2 giugno 2024

L’Eucaristia è il miglior antidoto alla voracità e alla indifferenza

La festa del Corpus Domini spesso coincide con il biondeggiare dei campi seminati a grano. Le spighe cariche di semi ondeggiano febbricitanti seguendo le bizze del vento a volte impetuoso spesso più delicato; colpisce e suggestiona questa uniformità ed eleganza dei movimenti: ricordano l’agitarsi dello Spirito nella vita degli uomini. Sono macchie d’oro che trasmettano un senso di abbondanza, di pienezza! È la stessa sensazione che si prova davanti a quei pezzi di pane casereccio, fragranti, rustici, gustosi, che saziano lo stomaco, ma anche il cuore.

Gesù non poteva scegliere alimento più semplice, quotidiano, ma allo stesso tempo essenziale come il pane. È un cibo che accompagna la quotidianità dell’uomo, il suo ancestrale bisogno di convivialità e di relazioni: una mensa senza pane e senza vino è una mensa povera, che non offre gioia e sazietà. Manca di qualcosa! Il pane accompagna e riempie la ferialità dell’uomo, come l’Eucaristia.

Oggi è la festa del Pane, oggi si compie la promessa di Gesù: “sarò con voi fino alla fine del mondo”! Istituendo il sacramento eucaristico Dio si è compromesso fino in fondo con l’uomo, fino al limite estremo: non può più ritrarsi, non può più cancellare la sua alleanza. Ogni volta che un sacerdote pronuncerà quelle parole spezzando il pane e versando il vino, Dio si farà presente, in maniera reale ed efficace, sulla mensa. Le mani del presbitero saranno indegne? La comunità che celebra sarà sgangherata, incredula, divisa? Non importa, il prodigio avviene ridestando sempre nuovo stupore e devoto ossequio nella Corte Celeste! 

Non è certo un gesto magico quello che si compie, ma il compimento di una promessa! La magia, d’altra parte, si impone in maniera prepotente e violenta sulla realtà; Dio, invece, si offre rispettando pienamente la libertà dell’uomo. Cristo non è mai entrato a gamba tesa nella vita delle persone, al contrario in maniera delicata, quasi dimessa, ha solo offerto il suo amore e la promessa di liberare il nostro amore dalle maglie perverse, feroci ed esigenti del peccato. Il libro dell’Apocalisse è chiaro: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3, 20).

Il Vangelo di Marco di questa domenica rammenta anzitutto che l’Eucaristia va preparata e interpretata nel contesto della Pasqua di Gesù. Guai a noi se la “cosifichiamo”, se la rendiamo quasi un amuleto, una cosa sacra da adorare con tanta venerazione ma anche con tanta distanza. L’Eucaristia va prima di tutto celebrata, cioè inserita nel contesto vitale dei credenti! Essa è il pane che sostiene il cammino non dei perfetti, ma di coloro che anelano alla perfezione, al compimento pieno della propria umanità. Non è il premio dei giusti, ma il sostentamento dei peccatori che anelano alla libertà! Celebrare l’Eucaristia significa lasciarsi coinvolgere da quella logica di amore che sostiene e illumina il mistero di morte e risurrezione di Cristo! Significa permettere alla propria esistenza di “spezzarsi per gli altri”, di divenire cibo di speranza per chi l’ha perduta, cibo di senso per chi cerca disperatamente il filo rosso della propria vita, cibo di relazioni per chi è soffocato dalla solitudine. L’Eucaristia ricapitola tutta la vita di Gesù che è stata spesa unicamente per gli altri, per creare comunione, per sanare quell’insaziabilità inclinazione alla voracità che vede nel mondo una preda da conquistare invece che un dono da contemplare e per cui ringraziare.

L’Eucaristia, come la sala al piano superiore, va preparata!

Non si può varcare la porta della chiesa come si entra in un bar qualsiasi. Certo chiacchiericcio prima della celebrazione dell’Eucaristia dice quanto poco i cristiani siano consapevoli di quello che stanno per fare, di chi stanno incontrando. Bisogna essere consapevoli di quello che si sta vivendo, di quale immenso dono siamo i destinatari. Ci viene regalata una compagnia che perdona e ristabilisce l’innocenza e la purezza dell’anima – l’atto penitenziale -, che illumina la realtà e le scelte concrete – la liturgia della Parola –, che offre un sostentamento, un cibo, per continuare quel cammino di conversione e di identificazione a Gesù che è in ultima analisi, la santità del cuore – la liturgia eucaristica -! Una compagnia che, infine, spinge alla missione con il conforto di una parola di bene pronunciata da Dio (i riti di conclusione).

Occorre, però, anche essere consapevoli che c’è anche un costo nel celebrare degnamente ed efficacemente l’Eucaristia. Il costo del proprio coinvolgimento nel sacrificio di Cristo: non dimentichiamo che essa è sì il Pane del Cielo che sostiene il cammino del credente, la sorgente dell’unità con il Cielo e con i fratelli, ma è anche il memoriale della morte in Croce di Gesù e della sua risurrezione. Nell’Eucaristia c’è una imprescindibile dimensione drammatica: per poterla assaporare in tutta la sua grandezza ed efficacia bisogna essere disposti a morire a quella parte del proprio cuore che ricerca solo sé stessa, la propria autoaffermazione, il proprio prestigio e coltiva l’indifferenza, il disprezzo, la voracità. L’Eucaristia, se presa sul serio, trasforma e ogni trasformazione porta in sé qualcosa di doloroso e impegnativo!

Papa Francesco durante l’omelia del Corpus Domini del 2019 ha splendidamente sintetizzato questi concetti: “Quella di Dio è un’onnipotenza umile, fatta solo di amore. E l’amore fa grandi cose con le piccole cose. L’Eucaristia ce lo insegna: lì c’è Dio racchiuso in un pezzetto di pane. Semplice ed essenziale, Pane spezzato e condiviso, l’Eucaristia che riceviamo ci trasmette la mentalità di Dio. E ci porta a dare noi stessi agli altri. È antidoto contro il ‘mi spiace, ma non mi riguarda’, contro il ‘non ho tempo, non posso, non è affare mio’, contro il guardare dall’altra parte”. L’Eucaristia è il miglior antidoto alla voracità e all’indifferenza.

 

Claudio Rasoli


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