E’ noto che, se un dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito. E di contemplatori del dito a quanto pare è pieno il mondo se, con tutto il rispetto per il dramma del suo popolo, persino il console ucraino, in nome di un miope puntiglio bellicista, osa chiedere al nostro massimo tempio lirico, La Scala di Milano, di cancellare la rappresentazione del Boris Godunov che la sera del 7 dicembre aprirà la nuova stagione lirica. Sconcertante l’argomento messo in campo: rappresentando un’opera russa – dramma di Puskin, musica di Musorgskij – si fa il gioco di Putin e si dà manforte alla sua propaganda. Sacrosanto e moralmente doveroso il ’niet’ opposto dalla Direzione artistica a una pretesa in ogni senso irricevibile. Andrebbe forse spiegato al diplomatico che spesso l’eccesso di autodifesa si converte in autolesionismo. Soggetto dell’opera è infatti il dramma del potere, la solitudine che comporta, l’orrore dei crimini commessi per ottenerlo. Difficile davvero immaginare arma migliore per isolare moralmente il sanguinario autocrate russo che quella di affidarsi, invece che alla banalità di una censura, al linguaggio potente e senza tempo di un capolavoro. Potenziale incidente diplomatico agevolmente superato? Certamente sì. Ma anche ennesima espressione di una tara, moralmente e culturalmente invalidante, che non appare sradicabile dalla condizione umana, tant’è che continua a mietere illustri vittime in ogni parte del pianeta.
La potenza devastante della stupidità supera quella di ogni altro arsenale bellico ed è in grado di replicarsi all’infinito: già che ci siamo perché non bandire Shakespeare ritenendolo corresponsabile dell’imperialismo coloniale britannico o imparentare Wagner al militarismo prussiano e far tacere per sempre le sue note? Che nome dare a questa virale libidine complottista e punitiva? Incapacità di guardare oltre la capocchia di spillo dei nostri personali e contingenti interessi e pregiudizi di setta o fazione, resistenza a riconoscere la superiore grandezza dell’arte e l’universalità, in ogni senso extraterritoriale, di un linguaggio che non può essere contaminato e coinvolto nelle alterne sorti delle nostre umane peripezie. E invece no, eccoci a fare l’esatto contrario: non sapendo portarci alla sua altezza, abbassiamo l’arte alla nostra modesta statura, facendone perenne materia di baratto e ricatto nelle piccole e grandi lotte che ci coinvolgono e avvelenano.
Il catalogo delle fesserie generate da questa sorta di ossessivo moralismo retroattivo è praticamente infinito. Infierisce infatti non solo sulle più alte creazioni del genio artistico ma, più in generale, sui territori del passato che, proprio in quanto ‘passato’, non è più in condizione di dire la sua verità e difendersi. E’ l’eterna prepotenza dei vivi sui morti, del presente sul tempo che fu, trattato come un’inerme prateria da saccheggiare, bruciare e ridisegnare nei modi che le convenienze del presente esigono . La platea umana è popolata di zelanti censori intenti a selezionare a proprio piacimento fatti, epoche e personaggi della storia, additando colpe da vendicare, capitoli da cancellare con arbitrari taglia e cuci, protagonisti sgraditi da sottoporre a ‘damnatio memoriae’, con tanto di dispersione delle ceneri. Altro che evoluti, maturi e liberali: sotto sotto restiamo eredi dei risibili bacchettoni che secoli fa imposero a forza le braghe ai superbi nudi di Michelangelo.
Il nostro smisurato Ego mal s’adatta alla convivenza con ‘l’altro da sé’ e con tutto quel che, nei continenti del passato come del presente, non ci piace o, più semplicemente, non ci fa comodo. Quest’angusta dimensione dell’umano si esprime lungo una gamma di prodezze che va dall’innocuo strafalcione all’autentico crimine. Nel primo caso i censori sono talmente sciocchi da non riuscire a farsi prendere sul serio nemmeno dai loro simili tant’è che, coprendosi di ridicolo, lo strafalcione si autodenuncia come tale e genera anticorpi sociali utili a eliminarlo.
Chi prenderebbe sul serio i talebani del ‘politicamente corretto’ che negli Stati Uniti hanno bandito una crociata contro le favole più popolari e amate mettendole all’Indice come strumenti in grado di traviare l’infanzia? Fortunatamente il Principe continua e continuerà per secoli a baciare la Bella Addormentata risvegliandola dal lungo sonno e nessun sano di mente lo riterrà per questo colpevole di violenza sessuale. Ma la stupidità è purtroppo recidiva e persino guardando al passato scopriamo con sconcerto che addirittura il capolavoro manzoniano fu costretto a vedersela con lei. La vicenda de ‘I promessi sposi’ ruota infatti intorno alla passione suscitata in un ribaldo signorotto dalla piacente Lucia. La quale Lucia tale passione non avrebbe suscitato se invece di recarsi alla filanda come un’incauta proto femminista fosse restata fra le mura domestiche, come si conviene a una pudica fanciulla. Morale della storia e arma impugnata dai suoi angusti censori: le donne devono stare in casa e Manzoni, facendo un’eroina di una giovane nubile che lavora in fabbrica, veicola un messaggio socialmente pericoloso. Tanto rumore per nulla: il nome di Manzoni cavalca i secoli, quello dei censori giace nell’oblio. Il guaio è che, se di questi malaccorti censori la storia facilmente si libera, da altri di ben altra capacità distruttiva viene invece irreparabilmente sfregiata.
La distruzione del sito archeologico di Palmira ad opera dei miliziani dell’Isis (2015) è ferino esempio di un fondamentalismo che arriva ad aggredire a colpi di machete il passato - colpevole di ‘contaminazione’ con la cultura degli Infedeli - nell’illusione di cancellarlo trasformandolo da accaduto in non accaduto.
A questi folli e ai loro simili che, pur in forme meno clamorose e gravi, lavorano sotto traccia anche nelle più evolute democrazie occidentali andrebbe ricordato quel che il francese Marc Bloch, uno dei massimi storici del ‘900, diceva della Storia: “E’ una statua che, anche presa a schiaffi, non cambia espressione”. Ottimo Maestro lui, inadeguati allievi noi che perseveriamo nell’antico costume: il vincitore celebra la vittoria ridisegnando la città e radendo a zero le torri della fazione avversa. Lo so: un irriducibile ottimismo non smette di predicare che sarà la bellezza a salvare il mondo. Per il momento ci tocca registrare tutt’altro. Squadracce di ambientalisti di ultima generazione, in nome appunto della salvezza del pianeta, imbrattano quadri celebri in demenziali scorribande fra i musei di Londra, Berlino, Parigi o Roma. Van Gogh il più recente capro espiatorio (nella foto). Cosa concluderne? Che riguardo al rapporto fra bellezza, arte e salvezza collettiva le idee sono ancora
pericolosamente confuse.
vittorianozanolli.it
commenti
Giuseppe Zagheni
20 novembre 2022 09:17
Trovo questo articolo veramente pertinente e chiaro come l' imbecillità sia entrata prepotentemente nei media.Concordo con la sua esposizione ( anche se non chiamerei ambientalisti gli idioti che cercano di deturpare i capolavori artistici).Forse sarebbe il caso di non dare pubblicità a questi atti che possono indurre all'emulazione . Non vado oltre