La luce splende perché la possiamo accogliere
Spesso e volentieri nel nostro modo di pensare, ripetere significa perdere tempo. Riducendo la conoscenza a informazione, non ha senso ascoltare due volte la stessa notizia, ripetere la lettura di un libro, rivedere lo stesso film, a meno che non ci sia qualche legame particolare con quel film, quel libro o quella notizia.
Nel corso dell’anno ci sono testi dei Vangeli (ma anche di altri libri della Scrittura) la cui lettura torna più volte, nello stesso tempo liturgico o in tempi differenti. Questo perché, certamente un po’ influenzati dal passato in cui pochi potevano leggere e la maggior parte solo ascoltare, ripetere era occasione di approfondimento, per cogliere le sfumature, soffermarsi sui dettagli, comprendere meglio la comunicazione del messaggio che un testo voleva trasmettere.
Così oggi, a pochi giorni dal Natale, rileggiamo una pagina del Vangelo che è stata già proclamata il giorno di Natale e nella Messa feriale del 31 dicembre. Ascoltandola di nuovo sappiamo già quel che ci vuole dire, ma possiamo accoglierlo soffermandoci sulle sfumature, sostando con maggior calma sul testo nel suo insieme.
Per prima cosa non possiamo negare che si tratta di una pagina difficile, perché fa riferimento a conoscenze culturali e religiose del tempo, oggi non più immediatamente percepibili. Per questo è necessario fare lo sforzo di ricollocarci nel contesto in cui probabilmente l’Evangelista scriveva, consapevoli che del passato non abbiamo mai una vera e propria conoscenza certa, ma solo una ricostruzione più o meno sicura.
Giovanni sa che in Dio vi è una sapienza che è all’origine dell’ordine del mondo. Nel rigido monoteismo ebraico questa sapienza è la prima delle creature mediante la quale Dio ha fatto e ordinato tutto ciò che esiste. Avendo conosciuto Gesù, Giovanni può dire che la sapienza di Dio cantata nell’Antico Testamento nel Libro di Proverbi e nel Libro del Siracide è proprio questo Gesù, che molti hanno conosciuto e con cui hanno vissuto. Utilizzando un termine differente, ma di uguale valore, l’Evangelista Giovanni dice che Gesù è il Logos, il Verbo di Dio, cioè la ragione, il principio che dà significato e ordine al mondo, nel quale Dio Padre si rispecchia e mediante il quale il Padre ha dato origine a tutto ciò che esiste.
Dall’altezza di questa riflessione, Giovanni può discendere alla concretezza della sua esperienza: il Verbo di Dio, che è Dio come il Padre, si è fatto carne, è divenuto uomo della nostra stessa realtà, uomo come ciascuno di noi.
Di qui la conseguenza per ciascuno dei suoi ascoltatori, di quel tempo e di oggi: chi cerca l’orientamento per camminare nella propria esistenza, la verità che fa comprendere il bene e il male, il senso della vita per darle pienezza, guardi a Gesù. In Lui, nella sua storia, che l’Evangelista si appresta a raccontare, troverà quel che cerca per dare valore autentico alla propria storia personale.
E seguendo questo insegnamento gli sarà aperta la strada per innalzarsi verso Dio.
Accogliendo Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, l’essere umano può diventare figlio di Dio, cioè dare risposta a quel desiderio che muove Adamo ed Eva quando stendono la mano per cogliere il frutto dell’albero che era stato loro proibito, come dice il Libro della Genesi. In quel racconto i due personaggi vogliono rapire il dono della divinità, illusi dalle parole del serpente. Oggi, accogliendo con fiducia la proposta di vita di Gesù, ci è aperta la strada per accedere al dono di diventare come Lui, di essere come Dio, nel suo Figlio.
C’è un ultimo passaggio che non possiamo dimenticare ascoltando questo brano di Vangelo: la possibilità del rifiuto. Il Verbo che si fa carne è come una luce che brilla nelle tenebre: le tenebre non possono spegnerla, non possono sopraffarla, ma possono non accoglierla. E il rifiuto della luce, il rifiuto della proposta di Gesù è ancora più stridente quando avviene da parte dei “suoi”.
Certamente possiamo pensare che Giovanni intendesse il popolo di Israele che avrebbe dovuto riconoscere chi era Gesù, anche grazie alla testimonianza di Giovanni il Battista con cui l’Evangelista inizia il suo vangelo. Me in senso meno letterale c’è un rifiuto ancora oggi possibile da parte dei “suoi”, di coloro che dovrebbero stare con Gesù. Si tratta del rifiuto personale da parte di cristiani che si dicono tali ma solo di nome e non nella concretezza delle loro scelte e delle loro parole; si tratta del rifiuto da parte dei cristiani riuniti insieme quando nella forma istituzionale di gruppi, associazioni o comunità praticano il Vangelo riducendolo al comodo, al semplificato, un Vangelo prêt à porter, che non può convertire, perché reso innocuo e ripiegato su quanto non compromette, sull’esistente che non si vuole cambiare.
L’altezza del mistero di Dio e la concretezza del mistero dell’uomo si incontrano in questo testo complesso di Giovanni, si incontrano e ci interpellano, chiedendoci, quasi giunti al termine di questo periodo di feste, se in noi abbiamo saputo fare spazio alla luce del Bambino di Betlemme, se l’abbiamo accolta o rifiutata, se stiamo decidendo di custodirla per il nuovo anno che è di fronte a noi, se scegliamo che l’anno che ci è davanti sia buono perché abitato da Dio che si mostra in Gesù o se vorremmo che lo sia per qualche strana alchimia astrologica, casuale, magica che andiamo cercando, talvolta brancolando nel buio. Con questi pensieri, in questi primi giorni dell’anno, auguro a tutti che il 2025 sia un anno inquieto nella ricerca del bene e sereno nella certezza di avere nel Vangelo una luce per trovare la strada.
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