L’invidia... quello “sguardo bieco” sulla realtà!
Quella delle Palme è la domenica delle grandi contraddizioni. Essa rivela il tumulto che c’è nel cuore dell’uomo che prima canta esultante l’“Osanna” e immediatamente grida feroce “Sia Crocifisso”. L’uomo è così: altalenante nelle emozioni, facilmente influenzabile da chi detiene il potere, conformista con il pensiero dominante. Non dobbiamo stupirci se la folla di Gerusalemme passa in pochi giorni dall’entusiasmo per l’arrivo di Gesù nella “città che uccide i profeti” all’acrimonia urlata nel litostroto della Fortezza Antonia, sede del governatore di Roma. Non ha fatto così anche Pietro? Nell’ultima cena ha giurato che non avrebbe mai abbandonato il Maestro e che per nulla al mondo lo avrebbe tradito, ma passata solo qualche ora il canto del gallo avrebbe sancito il suo triplice tremendo rinnegamento! Lo stesso vale per gli altri discepoli: così baldanzosi a parole e poi così pavidi quando occorreva difendere e sostenere il Maestro durante il processo prima religioso del Sinedrio e poi politico di Pilato.
Gesù è solo a testimoniare la verità e lo fa quasi in silenzio! Se parlasse i ruoli si invertirebbero e da imputato passerebbe a giudice di quegli uomini piccoli e infingardi che pretendono di parlare o di amministrare la giustizia in nome di Dio. Il suo è un silenzio di misericordia e di compassione. Il progetto celeste è che Gesù prende il posto dell’uomo in un perfetto gesto di amore e di donazione necessario per spezzare una volta per tutte quella storia di male inaugurata dalla disobbedienza di Adamo e amplificata dall’arroganza e dalla presunzione di generazione e generazioni di uomini e di donne dal cuore perfido!
A tal proposito assai rivelatore è il momento in cui Pilato, in un ultimo tentativo per liberare Gesù, lascia alla folla la possibilità di scegliere chi rimettere in libertà in occasione delle Pasqua ebraica: Barabba o il Nazareno. In realtà non è la turba a scegliere, ma è Gesù stesso che si offre al posto di quel ladro, uno zelota tra i più sanguinari, un assassinio che disprezza la vita di chi non la pensa come lui, un violento che professa la sua fede nella spada e nella forza. Quel Barabba che letteralmente significa “figlio del padre” non è altro che l’uomo di ogni luogo e di ogni tempo, è l’uomo, tronfio di sé, che crede solo nel potere e nella sopraffazione. Gesù si offre perché egli posso diventare davvero “figlio del Padre”, cioè recuperare un rapporto vitale con Dio.
Gesù prende il posto dell’uomo, il vero condannato dalla storia, per offrire una grande lezione che ha letteralmente mutato il modo di vedere la realtà: l’amore è la sola vera rivoluzione che può cambiare le cose, che può sconfiggere il male, che può sanare le disuguaglianze, che può rivelare all’uomo la sua intima grandezza, la sua vocazione.
Pur nella sua perversione la folla di Gerusalemme, ad un certo punto, esprime una verità profonda: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”. Tanti l’hanno letta come una maledizione, molti l’hanno usata per giustificare, anche in seno alla Chiesa, l’infame persecuzione degli ebrei nel corso dei secoli. In realtà il popolo sta profetizzando! Veramente il sangue di Gesù ricadrà su di loro ma come una benedizione, come una grande dono purificatore, come una carezza di Dio che ora più che mai manifesta una misericordia straordinaria. Quel sangue, segno di una vita sparsa per la salvezza di tutti, lava la disobbedienza dell’uomo e lo riporta alla sua bellezza originaria. Quella bellezza che gli viene da un rapporto autentico e fecondo con Dio!
C’è, però, una frase nella Passione di Matteo che mi ha particolarmente colpito e che, in fondo, riassume il motivo del voltafaccia dell’uomo riguardo a Dio: “Sapeva bene (Pilato) che glielo avevano consegnato per invidia”.
L’invidia che è una delle figlie predilette dell’orgoglio e della superbia, è in fondo il motivo per cui l’uomo ha rinnegato il Cielo ma anche sé stesso!
Non è forse per invidia delle prerogative di Dio che Eva ed Adamo hanno mangiato del frutto proibito? Non è per invidia che venne perpetrato il primo omicidio dell’umanità con Caino carnefice e Abele vittima? Non è per invidia che la gente di Babele innalzò la torre per conquistare il Cielo? Non è per invidia che Giuseppe, prediletto da Giacobbe, fu venduto dai suoi fratelli? Per non parlare di Saul che cercò di assassinare Davide acclamato dal popolo per i suoi successi militari…
Invidia etimologicamente viene dalla radice latina in-video che indica il guardare con sguardo bieco. Alla base dell’invidia c’è, generalmente, la disistima e l’incapacità di vedere le cose e gli altri prescindendo da sé stessi: l’invidioso è portato a misurare tutto a sé. L’invidioso è generalmente un frustrato, un egocentrico, capace di rapportarsi agli altri esclusivamente in modo competitivo. Tra gli atteggiamenti tipici dell’invidioso primeggia il disprezzo di ciò o di chi si invidia. L’invidia provoca uno stato di profonda prostrazione: con il suo comportamento l’invidioso è come se gridasse al mondo: “Io sto male per colpa tua, perché tu metti in luce la mia inferiorità! Devo assolutamente evidenziare le tue mancanze, i tuoi difetti, facendoti sentire ridicolo: farò in modo che anche tu soffra come me!”.
L’invidia e naturalmente la superbia hanno spinto Satana a ribellarsi a Dio. Il diavolo non accetta di essere al di sotto di qualcuno, egli preferisce regnare all’inferno piuttosto che servire in Paradiso e spinge l’uomo in questo baratro di presunzione, arroganza e narcisismo spregiudicato.
È l’invidia che allontana l’uomo da Dio e lo dipinge come un tiranno senza pietà, un nemico acerrimo della libertà personale, un censore severo dell’autorealizzazione di ciascuno. Per invidia i sacerdoti hanno consegnato Cristo a Pilato, per invidia noi lo teniamo a distanza perché gelosi di una autonomia assoluta e slegata da ogni riferimento che a lungo andare conduce allo smarrimento, alla disperazione.
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