare è servire, comandare è spezzarsi fino a dare la vita.

Il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach sosteneva che “l’uomo è ciò che mangia” e io aggiungere anche “l’uomo è come mangia”. Il modo con cui ci si nutre manifesta il proprio rapporto con il mondo e gli altri. Non sono un esperto in materia, ma mangiare velocemente e con  voracità non potrebbe indicare una visione “predatoria” della vita? Viceversa mangiare lentamente, gustando i cibi, alzando lo sguardo dal piatto per cercare anche una dimensione relazionale, non potrebbe indicare una visione “eucaristica”, cioè di riconoscenza, di stupore, di rispetto?

Non dimentichiamo che il primo peccato è in fondo un peccato di voracità. Eva, istigata dal serpente, vede che l’unico albero proibito del giardino – immagine del limite che l’uomo in quanto creatura non può valicare – è buono da mangiare, è piacevole all’occhio, è desiderabile per acquistare saggezza. 

C’è dunque una “voracità orale” che rimanda al primo rapporto tra il bambino e la madre. Il neonato riconosce la mamma anzitutto dal seno che lo allatta e solo piano piano alza lo sguardo per cercarne il volto così da comprendere che essa non è solo una “dispenser” di cibo, ma una persona con cui entrare in relazione. Il processo di svezzamento è certamente fondamentale e delicato perché, se non condotto con equilibrio e serenità, lascia strascichi profondi che si ripercuotono nella propria capacità relazionale e di approccio con il mondo esterno.

C’è poi una “voracità estetica” che richiama la forza della bellezza. Tale esperienza si compie negli anni della maturazione e anche in questo caso può contenere delle minacce. La bellezza, infatti, incanta, seduce, trascina, meraviglia, può aprire il cuore al mistero, al trascendente, alla mistica dell’amore, anche sensuale, ma allo stesso tempo può trascinare l’uomo negli abissi del piacere fine a sé stesso, della ricerca spasmodica del proprio godimento, dell’uso dell’altro come un semplice arnese, della mercificazione del corpo, fino alla perversione e all’abuso. I danni della “pornografia”, sempre più fruita dai ragazzini, sono incalcolabili in termini di donazione all’altro, tenerezza, rispetto, stupore.

C’è, infine, una “voracità politica”. La Genesi parla di acquisizione di sapienza e quindi di dominio: chi conosce, infatti, ha le leve del comando e può soggiogare gli altri con facilità ed efficacia. Il potere ha sempre un fascino straordinario, è uno degli antidoti alla morte, al pari dell’accumulo delle cose e del denaro. C’è chi intende il potere come vero e proprio esercizio di carità e chi lo interpreta solo come strumento di sottomissione degli altri e di affermazione di sé. 

Se il primo gesto di disobbedienza è, dunque, un atto di voracità, la rivendicazione del proprio arbitrio, la ricerca ambiziosa di un proprio posto nell’universo al pari di Dio, il primo gesto dell’alleanza nuova, che si compie in quella stanza al piano superiore, è un atto di donazione, di condivisione, di ringraziamento.

L’Eucaristia è antidoto alla voracità, all’indifferenza, al menefreghismo. Ha spiegato mirabilmente Papa Francesco durante l’omelia del Corpus Domini del 2019: “Quella di Dio è un’onnipotenza umile, fatta solo di amore. E l’amore fa grandi cose con le piccole cose. L’Eucaristia ce lo insegna: lì c’è Dio racchiuso in un pezzetto di pane. Semplice ed essenziale, Pane spezzato e condiviso, l’Eucaristia che riceviamo ci trasmette la mentalità di Dio. E ci porta a dare noi stessi agli altri. È antidoto contro il “mi spiace, ma non mi riguarda”, contro il “non ho tempo, non posso, non è affare mio”, contro il guardare dall’altra parte”.

L’Eucaristia, la vita di Cristo spezzata per l’uomo, ricorda che la vocazione prima del cristiano è il servizio, soprattutto nei confronti degli ultimi e dei poveri. 

Oggi più che mai abbiamo bisogno di cristiani coraggiosi che sappiano spendersi nel servizio al prossimo, nella carità concreta. Cristiani eucaristici che sappiamo spezzare la propria vita per gli altri, così come Gesù ha fatto per loro.

Nella nostra società, accanto a tante gravi situazioni di indigenza materiale, crescono a dismisura povertà morali e spirituali. Coniugi in difficoltà di relazioni, rapporti difficili tra genitori e figli, ludopatia, abuso di alcool o di stupefacenti, una sessualità troppo precoce tra adolescenti inquinata dalla pornografia, mancanza di un senso alla vita che porta all’apatia o peggio alla disperazione, una crescente ignoranza culturale. La dimenticanza o addirittura la perdita del sentimento religioso, foriero di valori saldi e di un senso profondo di comunità, ha un indubbio riverbero sociale. Per non parlare della totale assenza di categorie umane e cristiane per affrontare la grande assente eppur così prepotentemente presente: la morte.

Sono questi i versanti sui quali i cristiani giocano la loro testimonianza: dare risposte di senso ai tanti smarriti della vita, consigliare, accompagnare, sorreggere, ma anche mettere le persone di fronte alle proprie responsabilità. Di fronte al disagio di tanti non voltiamo la faccia: mettiamo in circolo la nostra speranza e quell’umanità piena e contagiosa di cui ci parla continuamente il Vangelo. 

Il pane è più gustoso e fragrante quando è condiviso!

Claudio Rasoli


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