9 dicembre 2025

La fiducia ai tempi dell’incertezza: quando anche la geografia cambia rotta

In un mondo dove la parola Donald J. Trump cambia la rotta delle sicurezze tradizionali, la parola NATO racchiude il senso di protezione che molti europei davano per scontato, oggi, però, perde parte della sua forza. Il testo della nuova U.S. National Security Strategy rivisto dagli Stati Uniti per il 2025 lancia un segnale netto: Washington non intende “fare da sola l’ordine mondiale” ed esorta l’Europa a “assumere il controllo della propria difesa” entro il 2027.

Nella stessa strategia, l’Europa è descritta come un continente che sta vivendo un “declino di civilizzazione” piegata da migrazione, calo demografico, crisi economiche e perdita di identità, con un avvertimento chiaro: se le tendenze attuali continueranno, il continente potrebbe diventare “irriconoscibile in 20 anni o meno”.  Se la fiducia è alla base delle relazioni, della comunità, della convivenza civile e delle aspettative sul futuro, allora la nuova strategia USA non scuote solo equilibri geopolitici, ma scuote anche la fiducia collettiva degli europei in un ordine stabile.

Per decenni la protezione transatlantica e l’alleanza atlantica sono stati percepiti come garanzia di pace, deterrente contro conflitti su larga scala, scudo per la libertà e la democrazia. Oggi, con la svolta annunciata dagli USA, quell’idea di “garanzia automatica” vacilla: l’Europa, da sola, dovrà ricostruire parte della fiducia perduta.

Questo vuoto, in un momento come quello attuale, con la guerra alle porte dei confini europei, conflitti latenti, tensioni sociali, crisi migratorie, rischia di generare ansie, incertezze, paura. Aspetti che si riversano nelle nostre vite quotidiane, nelle periferie come nei centri, in città grandi e piccole, e che toccano la sicurezza delle comunità, la fiducia reciproca, la percezione di protezione.

Alla luce di questa instabilità geopolitica, il bisogno di fiducia non riguarda solo le relazioni tra individui ma anche la comunità locale, la coesione sociale, la convivenza. In un’epoca in cui la protezione esterna, militare, politica, strategica, non è più data per scontata, crescono le responsabilità interne: mantenere la sicurezza, il rispetto, la solidarietà, la cura dello spazio pubblico.

Non è un caso che crescano fenomeni di insicurezza: baby-gang, furti, aggressioni, degrado urbano, mancanza di tutela nelle periferie. In questo “guazzabuglio moderno” la sfiducia può attecchire facilmente: non nel singolo, ma nella comunità. Quando la fiducia collettiva si sgretola, nelle istituzioni, nello Stato, negli altri, lo spazio per l’inciviltà, la violenza, l’indifferenza diventa più grande. Forse, oggi più che mai, la fiducia deve essere un progetto, non un dato: un progetto quotidiano, sociale, collettivo. Dobbiamo ricostruire fiducia lì dove si indebolisce: nelle relazioni, nelle istituzioni, nelle strade, nei quartieri perché senza coraggio nessuna storia può iniziare. Senza fiducia, nessuna comunità può restare unita. Non si tratta di abbracciare un’ideologia o schierarsi politicamente. Si tratta di guardare la realtà con lucidità: la politica internazionale ci mostra che nulla è garantito per sempre. Ma la fiducia, quella autentica, può nascere anche dal basso: da piccoli gesti, dal rispetto per l’altro, dalla cura del proprio territorio. In un’epoca sconcertante, l’unica certezza che possiamo costruire è dentro noi e tra noi.

Secondo l’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, la parola che meglio interpreta il 2025 è fiducia. Non un termine scelto per moda o suggestione, ma per necessità. In un anno segnato da incertezze politiche, economiche e sociali, la fiducia torna al centro del dibattito come valore etico, culturale e profondamente umano.

Questo desiderio si fonda sulla forza delle relazioni umane: sviluppare legami solidi, affidabili e duraturi non solo tra individui ma anche tra cittadini e istituzioni”, afferma il dossier Treccani, sottolineando come la fiducia sia un concetto che attraversa tanto la dimensione personale (autostima, senso di efficacia) quanto quella comunitaria (coesione sociale, credibilità delle istituzioni).

L’analisi rispecchia un sentimento diffuso. Il tema della fiducia è emerso anche in un recente articolo del Corriere della Sera, che sottolineava quanto il clima emotivo contemporaneo sembri oscillare tra il desiderio di connessione e la paura di esporsi. Una tensione palpabile soprattutto nella sfera affettiva.

Il sondaggio: tra ventenni e cinquantenni, un filo comune

Per approfondire questo scenario, ho realizzato un piccolo sondaggio informale tra due gruppi: giovani tra i 20 e i 30 anni e adulti tra i 40 e i 50. Ne emerge un quadro sorprendentemente uniforme: la fiducia è percepita come il bene più fragile e allo stesso tempo più richiesto.

Tra i giovani, predominano paura del rifiuto, timore di mostrarsi vulnerabili, indecisione e senso di precarietà emotiva. Una generazione iperconnessa ma spesso incapace di trasformare i contatti in relazioni durature. “C’è chimica ovunque”, ha sottolineato uno dei partecipanti, “ma quasi mai continuità”.

Tra gli adulti, invece, la fiducia si intreccia con il peso delle esperienze passate: delusioni, separazioni, responsabilità familiari, paura di ricominciare. Eppure, la sostanza non cambia: il desiderio di affidarsi all’altro esiste, ma viene frenato da un istinto di protezione che rende i rapporti più prudenti, più lenti, più guardinghi.

L’epoca delle emozioni fugaci

Le testimonianze raccolte confermano una sensazione condivisa: viviamo un tempo di emozioni brevi, consumate con la stessa rapidità con cui scorriamo un feed sullo smartphone. La velocità è diventata un valore, ma ha un costo: la perdita di profondità, di presenza, di ascolto.

In questa corsa continua, il tempo ci segna, ci sfiora e spesso ci travolge. Eppure, quasi non ci accorgiamo della portata emotiva e sociale di ciò che sta accadendo: legami che si spezzano facilmente, relazioni che non nascono per paura di soffrire, un crescente desiderio di essere scelti senza però voler rischiare per primi.

Non si tratta, come spesso accade, di un conflitto tra uomini e donne. È un fenomeno trasversale. Un tratto del tempo. Una fotografia di noi.

Un valore da ricostruire

Gli esperti di sociologia dei sentimenti spiegano che la fiducia non è un concetto astratto, ma una pratica quotidiana. Richiede gesti concreti, presenza, continuità. Richiede, soprattutto, coraggio: quello di mostrarsi, esporsi, scegliere.

Le relazioni vivono di micro-rischi quotidiani”, lo scriveva anche Kahlil Gibran, poeta, scrittore ed artista libanese, la sua frase continua così: “Senza questi piccoli passi, nessuna storia può prendere forma. E nessuna comunità può reggere”.

Forse è da qui che si può ripartire: dalle cose essenziali. Da conversazioni vere. Da promesse realistiche. Da sguardi che non fuggono. Da emozioni che non devono essere perfette, ma autentiche.

In un’epoca che corre e confonde, tornare alla fiducia può diventare un gesto rivoluzionario. Non ingenuità, ma una scelta. Non una debolezza, ma un modo per ritrovare la direzione.

La fiducia, quella che costruiamo con noi stessi e quella che doniamo agli altri, non è solo la parola dell’anno, è più profondamente la parola di cui abbiamo bisogno per affrontare il presente ed il futuro. 

 

 

Beatrice Ponzoni


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