L’umanesimo digitale: nuove opportunità per i nostri beni culturali
Si chiama Master in “Digital Humanities”. Organizzato dall’Università degli Studi di Milano in collaborazione con il Comune di Milano, è nato sull’onda della collaborazione pluriennale tra il Dipartimento di Studi Storici e la Cittadella degli Archivi, ed il prossimo 4 febbraio scadranno le iscrizioni per la terza edizione, in partenza l’11 marzo.
E’ rivolto a tutti i laureati in scienze umanistiche che vogliano una formazione informatica e digitale, e a tutti i laureati in scienze informatiche che vogliano una formazione umanistica. L’obiettivo è quello di unire le conoscenze umanistiche e quelle informatiche per metterle al servizio della conservazione e della valorizzazione del nostro immenso patrimonio culturale. Finito questo spot che spero mi concederete (qualche anno fa si sarebbe chiamata pubblicità progresso…), ora cercherò di spiegare perché ne voglio scrivere.
“Digital Humanities” è un termine che personalmente non amo come tutti gli inglesismi imperanti, e trovo che “Umanesimo Digitale” non abbia meno effetto o importanza, ma l’internazionalità è uno dei segni dei tempi e come tale va evangelicamente tenuto da conto.
La maggior parte della tecnologia e degli sviluppi digitali oggi dedicati ai beni culturali sono a mio avviso decisamente sottoutilizzati e sottostimati, fatto salvo per alcuni eccellenti e costosissime eccezioni. Per lo più si limitano a servizi di prenotazione on line dei biglietti o a dei siti internet dedicati fondamentalmente a presentare brevemente i contenuti e supportare la visita ad un museo, palazzo, sito archeologico, spettacolo teatrale e via dicendo. Non parliamo poi del proliferare delle riproduzioni virtuali con viste a 360° di monumenti e sale museali che hanno ormai invaso la rete e che non hanno senso alcuno, se non quello di malamente raffigurare il patrimonio artistico facendoci peraltro scappare la voglia di andarci di persona. Non facciamoci illusioni: per quanti sforzi la tecnologia possa fare, ciò che è stato concepito dal genio per la fruizione personale e dal vivo non potrà mai essere sostituito da alcuna realtà virtuale.
Migliore è decisamente il contributo che la tecnologia può dare all’archivistica e ai documenti: dato che nella maggior parte dei casi ciò che interessa all’utente è la consultazione di uno scritto e non la sua contemplazione materiale, la possibilità di consultarlo da remoto e in alta definizione è per gli archivi una vera e propria rivoluzione da assecondare pienamente. Un perfetto paradosso: nulla è in antitesi al digitale come la carta, e nulla è più aiutato e valorizzato dal digitale come la carta.
Eppure, l’altro giorno durante la maratona per le tesi di laurea dei nostri studenti del Master, ho avuto alcune prove brillantissime di come possiamo utilizzare la tecnologia per recuperare il nostro patrimonio culturale scomparso. E mi spiego.
Tutto l’immenso patrimonio artistico italiano che oggi possiamo ammirare non è che una traccia, in molti casi assolutamente sbiadita, di ciò che l’Italia ha rappresentato per la storia della civiltà umana e dello splendore incredibile che Essa irradiava nei secoli passati. Se guardiamo il Colosseo o i templi di Selinunte ci appare evidente quanto oggi possiamo solo vedere una minima parte di quello splendore antico: tante ricostruzioni in 3D ed anche cinematografiche sono state fatte della Roma antica, ma nessuna mai ci ha riportato lo sfarzo inimmaginabile degli interni delle basiliche e delle dimore patrizie: pavimenti e pareti ricoperti non solo di marmi multicolori, ma addirittura di oro e argento tempestati di pietre preziose e sormontati dalle travi in cedro del Libano dei soffitti che venivano interamente ricoperte di magnifico avorio bianco. Cose davvero inimmaginabili, di uno sfarzo mai più raggiunto nella storia dell’uomo. Quando poi visitiamo cattedrali o palazzi tendiamo a sottovalutare molto più che rispetto agli antichi monumenti cosa essi fossero in passato: ci sembrano finiti, completi, conservati, ma la maggior parte di quadri, sculture, monili, vasi, mobili che oggi si trovano sparsi per i musei di tutto il mondo, beh si trovavano in gran parte proprio nelle nostre cattedrali e nei nostri palazzi che erano scrigni meravigliosi contenenti tesori inimmaginabili in quantità immisurabili. Penso banalmente a un luogo come Santa Maria delle Grazie a Milano: nota in tutto il mondo per l’adiacente Cenacolo vinciano e per essere uno dei migliori esempi di architettura rinascimentale, era inoltre ricolma di opere straordinarie, come ad esempio la Crocefissione di spine del Tiziano che si trova oggi al Louvre. Lo stesso possiamo e dobbiamo dire dei numerosissimi splendidi palazzi che riempiono tutte le nostre città: oggi veniamo costretti a visitarli come se fossimo degli acquirenti guidati da un agente immobiliare che ci fa vedere la casa vuota: ne ammiriamo i pavimenti i soffitti e gli infissi, ma ce la dobbiamo arredare da soli. Ebbene quei palazzi erano un tempo ricolmi di ogni genere immaginabile di opera d’arte.
In questo senso, due dei lavori presentati dagli studenti del Master mi hanno colpito particolarmente. Uno riguardava la ricostruzione della Casa Reina, una quasi mitologica dimora milanese oggi scomparsa di cui non si ha mai avuto un disegno o stampa, un quadro, una raffigurazione. Ebbene, grazie allo studio dei documenti notarili che per secoli hanno suggellato i vari passaggi di proprietà, uno studentessa è riuscita a costo zero a realizzare una attendibile ricostruzione in 3D di quell’edificio. Pensate a quante meraviglie del nostro passato scomparse potremmo ricostruire grazie alla combinazione tra studio dei documenti e tecnologie digitali in ognuna delle nostre città italiane a costi risibili, se non quelli del nostro tempo.
E ancora, una tesi presentata sugli arredi di Palazzo Reale: alla fine degli anni ’20, durante il cosiddetto “Biennio Rosso”, un po' per convenienza un po' per dare un segnale alle masse operaie in rivolta, la Casa Savoia decise di cedere allo Stato italiano numerosi degli splendidi palazzi che aveva “acquisito” durante la formazione del Regno d’Italia. Ebbene quei palazzi erano stracolmi di ogni preziosità artistica che possiate immaginare, e che prese la strada delle nostre ambasciate all’estero, dei musei e a volte dei negozi e delle case private di qualche fortunato predone… In archivio abbiamo rinvenuto gli elenchi di tutti i beni di Palazzo Reale: un elenco sconfinato di arazzi, monili, vasi, servizi di porcellane posaterie e bicchieri, quadri, statue, mobili, tappeti, gioielli, orologi, tendaggi e tessuti dei più preziosi. Immaginate cosa sarebbe poter oggi visitare uno dei nostri palazzi come erano oltre un secolo fa…credo che rimarremmo senza fiato.
Oggi abbiamo grazie alla tecnologia la possibilità non solo di ricostruire gli oggetti che questi splendidi scrigni custodivano, ma anche di poterli recuperare, fotografare e ricollocare virtualmente in quegli stessi spazi, grazie alla documentazione archivistica e alla tecnologia. Un progetto che andrebbe attuato su larghissima scala dallo Stato italiano, e che forse potrebbe anche convincere qualche stato estero a ritornarci un po' di quanto ci è stato tolto. E forse, anche a immaginare che possiamo chiudere qualche sterile museo e tornare a ornare palazzi e chiese con oggetti e opere d’arte, che li trasformerebbero in attrazioni ancor più splendide e in musei “vivi” ben più attraenti e visitati.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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commenti
Dico
2 febbraio 2022 06:32
"Un progetto che andrebbe attuato su larghissima scala dallo Stato italiano". Se progettato in Italia da italiani sicuramente sarà un altro buco nell acqua come il progetto finanziato dallo stato ITsART
Martelli
2 febbraio 2022 07:24
Gentile Dico, capisco lo sconforto. Ma le buone idee vanno almeno seminate... ITsArt non era nemmeno una buona idea purtroppo.