22 ottobre 2022

La marcia su Roma: l’humus socialista

Tra pochi giorni l’Italia ricorderà i 100 anni dalla Marcia su Roma del 26 ottobre 1922, l’atto che normalmente viene fatto coincidere con la presa del potere da parte di Mussolini e l’inizio della prima dittatura europea di destra, un primato assolutamente italiano cui seguirono poi quella Nazista in Germania (Hitler fu un fervente ammiratore del Duce), quella Franchista in Spagna e via via le altre satelliti come Pétain e Vichy in Francia, Seyss-Inquart in Austria, Horthy in Ungheria, Frank in Polonia e molti molti altri. 

Mai come in questa settimana un anniversario così imponente si presta a coincidenze e dietrologie: ha infatti giurato per la prima volta dagli anni ’20 un Presidente del Consiglio di destra, capo del partito che proprio del fascismo è stato erede storico nella democrazia e, ironia della storia e della politica, è la prima donna Premier italiana, un primato che certo nessuno avrebbe immaginato sarebbe appartenuto proprio al vecchio partito della Fiamma.

Per mia fortuna non faccio il commentatore politico, il mio mestiere è il passato e soprattutto è presentarlo attraverso fatti accaduti che siano testimoniati da documentazione attendibile: preciso questo perché se pare ovvio che quando si parla del presente si giudicano più delle narrazioni che non degli accadimenti consolidati, in realtà molto spesso la narrazione storica prevarica il dato storico e documentale, e la genesi del Fascismo non ne è assolutamente esclusa. Chi scrive ha sempre avuto la fermissima convinzione che il male non accade mai per caso, non è un fenomeno “autotrofo” e nemmeno mefistofelico, nel senso che non sbuca da una nube di zolfo ma ha sempre delle cause molto ben precise: si dice dalle nostre parti che “la culpa l’è na bèla fiòla ma nusùn vol tòla” ( la colpa è una bella figliola che nessuno vuole sposare ndr), ed in effetti tendiamo sempre a dare tutte le colpe a chi il male lo ha fatto materialmente senza troppo indagare sulle cause, perché in fondo ne siamo sempre un po' tutti responsabili.

In questo e nel prossimo editoriale vorrei narrare (in modo molto breve e non certo esaustivo) il terreno fertile, l’humus appunto, sia a sinistra che a destra, che consentì a Mussolini di raggiungere il potere, nella convinzione che la sua scesa non fu un mero atto di violenza ma la somma di tanti errori, fortuiti colpi di scena e astuzie ben studiate.

Nel campo della sinistra italiana che affronterò oggi, le responsabilità sono ahinoi molto più gravi di quanto una certa aneddotica ha poi voluto cristallizzare nel tempo lasciandoci un po' l’idea dei socialisti di allora quali inermi vittime incapaci di reagire alle incontenibili violenze fasciste. Se in parte questo fu certamente vero, soprattutto nelle piccole realtà agrarie locali, è pur vero che la sinistra in Italia veniva da un periodo quasi decennale di governo in molte amministrazioni locali, forte delle tantissime rivolte operaie e agricole spesso affogate nelle manganellate e addirittura nel sangue dal Governi sabaudi, di un consenso elettorale popolare che veniva dal suffragio finalmente più diffuso e anche forte dei temibili sconvolgimenti nella vicina Russia, passata dal secolare zarismo al bolscevismo in un batter d’occhio. E il terrore che le vicende russe avevano scatenato in Europa fu una delle principali cause proprio della fine del socialismo nostrano: non possiamo dimenticare che dagli esuli russi giungevano racconti terrificanti su espropri proletari deportazioni e fucilazioni sommarie, e che la stessa Mosca a pochi mesi dalla presa del potere di Lenin era piombata nella peggiore carestia della sua storia … insomma una catastrofe che nessuna borghesia europea voleva minimante prendere in considerazione. Ergo, i socialisti al potere erano un problema da eliminare, tanto più che fino al 1921 e al Congresso di Livorno che vide la scissione tra socialisti e comunisti, i bolscevichi stavano tutti mescolati agli altri.

Vi  fu poi un altro punto di forza della sinistra che ne divenne condanna: proprio quegli scioperi che avevano portato i leaders al comando di comuni importantissimi come la stessa Milano con la Giunta del soresinese Caldara, finirono per chiudere i politici socialisti in una impasse che fu rovinosa: non potendo reprimere gli scioperi e non riuscendo a contenerne l’esplodere continuo, furono spesso costretti (o anche a volte fieri) ad appoggiarli, causando una serie di interruzioni dei pubblici servizi che resero la parentesi socialista invisa a sempre più ampi strati della popolazione. 

Il caso più eclatante e a mio avviso simbolico di queste vicende è proprio quello dell’ultimo sindaco socialista di Milano, Filippetti, che fu destituito a mezzo di decreto prefettizio proprio per interruzione di pubblico servizio, avendo egli appoggiato gli scioperi che avevano poi paralizzato buona parte dei servizi comunali.  Altra motivazione che si legge nel decreto dell’agosto 1922, custodito presso i nostri archivi, è che il dissesto finanziario disastroso in cui versavano le casse comunali rendevano praticamente impossibile continuare a gestire l’apparato comunale. La narrazione che così tanto spesso abbiamo sentito circa una deposizione “forzata” di Filippetti da parte dei Fascisti è dunque vera soltanto in parte: i Fascisti è vero assaltarono più volte il Consiglio Comunale scatenando risse con tanto di pugnali, davanti alle quali però molti consiglieri bolscevichi non si tiravano certo indietro, come in quella avvenuta nel dicembre del 1920, scatenando dure reprimende bipartisan. Quell’assalto fascista dell’agosto ’22 fu in realtà una tronfia intrusione che mirava a festeggiare la “liberazione” del comune dal tanto odiato socialismo più che un golpe paramilitare per farlo cadere: a quello aveva pensato già il Governo, con tanto di decreto prefettizio ufficiale. Ed ecco qui abbiamo la prova provata del ruolo centrale che il Governo di allora ebbe nella conclusione della fase socialista della politica italiana, Governo che parallelamente non prendeva mai significativi provvedimenti coercitivi nei confronti dei Fascisti: insomma quella liaison non dichiarata e subdola tra classe dirigente savoiarda e squadracce fasciste, che due mesi dopo contribuì alla Marcia e alla presa di potere del futuro Duce, era già del tutto evidente carte alla mano.

A Filippetti successe un altro storico sindaco, quel Mangiagalli grande medico e fondatore dell’Università degli Studi che fu l’ultimo eletto con regolari elezioni in una coalizione fatta di conservatori, qualche repubblicano e stavolta anche i Fascisti: la sua vincente campagna elettorale verteva proprio sul risanamento delle finanze comunali, e alla vittoria contribuì indiscutibilmente la litigiosità continua tra le varie correnti di sinistra, tanto spesso denunciata come pericolosissima da Anna Kuliscioff. Fu un altro dei tragici errori della sinistra di quel tempo che tanto giovarono a quel Benito Mussolini che proprio nelle file della sinistra estrema era stato eletto nel 1914 consigliere comunale a Milano e quasi subito invitato a dimettersi, cosa che fece orgogliosamente per poi dedicarsi dopo la Grande Guerra a coltivare quell’humus di destra, che vedremo nel prossimo articolo. Mangiagalli fu poi lui il vero “destituito” senza complimenti dall’ormai onnipotente Mussolini nel 1926  per le sue reiterate “resistenze” alla linea fascista, e sostituto con il primo Podestà di nomina diretta e senza elezioni, quel Belloni che solo due anni dopo finì al confino per peculato e appropriazioni indebite: iniziavano così, tra una deposizione e uno scandaletto, gli “Anni del consenso”.

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano  

Francesco Martelli


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