24 luglio 2022

La fede si nutre di preghiera e si realizza nella carità

Una delle difficoltà più grandi che il Cristianesimo sta affrontando e che non gli permette di sintonizzarsi con l’uomo contemporaneo è la sua imprescindibile natura comunitaria, che rimanda certo alla necessità di vivere e celebrare la fede insieme, come popolo, ma che è anche qualcosa di più grande! Nel battesimo, infatti, il credente, viene profondamente trasformato nell’intimo e innestato in Cristo nella Comunione dei Santi che gli impedisce di pensarsi come un’isola sperduta nell’oceano e che lo spinge a sentirsi parte di un edificio spirituale in cui ogni membro è essenziale! Sia chiaro non è, semplicemente, un dato di percezione, ma è un vero e proprio cambiamento ontologico, dell’essere!

In Cristo, cioè, si instaura fra i battezzati un legame così intimo e così forte che le scelte, le azioni, i gesti di ciascuno, positivi o negativi che siano, si riverberano sugli altri. San Paolo, nella lettera ai Romani è netto: “Nessuno di noi, infatti, vive per sé stesso e nessuno muore per sé stesso…” (Cap. 14, 7): siamo di Cristo - per certi versi non ci apparteniamo più del tutto - e quindi siamo inseriti in quella comunità di uomini e donne che hanno uno speciale legame con Cristo.

La società di oggi, che ha perso ogni riferimento a Dio e quindi ad una visione comunitaria dell’esistenza, spinge l’uomo ad un disperato egocentrismo, alla smodata ricerca del proprio piacere e della propria autorealizzazione, incurante se il suo modo di vivere possa avere conseguenze negative sugli altri e sulla società nella quale è nato, si è formato e si relaziona! Alcuni “diritti civili”, figli di una cultura radicale che è il trionfo dell’individualismo e del narcisismo, stanno conducendo l’uomo a parcellizzarsi, a rompere ogni legame con quella dimensione “sociale” dell’esistenza e quindi della fede, dimensione che, con tutti i difetti del caso, ha ispirato e condotto intere generazioni a ricercare e ad impegnarsi per il bene comune, in pieno spirito solidaristico! 

E se le associazioni, i partiti, le varie aggregazioni sociali sono in crisi da tempo, lo è di più la Chiesa che non può non richiamare l’uomo a questa realtà! Essa, anzitutto, gli ricorda che la Verità si può solo accogliere al di fuori di sé e non costruirsela in solitaria, a proprio uso e consumo. La Verità, che in ultima analisi è Cristo, travalica e trascende la persona, non è mai afferrabile, manipolabile, condizionabile.

Un rischio che attraversa la coscienza dei credenti anche di vecchia data è vivere la fede individualmente, costruendosi il proprio credo e soprattutto la propria morale in base al proprio “sentire”! Attenzione, non voglio ridurre il Vangelo ad un insieme di comportamenti e di “cose da fare”, ma certamente le scelte cosiddette “etiche”, in ultima analisi, dicono il coinvolgimento vero, profondo, autentico della persona nell’esperienza religiosa. La prova del nove del fatto che credo che Dio è Amore è il mio coinvolgimento pieno e totale nell’Amore che è il fondamento della morale cristiana.

Mi ha fatto sorridere la recente intervista dell’attrice Valeria Marini sul Corriere della Sera che prima confessa candidamente di aver pensato di farsi suora e subito dopo sentenzia che la castità non è poi così essenziale nella vita! Forse la diva immagina che la castità cristiana sia una castrazione della sessualità della persona – cosa che tanti credono! – e non invece una modalità per renderla ancora più bella e attraente per il cuore dell’uomo. Ma questo è solo un esempio di come, oggi, tanti cristiani vivono la loro fede: individualisticamente, al ribasso, in una visione meramente consolatoria, costruita unicamente sul metro umano e soprattutto incapace di scuotere, inquietare, mettere in gioco la coscienza. Una religione così adora gli idoli, non il Dio di Gesù Cristo!

Un antidoto a questa situazione preoccupante e drammatica – quali comunità si possono costruire con cristiani così? – potrebbe e dovrebbe essere la preghiera, rettamente intesa però! 

Non è raro che molti interpretino la preghiera come uno sforzo dell’uomo che cerca di conquistare l’attenzione e la benevolenza di Dio. Il solito equivoco: non sono io che busso alla porta del Padre, ma è il Padre che bussa alla mia porta perché vuole fare comunione con me! La preghiera, quindi, non è una caterva di parole che vomito su Dio perché si accorga di me, riconosca i miei meriti e, soprattutto, si pieghi alla mia volontà – siamo sempre pronti a dare dei consigli a Dio su come si amministra il mondo e la storia -. Questa è la preghiera dei pagani che adoravano degli dei quasi indifferenti, molto umani nei sentimenti e nelle azioni, bisognosi di attenzioni e di adulazioni.

Il Dio di Gesù Cristo, che è Amore infinito, sa di quello che abbiamo bisogno, conosce il nostro cuore, ha ben chiaro quelli che sono i nostri desideri e aspirazioni!

Pregare, come ci insegna Cristo nel Vangelo di oggi, significa anzitutto riconoscere di essere “figli”: all’inizio della nostra preghiera, sottolinea l’evangelista Luca, dobbiamo sempre rivolgerci a Dio con questo titolo che non ha nulla di solenne, altisonante, maestatico, ma che trasmette intimità e confidenza: Padre!

Pregare, dunque, vuol dire ascoltare Dio che sussurra all’orecchio: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto! Nonostante il tuo peccato, la tua indifferenza, il tuo egoismo, la tua pretesa di autosufficienza, in te io continuo a compiacermi! Nulla potrà mai separarci, niente potrà rompere quell’alleanza che ho stipulato con te! Ti guardo e mi compiaccio di quanto ho creato!”.

Pregare è sentirsi immersi in questo amore tanto immeritato quanto travolgente, protagonisti di una storia di salvezza che è iniziata agli albori dei tempi e che nella Croce di Cristo trova il suo momento apicale. È percepirsi parte di qualcosa di grande che avrà il suo compimento nell’eternità!

Pregare è desiderare di contemplare il volto di Dio, l’unica bellezza che rapisce il cuore, l’unica Verità che permette all’uomo di comprendere chi è, da dove viene e soprattutto dove è diretto!

Pregare, in ultima analisi, è sintonizzarsi così tanto con Dio da amare come Lui ama, con quella compassione, quella misericordia, quella pazienza che Gesù ci ha mostrato nella sua carne umana. 

Nel brano della Genesi, proclamato come prima lettura di questa domenica, le parti sembrano invertite! Abramo appare più indulgente di Dio: se Sodoma si salva è grazie alla sua intercessione, perché il disegno di Jahvé è quello di distruggere la città perversa. Mi piace pensare – mi perdoneranno gli esegeti – che Dio voglia educare Abramo, il grande padre dei credenti delle religioni monoteistiche, ad avere uno sguardo di misericordia sugli uomini e per questo lo mette alla prova. Il patriarca prova compassione per quella gente, perché, conoscendo e “frequentando” sempre di più quel Dio che tempo prima lo aveva chiamato da Ur dei Caldei alla Terra Promessa mostrandogli tanta fiducia e benevolenza, sente crescere dentro di sé compassione e misericordia per il suo prossimo. Dio quanto ti tocca davvero il cuore, ti conduce alle vette dell’amore! E chissà, forse, con quel dialogo serrato Jahvé ha voluto saggiare quanto Abramo ha imparato fino a quel momento!

Claudio Rasoli


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


Anna Maramotti

24 luglio 2022 23:11

Constato che dopo la pandemia nei luoghi pubblici è ritornata non solo la vita di sempre, ma si è potenziata. Vi è euforia e a stento ci si ricorda che sono presenti ancora segnali inquietanti di possibili contagi.
Le chiese, al contrario, rimangono quasi vuote: funzioni con pochi fedeli. Non traggo conclusioni perché sarebbero pure illazioni, ma con amarezza faccio presente il fenomeno che non è meramente sociale, ma che ha origine in un'incredulità diffusa, segno di .... (ai puntini di sospensione non so proprio cosa sostituire) e mi taccio.