Lourdes, il luogo della dignità ritrovata
Ultima sera a Lourdes. Mi sono piazzato in una delle tante panchine a ridosso della moderna – e brutta – chiesa di Santa Bernadette. Dinanzi a me la massiccia e candida statua di Bernadette che, al di qua del Gave, guarda con intensità la Grotta di Massabielle. Il fiume scorre placido e concede una rigenerante frescura che certamente rimpiangerò al mio ritorno nella bassa Padana. Le migliaia di pellegrini che in questi giorni affollano questa località ai piedi dei Pirenei si stanno preparando alla consueta processione aux flambeaux, una delle celebrazioni più suggestive che il santuario offre ogni giorno. Una fiumana di luce si snoda per la grande spianata mentre gli altoparlanti diffondono preghiere in tutte le lingue, a partire da quella ufficiale della Chiesa, il latino. Da qualche anno si è aggiunto anche l’indiano: i pellegrinaggi dall’Estremo Oriente sono sempre più numerosi e incuriositi. Lourdes è davvero una città del mondo: si intrecciano lingue, culture, tradizioni così differenti le une dalle altre eppure unite da un’unica radice: Cristo, il solo Salvatore del mondo e Maria, sua umile genitrice, madre tenera e premurosa.
Ci sono gli africani con la loro religiosità gioiosa ed entusiasta, gli asiatici molto più discreti e riservati, gli italiani – i più numerosi - come sempre confusionari e caciaroni, gli est europei austeri e devoti. I francesi arriveranno in massa a breve, per partecipare, nei giorni dell’Assunta, al tradizionale pellegrinaggio nazionale annuale. In quei giorni le Olimpiadi saranno terminate, ma non certo le polemiche e lo sdegno per aver irriso, nella cerimonia d’apertura, la fede cristiana e aver nascosto – certamente in modo doloso – quella gloriosa storia cristiana che la Francia, figlia prediletta della Chiesa, ha scritto anche con il sangue di tanti martiri nel corso dei secoli.
E mentre il cantore dà inizio alla processione intonando il Credo in lingua latina contemplo la statua di Bernadette, forse una delle ragazzine più ignoranti dell’epoca, membro di una famiglia sfortunata che per colpa di scelte sbagliate del padre fu costretta ad andare ad abitare in un tugurio – il Cachot – le antiche prigioni del villaggio. La ragazza era analfabeta e tanti tentativi di farle imparare a leggere e a scrivere si rivelarono vani. Non poteva esserci peggiore testimone di un evento così luminoso come lei! Eppure Dio ha sempre agito in questo modo: Egli ha testardamente scelto solo gli ultimi, gli inevidenti, gli impreparati, spesso anche i peccatori! Persone che non potevano imporre sé stesse, la loro sapienza, la loro eloquenza, la loro autorevolezza, ma unicamente potevano essere strumenti di diffusione di un messaggio più grande di loro.
Approfondendo le 18 apparizioni mi hanno colpito due aspetti che non avevano mai destato la mia attenzione. Anzitutto Maria sorride spesso a Bernadette: non è una Madonna triste o piangente che annuncia cataclismi o apocalissi; anche alla ragazzina vennero affidati dei segreti ma quest’ultima si affrettò subito a sottolineare che non si trattava di eventi nefasti. L’intento di Maria era quello di creare un vero e proprio polmone spirituale in una Francia secolarizzata e disperata: un luogo di preghiera, di conversione, di una rinnovata fraternità attorno al suo figlio Gesù. Se c’è un aspetto che si percepisce fortemente in questo posto è l’appartenenza ecclesiale: l’esperienza cristiana ha essenzialmente una dimensione di popolo che cammina dietro a Cristo sospinto dall’esempio e dall’intercessione della Madre (non a caso le processioni sono aperte dalla Croce e conclusa dalla statua della Vergine).
Maria, dunque, si presenta contenta, lieta che Bernadette l’ascolti e le obbedisca. E Bernadette torna volentieri alla grotta, nonostante l’opposizione delle autorità civili e della Chiesa, perché percepisce di sentirsi amata: il cristiano segue Gesù non perché tema il castigo e l’inferno, ma perché folgorato da un amore che da nessuna altra parte sperimenta!
Bernadette – e questo è il secondo aspetto che mi ha colpito – di fronte alla Vergine Maria si sente una donna importante, destinataria di una stima che nessun altro le aveva mai riservato. La Vergine la tratta quasi con deferenza, certamente con tenerezza e con rispetto. E questo è il destino di ogni cristiano: egli, infatti, non è uno schiavo da sfruttare, un servo da battere, ma un figlio al quale consegnare tutta l’eredità e svelare tutti i segreti del proprio cuore!
Con la stessa tenerezza e lo stesso rispetto sono circondati i malati che ogni anno arrivano a migliaia in questo luogo di speranza e di ritrovata dignità. Loro sono l’energia inaspettata di questo santuario: non ho mai visto una persona disperata o delusa (è questo non è già un miracolo?).
Mentre questi pensieri affastellano la mia mente le tenebre scendono lente e inesorabili sulle colline che circondano il santuario e le calde luci dei riflettori si accendono attorno alla grotta, mentre incessantemente i pellegrini accarezzano delicatamente quelle pareti di pietra scura e liscia, da oltre 150 anni mute testimoni di un evento prodigioso che continua a provocare una Francia e un’Europa che cercano in tutti i modi di cancellare i segni della propria identità non accorgendosi – o forse sì? – di cancellare se stessi.
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