La madre dei fascisti è sempre incinta? Anche quella dei cretini
Umanamente parlando, Landini – segretario generale di una Cgil indegnamente ferita nei disordini del 9 ottobre – è da capire. Il sindacato negli ultimi anni ha perso gran parte dell’antico piumaggio e versa, come tutti i protagonisti del ‘900, in evidente crisi di ruolo. Ma ecco che un manipolo di violenti buzzurri gli offre, sia pur in modo traumatico, un’occasione d’oro: vestire gli eroici panni del difensore delle libertà democratiche contro la marea avanzante del risorto squadrismo fascista. Landini ne ha tratto le conseguenze e decretato ufficialmente da piazza San Giovanni la nuova Resistenza contro chi ‘vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia’. E chi mai progetta il funesto piano?
Quattro energumeni su cui è superflua ogni ulteriore indagine politico ideologica. Basta guardarli per intuire a quale imbarazzante distanza si siano arrestati rispetto allo stadio dell’homo sapiens. Distruttivi lo sono certamente, magari in grado di abbattere un muro a testate. Quel che è sfrenatamente e comicamente fantasioso è attribuirgli facoltà costruttive fino a farne l’avanguardia di un nuovo Regime. Ma che vigore, che affascinante eloquenza nei big della sinistra che – rompendo ogni regola del silenzio elettorale – hanno bandito al suon di ‘Bella ciao’ la Prima Crociata Antifascista del terzo millennio. Eloquenti sì, ma volendo cercare il pelo nell’uovo, un’eloquenza non priva di curiose lacune. Se c’è un fascismo in agguato, dovrà pur esserci da qualche parte il nuovo Mussolini. Dove? Dove sono le sue milizie? Dov’è un Vittorio Emanuele III che gli conferisca l’incarico di formare il governo come accadde il fatale 30 ottobre del 1922?
Non ci risulta che Mattarella abbia per quella data intimato lo sfratto a un Draghi saldamente in sella. E manca, soprattutto, il drammatico contesto internazionale che fece del primo dopoguerra la polveriera che purtroppo conosciamo. La Russia in piena rivoluzione bolscevica rappresentava l’orizzonte rivoluzionario apertamente carezzato dai nuovi partiti comunisti in via di formazione. Era un modello di dittatura collettivista verosimilmente esportabile, specie in paesi di fragili istituzioni liberali e gravissime convulsioni interne come appunto l’Italia, reduce dal famoso ‘biennio rosso’ del 1919-‘20 culminato con le violenze e le illegalità dell’occupazione delle fabbriche. Non si può, se non contravvenendo alle più elementari regole del giudizio storico, ritagliare il fascismo dallo specifico contesto in cui è maturato e s’è imposto per trasformarlo in una specie di improvviso meteorite piombato chissà come e perché su un autentico paradiso terrestre. Cattivi contro buoni, violenza contro legalità, ferocia contro mitezza: balle che riducono la storia a un mediocre fumetto a uso e consumo politico di chi lo confeziona. C’è una bellissima espressione molto cara agli storici: disciplina del contesto. Che vuol dire? Che per avvicinare correttamente un qualsiasi fenomeno del passato occorre restituirlo al contesto generale in cui è maturato. l totalitarismi di destra che in varie forme hanno dominato e insanguinato una parte del Novecento sono impensabili fuori dallo stretto vincolo di reciprocità causale che li collegava alla cruenta costruzione del totalitarismo sovietico. Stiamo parlando di fenomeni estremamente complessi non di un repertorio di figurine di calciatori. Tant’è che gli storici ancora discutono se il fascismo italiano sia nato a sinistra, costola del socialismo, e poi finito a destra o viceversa. E tanto basti.
Non si vede dunque con quale titolo di legittimità si possa astrarlo dal suo tempo per farne una specie di eterna categoria dello spirito applicabile a chiunque e dovunque: Un tifoso violento è un fascista. Un padre che vieta la discoteca alla figlia è un fascista. Un professore che boccia un asino è fascista. Se ormai bastano, per gridare al fascismo, veri o presunti abusi di potere chi è più fascista, ad esempio, dell’on. Provenzano, vicesegretario del Pd e responsabile della bizzarra proposta di estromettere dall’arco costituzionale e dal Parlamento la sgradita avversaria Giorgia Meloni unicamente colpevole di guidare un partito di larghi e crescenti consensi popolari? A fronte di così sconfortante spettacolo di parole in libertà sovviene un richiamo che saggi e filosofi, da Platone ai giorni nostri, hanno rivolto alla politica: custodire e se occorre rifondare un’etica del discorso pubblico. Tradotto: chi si rivolge all’opinione pubblica e parla ai grandi numeri si senta moralmente responsabile di quel che dice e mantenga qualche decente nesso fra le opinioni che mette in circolo e quella serissima e delicata cosa che i nostalgici continuano a chiamare ‘verità’.
E a proposito di verità circa fascismo e antifascismo conviene ricordare che l’antifascismo è ovviamente condizione necessaria per essere democratico. Ma condizione tutt’altro che sufficiente. I più sanguinari tiranni del socialismo reale erano sicuramente antifascisti e altrettanto sicuramente antidemocratici. Questo perenne bisogno di manipolare il passato in funzione del presente non è che una delle tante libertà sottilmente violente che noi vivi ci concediamo a scapito dei morti, evidentemente privi di facoltà di replica e difesa della propria autentica identità. Un malcostume vecchio quanto il mondo ma drasticamente incattivito nell’era dei social e delle realtà virtuali abilmente confezionate dalla piattaforma digitale. Chi ha ancora voglia di sottoporsi alla fatica intellettuale del dubbio, della ricerca, del confronto col documento storico quando è tanto più agevole fluttuare nelle seducenti acque del pressappochismo e del più sfrenato soggettivismo? Non a caso si comincia a catalogare il nostro tempo come ‘epoca della post verità’ Nessun ritegno dunque nell’appiattire fenomeni complessi e nel ridurre vent’anni della nostra storia a banale e brutale manifestazione di male assoluto. Agli amanti dei consuntivi grossolanamente liquidatori dedico dunque con perfido piacere un breve repertorio di benemerenze oggettive. A cominciare dall’Iri, l’Istituto che ricostruì e mise in sicurezza il nostro sistema industriale. O dall’elaborazione di una peculiare visione del mondo articolata su robuste categorie intellettuali e filosofiche di non facile smontaggio. Altrettanto innegabile è che fu il Regime a inventare la nostra industria cinematografica, istituendo fra l’altro la Coppa Volpi tuttora assegnata e inserendo nella Biennale di Venezia la Mostra d’arte cinematografica. Idem per aver concepito il monumentale piano dell’Enciclopedia Italiana Treccani o ufficialmente varato nel ‘25 la Galleria d’Arte moderna di Roma. Insieme ai capitoli bui, ai micidiali errori che l’hanno consegnato al giudizio negativo della storia e della storiografia, il Regime investì dunque in direzioni di cui solo il più ottuso settarismo potrebbe negare il permanente valore culturale.
Cultura: parola lontana anni luce dai miseri trogloditi che il 9 ottobre sono stati colpevolmente- e forse non casualmente- lasciati liberi di distruggere, aggredire e fare da apripista a un nuovo, penoso capitolo dell’uggiosa telenovela fascismo-antifascismo.
Cosa concluderne? Sommessamente ricordando a chi realmente crede che la madre dei fascisti sia sempre incinta, che lo stesso, esattamente lo stesso, può dirsi di quella dei cretini.
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commenti
Danilo Codazzi
21 ottobre 2021 08:32
Veda, non andiamo troppo indietro nell'analisi storica di chi è più cretino, ma chiediamolo a chi è saltato in aria per la bomba di Piazza Fontana, per chi è saltato in aria nella strage dell'Italicus, dove il sottoscritto che era militare, è passato sul posto ed ha visto un paio di carrozze del treno piegate a forma di banana e divelte, a chi è saltato in aria nella strage di Bologna , a chi è saltato in aria nell'attentato con i morti di Piazza della Loggia della vicina Brescia . Tutta gente innocente esattamente come lo è Lei. E' RETORICA ?
Elisabetta Maderi
23 ottobre 2021 19:53
Trovo ineccepibile l'analisi di Ada Ferrari
Pietro Ferrari
3 novembre 2021 01:53
Onestamente la madre dei cretini e dei fascisti non finisce mai di partorire