La Quaresima ci aiuta a fare i conti con noi stessi
Da una decina di giorni siamo entrati nel tempo quaresimale. L’austero ed evocativo rito del Mercoledì delle Ceneri – “Pulvis es et in pulverem reverteris” – hai immerso i credenti in una dimensione penitenziale caratterizzata da una preghiera più intensa, un digiuno più severo e una carità più convinta.
Qualcuno, in maniera un po’ provocatoria, mi ha sussurrato all’orecchio: ma che senso ha fare la Quaresima, visto che è da un anno che viviamo una “Quaresima” imposta da un virus balordo che, una volta arretra, un’altra volta avanza e gioca a farci colorare l’Italia di giallo, di arancione e di rosso. Magari fosse un gioco! Per ora si stanno “giocando” la vita ancora tante persone nelle terapie intensive e il loro futuro migliaia di imprenditori e lavoratori.
È vero, ci lasciamo alle spalle un anno pesante, fatto di tante limitazioni e privazioni: non c’è solo chi scalpita per poter andare a sciare, ma anche chi brama di poter attraversare i confini regionali – veri e propri “muri di Berlino” – per abbracciare i propri genitori, magari anziani e malati, o i propri nipoti. C’è una sete di rapporti umani, di prossimità, di abbracci che è immensa e che dice la natura e l’identità dell’uomo: un essere in relazione!
Da circa un anno credenti e laici stanno vivendo una lunga e inedita “Quaresima”. Ma è giusto farne un’altra? È giusto doversi limitare ancora di più, assumere un’ulteriore connotazione penitenziale? In realtà questi dubbi nascono da una errata comprensione di questo tempo liturgico che ci prepara alla Pasqua, la festa più importante per cristiani, centro di tutto l’anno liturgico.
Molti, infatti,– memori di qualche arcigna e attempata catechista che faceva leva più sulla paura che sull’amore di Dio, più sul pericolo dell’inferno che sulla promessa certa del Paradiso – intendono la Quaresima unicamente come una sorta di mortificazione dell’umano, di una castrazione dei propri desideri, di un pio esercizio masochistico, di una incomprensibile esaltazione del dolore e della sofferenza.
Niente di tutto questo.
La Quaresima è anzitutto il tempo dello stupore e della riconoscenza! In questo periodo dell’anno, che spesso coincide con l’inizio della primavera e quindi con il delicato rifiorire della natura, dovremmo anzitutto ringraziare Dio che si fa prossimo alla nostra umanità umiliata, ferita e disorientata attraverso suo figlio Gesù e la sua Croce! Lungi dall’essere un patibolo di morte, la Croce è la manifestazione più plastica di quanto il Signore abbia a cuore l’umanità ed è la via della vera libertà, dell’amore autentico che si dona senza nulla pretendere, della lotta contro l’egoismo e l’egocentrismo che avvelenano la vita e i rapporti interpersonali. La Croce, è, dunque, l’unica via che aiuta l’uomo a confrontarsi seriamente sul significato e sulla natura dell’amore ed è lo strumento privilegiato per poter compiere un cammino di vera liberazione dalla tirannia dell’io.
Papa Francesco nell’omelia della Messa del Mercoledì delle Ceneri ha offerto un ulteriore chiarimento: “La Quaresima è un viaggio che coinvolge tutta la nostra vita, tutto noi stessi. È il tempo per verificare le strade che stiamo percorrendo, per ritrovare la via che ci riporta a casa, per riscoprire il legame fondamentale con Dio, da cui tutto dipende. La Quaresima non è una raccolta di fioretti, è discernere dove è orientato il cuore. Proviamo a chiederci: dove mi porta il navigatore della mia vita, verso Dio o verso il mio io? Vivo per piacere al Signore, o per essere notato, lodato, preferito, al primo posto e così via? Ho un cuore “ballerino”, che fa un passo avanti e uno indietro, ama un po’ il Signore e un po’ il mondo, oppure un cuore saldo in Dio? Sto bene con le mie ipocrisie, o lotto per liberare il cuore dalle doppiezze e dalle falsità che lo incatenano?”.
Le mortificazioni, le penitenze, i digiuni non sono mai autoreferenziali, non sono uno sforzo volontaristico per dire quanto sono bravo o una sorta di umiliazione che Dio ci impone per ricordarci continuamente la nostra finitudine e il nostro peccato, ma sono una via per aiutarci a comprendere qual è la nostra vera fame, di che cosa viviamo, di che cosa ci nutriamo per dare un senso e un significato alla nostra esistenza e, non da ultimo, per ordinare i nostri “appetiti” intorno a ciò che è veramente centrale. Il cristiano digiuna per capire fino a che punto è realmente libero, per educare i propri desideri sulla via del bene, della condivisione, dell’amore. Non si dice forse che “siamo quello che desideriamo”?
Se intendiamo la Quaresima da questa angolatura come cioè, un’occasione per una contemplazione stupita dell’amore di Dio e per entrare in profondità in noi stessi, capire chi siamo, verso dove ci stiamo muovendo, che cosa davvero appassiona il nostro cuore, quali desideri profondi ci animano, quale è il nostro rapporto con il male, allora ci renderemo conto di quanto essa sia non solo benefica, ma addirittura indispensabile. Fare i conti con sé stessi, in questo tempo frenetico, nel quale continuiamo a rincorrere gli impegni e le cose da fare, in maniera convulsa e spesso delirante, è un modo per riappropriarsi della propria intimità, della propria coscienza: è tornare ad essere protagonisti attivi e non passivi della propria esistenza: è vivere e non vivacchiare! Uno dei mali più gravi del nostro tempo – che accomuna credenti e non – è quello di aver perso di vista il “perché” dell’esistenza, subissati dalla mole delle occupazioni e dalla velocità del vivere sociale. Spesso “l’anima ci sfugge” e noi restiamo tremendamente soli.
Allora la Quaresima può essere un’ottima occasione anche per il non credente che ardisce essere coerente con se stesso e con i propri ideali, che mira ad essere autentico e non finto, più consapevole della propria fragilità e finitudine, assetato di un amore che non sia una delle tante infatuazioni passeggere, aperto alle grandi domande della vita, che resta sempre il grande, affascinante mistero che ogni giorno ci stupisce e ci carica di speranza.
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