Le tre Pietà e la pubblica amministrazione
Qualche giorno fa siamo stati convocati a Palazzo Reale per un incontro plenario di fine anno di tutti i dirigenti del Comune di Milano. Quello che mi aspettavo era un lungo summit di due ore dedicato a master plan, elenco di problematiche e conseguenti obiettivi, dati a tappeto e quanto di consueto in questi momenti.
Ma appena arrivati e seduti, sorpresa: il Direttore Generale cede la parola al direttore di Palazzo Reale che inizia a parlarci di Michelangelo. Tra non poco stupore e una certa sorpresa diffidenza veniamo accompagnati in una narrazione che ci racconta di quando Michelangelo scolpì tre delle sue opere più conosciute, le cosiddette “Pietà”.
Alle fine di questa appassionata e interessantissima dissertazione, benchè un po' surreale al momento, veniamo invitati ad alzarci tutti quanti e a seguire i due direttori nella splendida Sala delle Cariatidi, un tempo la più grande sala da ballo d’Europa voluta dagli austriaci che erano i sovrani assoluti oltre che di mezza Europa anche del valzer, e che divenne poi un simbolo del dramma della seconda guerra mondiale, perché fu bombardata e rimessa in sesto senza che ne fossero cancellate le terribile ferite: e infatti nel 1953 Picasso volle qui esposta la sua incommensurabile Guernica, simboli entrambi del più grande disastro della storia.
E qui entriamo, sparpagliati un po' curiosi e un po' diffidenti proprio come studentelli in gita scolastica dimenticandoci improvvisamente ognuno del proprio ruolo, e ci troviamo davanti ad un allestimento installativo magnifico, con le tre sculture piantate come pietre d’altare in una basilica, dentro alla magnificenza ferita della Sala delle Cariatidi, ognuna sormontata da un lunghissimo candido sudario di tela bianca, richiamo ineccepibile alla Sindone e alla morte del Cristo, sul quale vengono proiettate le immagini di dettaglio della statua. Il tutto avvolto da un azzeccatissimo brano musicale di Arvo Part, Fratres.
Se le tre pietà fossero le originali, tutto questo sarebbe stato non solo superfluo ma forse anche fastidioso. Ma sono tre calchi, e proprio il fatto che siano dei calchi ci consente di abbandonarne la sacralità e di abbandonarci noi a un gioco bellissimo di sensazioni aiutate proprio dall’installazione, che in qualche modo soccorre il limite invalicabile dell’assenza delle vere mani del maestro. E in effetti, appena ci si avvicina, se si ha avuto la fortuna di vedere tutte e tre le Pietà come al sottoscritto, l’inganno è immediatamente percepibile: non c’è la vita che lo scalpello “che faceva fuoco al marmo” del Maestro assoluto della pietra sapeva infondere, non c’è come dice il Vasari “il miracolo che un sasso assuma la perfezione che la natura a fatica suol formare con la carne”. Questo lì non c’è, perché un calco è pur sempre un calco. Ma non è questo il punto. Il punto è l’impatto visivo da lontano di questi tre immensi capolavori dell’arte universale tutti e tre assieme in unico, e mai visto prima, colpo d’occhio stravolgente.
Una, due e tre: la Pietà Vaticana, la prima, la Pietà Bandini o fiorentina e l’ultima, la Rondanini che è inestimabile proprietà del Comune di Milano. Sono copie, una sorta di escamotage teatrale, ma del resto la Pietà in sé è un inganno…
La “Pietà” è infatti in realtà un tema artistico di stampo biblico, non è un fatto accaduto e nemmeno narrato nei Vangeli. Di origine medioevale e nordica (come del resto nordico è il culto della Vergine, che dalla Francia scende nel nord Italia nell’Alto Medioevo) prende corpo nel ‘300 soprattutto in Germania e da lì si diffonde per raggiungere la propria apoteosi nell’Italia del Rinascimento. La Pietà è un po' come lo “Stabat Mater” in musica: una invenzione quasi teatrale, una iconologia non reale ma costruita ad arte dall’arte per imprimere nell’animo una emozione incancellabile. E allora, perché non giocare anche un po' noi di teatro esponendone le copie? Lodi, davvero, al coraggio e alla finezza di questa sfida vinta dall’amico Piraina.
Le Pietà del Buonarroti sono tre: la prima, quella “romana”, venne scolpita da quel mostro spaventoso che era Michelangelo a soli 24 anni, ed è la più “classica”, la più simile al modello greco e alla inarrivabile perfezione di quel semi-dio che fu Fidia. E’ levigata ad un estremo tale che ne fa in realtà una scultura di fatto seicentesca: Michelangelo nella sua immensità a soli 24 anni è già il Bernini che verrà 100 anni dopo di lui. All’epoca fu criticata perché quella Madonna ha il viso di una bimba, molto più giovane di quel bellissimo figlio morto che più morto non potrebbe essere. E Michelangelo, ineccepibile, all’epoca rispondeva (tormentato permaloso e irascibile come era) citando Dante nel Paradiso: “Vergine madre, figlia del tuo figlio”, e quindi più giovane del suo parto virginale, contraddizione nella contraddizione come se tutto accadesse nella conchiglia del Santo Agostino.
La seconda è quella Bandini, custodita al museo dell’Opera del Duomo di Firenze: la scolpì ormai settantenne, e impressiona in essa quel gigantesco Nicodemo che troneggia ma anche avvolge e protegge l’abbraccio tra la madre e il figlio: e che in realtà sotto il cappuccio ha il volto dello stesso Michelangelo, che viveva allora tutto il suo tormento religioso quasi eretico.
E poi c’è la terza Pietà, quella Rondanini che il Comune di Milano di acquistò in modo eroico e rocambolesco esattamente 70 anni fa dagli eredi Vimercati Sanseverino, e che oggi è di fatto la più ammirata. Lo è anche da scrive, anche per ragioni di milanesità acquisita, ma lo è un po' da tutti per un motivo molto semplice: è nostra, è contemporanea, è arte contemporanea, è più simile a noi che agli uomini dei tre secoli che ci hanno preceduto, per quella stellare superiorità al tempo che il Maestro, ormai ottantenne, raggiunge come se viaggiasse alla velocità della luce sul Millennium Falcon di Guerre Stellari. E’ la Pietà non finita, non finita perché morì scolpendola, non finita perché l’ascesi di Michelangelo è una contraddizione meravigliosa, di un uomo che, come Picasso, da ragazzino dipingeva come Raffaello e da adulto dipingeva come un bambino. Michelangelo come diceva Roberto Longhi è il corpo, è la plasticità nell’arte mondiale. Non a caso per il più grande storico dell’arte italiano la più grande delle opere del Buonarroti era lo Schiavo morente del Louvre, che ha la stessa forma della Rondanini: questo incredibile “non finito” che secondo lui, e come dargli torto, il Maestro volle per lasciare imbrigliate nel marmo quelle figure, capendo che “se le avesse liberate sarebbero risultate prive della disperazione con cui egli tendeva alla perfezione”.
Dopo questa visita siamo tornati ai nostri obiettivi, ai dati e ai master plan, ma con davanti o dietro un orizzonte diverso: come nell’affresco del Buon Governo senese dei Lorenzetti, e non a caso è scritto nel Costituto di Siena, “chi governa deve tenere massimamente da conto la bellezza, poichè essa è allegrezza pei visitatori e onore e prosperità pei cittadini”.
Andate anche voi a Palazzo Reale e fatevi questo bellissimo regalo di Natale.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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