29 dicembre 2024

La famiglia di Gesù: il silenzio del padre e la pensosa riflessione della madre

Ogni anno la prima domenica che segue il Natale è dedicata alla famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. Si tratta di una festa attraverso la quale si vuole ampliare il mistero di Dio fatto uomo considerando la famiglia umana, concreta, uguale alle altre ma allo stesso tempo particolare e unica in cui Egli nasce. Come ogni bambino, Gesù proviene dal grembo di una madre che gli dona di appartenere al popolo di Israele ed è educato da un padre dal quale riceve il nome e la stirpe; tuttavia, per i racconti che precedono quello che oggi si legge, Luca ci ha parlato anche della particolarità di questa famiglia, per via del concepimento verginale di Gesù.

Soffermandoci sul brano di Vangelo che si proclama in questa domenica, si vede bene che esso non è un trattato di sociologia familiare, per cui a fatica si può far derivare come una famiglia deve essere in ogni suo aspetto a partire dalle pagine del Vangelo che parlano della Famiglia di Gesù. È indubitabile che quanto vivono Gesù, Maria e Giuseppe illumina l’essere famiglia di ogni realtà umana, senza però poter derivare da quanto si legge “il modello” che ogni realtà familiare deve applicare per corrispondere alla volontà di Dio. Tuttavia la vita di Maria e Giuseppe che accolgono Gesù, Dio fatto uomo nella carne di un Bambino che cresce fino a diventare uomo, parla ed interpella ogni famiglia, illuminando con quanto loro è accaduto alcune delle esperienze che vivono anche tutte le famiglie, di ogni tempo e di ogni luogo. 

In questa umile prospettiva leggiamo il brano del Vangelo secondo Luca che oggi si ascolta, consapevoli che prima di qualsiasi altro intento l’Evangelista ci racconta questo episodio per parlarci di Gesù e della sua identità: Colui che resta nella Casa di Dio a Gerusalemme è Colui la cui vera occupazione è quella di essere riferito al suo vero Padre e stargli accanto, prima di qualsiasi altra appartenenza. Tutto ciò si vedrà nel corso della vita di Gesù a cui Luca rimanda attraverso questa specie di episodio pilota del racconto che seguirà, ponte tra i racconti dell’infanzia veri e propri e il racconto della vita adulta di Gesù.

Volendo rintracciare spunti per parlare delle famiglie di oggi proviamo ora a cogliere un paio di considerazioni.

La prima che mi sembra particolarmente significativa è l’apertura della Famiglia di Gesù alla religiosità del tempo e del popolo in cui essa vive. La grandezza di uno scrittore e di un poeta è quella di giocare con la lingua in cui compone le sue opere, mettendone in risalto sonorità e peculiarità, arrivando a forzarla fino a toccarne durezze e dolcezze attraverso assonanze, rimandi e un intelligente uso delle regole. Qualcosa di simile avviene anche per i grandi compositori e forse per qualsiasi persona ritenuta “grande” nel suo ambito. Si giunge alla grandezza avendo sempre alle spalle la fatica di assoggettarsi alle regole consegnate, imparandole, assorbendole per poi rielaborarle nella loro potenzialità nascosta. Guardando la vita di Gesù non si può certo dire che sia stato un ebreo devoto secondo i canoni del tempo, eppure è sicuramente stato un pio ebreo, timorato e fedele alla voce di Dio che è risuonata nella storia di questo popolo unico e straordinario. Gesù ha ricevuto la tradizione e ne ha colto la grandezza e le potenzialità, portandole al loro compimento. Anche molti santi nel corso della storia hanno fatto questo. Per tutti, però, c’è stata la sottomissione iniziale alle abitudini e alle tradizioni della religiosità. Non ci improvvisa musicisti, architetti, atleti, poeti e nemmeno uomini e donne di fede. All’inizio è importante e necessario immergersi nelle regole e nelle logiche di una realtà per conoscerla, assorbirla e poi viverla, facendone esplodere le potenzialità presenti ma non ancora espresse, esprimendone la bellezza in tutta la sua potenza, imparando ad apprezzarne le logiche interne e il significato di azioni, gesti e movimenti. Guardando oggi Maria e Giuseppe è significativa la scelta di rendere parte Gesù della loro esperienza di fede, portandolo al Tempio, insegnandogli le preghiere che lì si usavano, accompagnandolo nei cortili, vicino all’altare del culto fin dove era possibile, mettendolo a contatto con la fede di un popolo espressa in quelle particolari forme. Per questo penso sia importante per una famiglia dare un’educazione di fede ai figli, per aiutarli ad avere una visione globale sul mondo, aiutandoli a porsi anche qualche domanda fin da piccoli, senza aspettare il momento in cui, divenuti grandi, queste domande si impongono con durezza, talvolta senza che le persone abbiano alcuno strumento per rispondervi e le si vede aggrappate a visioni magiche di Dio e della vita, magari dilapidando i propri risparmi per trovare qualche soluzione immediata.

Come Maria e Giuseppe, personalmente, mi piace una famiglia che ha il coraggio di compiere il pellegrinaggio della fede e parlare di Dio e della trascendenza ai figli, lasciando loro la libertà di compiere poi il loro viaggio, dando loro la possibilità persino di smarrirsi nelle cose di Dio e di restare al Tempio, come ha fatto Gesù.

In secondo luogo non può oggi non stupirci la pessima figura che i genitori di Gesù fanno, sia perdendo il loro Figlio, sia non comprendendo quanto è accaduto e quanto detto da Gesù con le sue parole. Certamente il testo di Luca vuole puntare ad un significato, più che alla cronaca di un fatto, annunciando l’incomprensione e l’abbandono che accompagneranno Gesù nel corso della sua vita e della sua predicazione. Resta comunque senza ombra di dubbio destabilizzante pensare al comportamento dei genitori di Gesù che oggi diremmo quantomeno “superficiale e inadeguato”. Tuttavia non mi dispiace vedere qui una pagina non meno evangelica di altre più devote, perché il testo, tra le righe, ci dice che anche i buoni genitori, possono sbagliare, possono non comprendere, possono non vedere l’azione di Dio che accade nella vita. E tuttavia in Luca non c’è né biasimo né giudizio per questi genitori che perdono il Figlio e ritrovandolo perdono loro stessi dovendo reinventarsi di fronte alle parole dette da Gesù. Di loro restano solo due atteggiamenti preziosi anche per noi: il silenzio del padre e la pensosa riflessione della madre. E forse questo, più che qualsiasi altra considerazione potremmo oggi fare nostro e imparare dalla Famiglia di Gesù.

Francesco Cortellini


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