Lo smoking: storia di un abito che non sa perdonare
Qualche sera fa sono stato a teatro per un concerto di giovani talenti della lirica: aspiranti tenori e soprani che hanno incantato il pubblico con le più famose arie del melodramma italiano. Unica nota dolente, gli abiti dei primi, che la sfrontatezza del palcoscenico illuminato non ha certo aiutato… Del resto, il livello medio dell’abbigliamento a teatro è ormai crollato al di sotto di ogni media sindacalmente accettabile, tanto che se ti metti in smoking vieni guardato come gli americani guardavano gli aristocratici francesi scappati dalla Rivoluzione: imperano, impietosi e tragici, i pantaloni sportivi e i maglioni con la zip. Tornando ai nostri tenori, solo un paio si sono salvati dalla inevitabile pena del contrappasso dell’abito da sera, che non perdona mai chi non ne conosce i segreti: pantaloni perfettamente cascanti appena sopra alla scarpa Richelieu nera e lucida, giacca non troppo larga e non troppo stretta, revers a lancia abbondanti ma in rigoroso raso di seta, papillon nero ben annodato di fresco non troppo stretto al centro (non l’inaccettabile pre-cucito già annodato), calza nera di seta, e infine in vita la fusciacca in seta alta e non stropicciata a fisarmonica.
Tutti gli altri? Un vero disastro: pantaloni troppo stretti e troppo corti e spiegazzati, giacche striminzite e gilet strettissimi che mettono in evidenza rotoli di pinguedine che andrebbero invece nascosti, cravattini neri già cuciti troppo stretti e piccoli al nodo centrale. Un calvario che mi ha provocato più fitte che Ida Rubinstein nel Martirio di San Sebastiano di D’Annunzio.
Mi soffermo un po' lascivo su questi particolari perché ogni tanto giova un po' di leggerezza anche negli editoriali, e perché la storia dell’abito maschile da sera è tutt’altro che boriosa, anzi è una storia secolare che merita il rispetto che le è dovuto.
Fu il famosissimo George Brummel, meglio noto come Lord Brummell o Beau Brummell, primo dandy della storia e impareggiabile arbitro di eleganza alla corte di Giorgio IV d’Inghilterra a battezzare per primo l’abito da sera: decise di far tingere di blu scuro una delle giacche con le code che si usavano per andare a caccia, e che in inglese si chiamano frock-coat ed erano in genere verdi rosse o di pelle marrone. Ebbene il nostro Brummell abbinò la sua tinta di blu a gilet camicia e cravatta-foulard rigorosamente bianchissimi, creando così l’antenato del primo vero abito da sera, che si chiama, derivando appunto dal frock-coat, “frack” (in italiano “marsina”, come quella stretta del bellissimo racconto di Pirandello ): giacca nera doppio petto aperta e corta ma con due lunghe code, grandi revers in raso, camicia panciotto e papillon bianchi o meglio ancora avorio chiarissimo e che gli inglesi chiamano “white tie”, per distinguerlo dal “black tie” che è il meno formale smoking, come lo chiamiamo noi non inglesi. Il nome che usiamo noi viene dal fatto che nell’epoca vittoriana queste giacche nere da sera dotate di alamari venivano indossate dagli aristocratici per non far puzzare le giacche della cena nelle smoking room o fumoir, stanze dove si teneva il rito esclusivamente maschile di un buon sigaro e di un bicchiere di sherry, versato da ciascuno personalmente a se stesso e in senso perentoriamente orario (tutti dettagli che potete trovare nei gustosi romanzetti di Trollope o Antony Powell).
Progressivamente, nel ‘900 il frack cede il posto al più pratico e meno impegnativo smoking: scompare elegante e rassegnato un po' come l’abito del principe Lanza di Trabia nella famosissima canzone di Modugno, e si apre l’epoca dello smoking, che in America si chiama “tuxedo”, perché là fu indossato per primi dai rampolli newyorkesi che si radunavano al goliardico ed esclusivo Tuxedo Club lungo il fiume Hudson: in effetti, non c’è abito al mondo che faccia immediatamente pensare a un brindisi con champagne e ad una festa elegante come lo smoking…Chi può dimenticare la festa colossale ed il sorriso di Leonardo di Caprio in smoking e coppa di champagne nel Grande Gatsby di Baz Lurhmann?
Negli USA tra l’altro è l’abito di rigore ai matrimoni, mentre in Inghilterra per i fiori d’arancio si usa il “morning suit”, quello che noi chiamiamo “tight” (usi, giochi e misteri delle lingue): giacca scura con le code, panciotto grigio o giallo e pantaloni grigi rigati di nero... L’unico posto al mondo dove il Tight incontra il frack è Eton, il più prestigioso college al mondo: lì, dove per secoli i Britannici hanno selezionato la loro classe dirigente, i più dotati e ambiziosi studenti ( i cosiddetti “capitani delle Case” o anche “Pops”, nel senso di populars, famosi) indossano il tight ma con il papillon bianco da frack e dei coloratissimi panciotti. I principi William ed Harry i premiers David Cameron e Boris Johnson conservano ancora gelosamente i loro.
Tornando al nostro smoking, il tessuto è di norma un mohair, assai leggero e questo perché si indossa alle serate in cui le signore vestono scollate, in ambienti pertanto che non devono essere freddi, anche in inverno: ecco perché a teatro fa sempre caldo… Il colore? Nero che più nero non si può: uniche due eccezioni il Duca di Windsor e Gianni Agnelli che lo portavano anche blue notte perché, diceva il Duca, di notte il blu è più scuro del nero. Solo in estate è concessa la giacca bianca o avorio, possibilmente in shantung di seta o in bambù: e chi la mette di lino, beh… peste lo colga, come diceva Amedeo Nazzari.
I revers (cioè i baveri della giacca) meritano una nota in più: andrebbero fatti a lancia ( a punta) se si è sopra i 50 anni, sciallati (cioè arrotondati e curvi) se si è giovani, come afferma severissimo Vittorio De Sica ad un Alberto Sordi giovane aspirante damerino ne Il Conte Max. E devono essere di luminoso raso di seta a contrasto con l’opacità del mohair, seta che una volta si usava addirittura marezzata, tanto che nei vecchi cartoni animati americani i revers degli smoking erano colorati di viola per risaltarne ancora di più la luccicante malìa.
La fine dello smoking inizia con il boom economico: in molti film dei primi anni ’50 non è infrequente vedere alle feste l’imbarazzo degli aspiranti mondani in giacca e cravatta che non possono permettersi l’abito da sera, e nella società di massa aperta a tutti con troppi che uno smoking non potevano permetterselo prevalgono i numeri e le cravatte e farfalla non volano più. Alla fine arriva Il ’68: la contestazione e la moda anticonvenzionale-hippie gli daranno il definitivo letale colpo di grazia.
Oggi assistiamo ad un timido tentativo di riesumarlo: i grandi negozi a prezzi bassi come Zara o H&M offrono giacchette nere in sintetico con baveri luccicanti in grande quantità, e i papillon (ovviamente cuciti e prestampati come le scatole del tonno) sono tornati di moda ai matrimoni con abbinamenti sempre un po' improbabili. Ma lo smoking non perdona, mai: chi non ne conosce la storia e i segreti, e soprattutto chi non è abituato a portarlo fin dalla più giovane età tradirà sempre qualcosa della sua originaria provenienza, come soleva dire snobbissimo e mirabile il vecchio Lord Chesterfield.
Conclusioni: non me voglia Carlo Marx, ma mica sempre la quantità diventa qualità.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti