Mai smettere di combattere!
Ci sono persone che nella vita hanno sempre recitato una parte: quella del marito fedele, del padre premuroso, dell’onesto lavoratore, del cristiano integerrimo. Gesti esteriori apparentemente irreprensibili che celano, però, cuori inquieti, confusi, smaniosi più di depredare che di donare, affascinati dall’apparenza e dal proibito. Giocano il ruolo delle brave persone, ma il loro cuore è impantanato nel male e nel torbido e magari, in questo pantano, sono scesi lentamente, quasi inconsapevolmente. Non stupisce che la notizia più cliccata della scorsa settimana riguardasse le evoluzioni sessuali di un noto professionista cremasco con dei ragazzi minorenni: c’è una sorta di sottile compiacimento nell’apprendere che c’è qualcuno peggiore di noi!
Che il cuore dell’uomo sia un campo di battaglia dove si fronteggiano l’eccelso e il lerciume, la grazia e il peccato, la sostanza e l’apparenza è cosa normale. Grave è quando l’uomo smette di combattere e si lascia inghiottire dal lato oscuro che non ha mai fondo. I motivi di questa arresa possono essere tanti: il fatto che l’amore sia troppo esigente e che non paghi nell’immediato, l’adrenalina che sale nel condurre una doppia vita, il fascino ambiguo del male, il delirio di onnipotenza, la gratificazione immediata dell’apparenza, una superficialità affettiva, la ricerca sbagliata della bellezza… Si gioca con la vita, la si prende in giro, non sapendo poi che la stessa vita violentata e martoriata, ad un certo punto, chiederà il conto: a lungo andare, infatti, il cuore, creato per amare come Dio comanda, si ribella producendo inquietudine, insoddisfazione, tristezza. Sentimenti che per molti diventano un trampolino di lancio verso una rinascita - per il cristiano la conversione -, verso la riscoperta della verità su sé stessi, dell’autenticità dell’amore e, per molti altri, l ’occasione per scendere ancora più in basso, con la speranza che emozioni ancora più forti o atteggiamenti ancora più spavaldi possano acquietare l’inquietudine.
Giocare con la vita o giocarsi nella vita? In fondo è questa la domanda che il Vangelo di questa prima domenica di novembre consegna alla nostra coscienza.
Da una parte gli scribi e farisei che giocano con Dio e si prendono gioco di Dio scimmiottando gesti religiosi che, invece, di aiutarli ad esseri più veri, più sostanziosi, più fecondi nell’amore, li chiudono ancora di più nel narcisismo, nell’ambizione, nella superbia, nel desiderio di essere riveriti, rispettati, ubbiditi. La religione diventa uno strumento di dominazione, di condizionamento, di preminenza: apparentemente sono uomini di fede, tutti rivolti a Dio e alla legge di Mosè, ma nella sostanza sono rivolti solo a loro stessi. Hanno abbassato la guardia, hanno rinunciato a vigilare sul loro cuore, hanno smesso di combattere lo spirito del male. Si sono lasciati abbindolare dall’apparenza, così facile da abbracciare e così foriera di risultati immediati!
Dall’altra parte c’è una vedova, la immaginiamo minuta, un poco ricurva, delicata nei modi: a fatica si fa largo tra tanti uomini facoltosi che ostentano la loro cospicua offerta. La povera donna getta nel tesoro del tempio due monetine: un’offerta insignificante! Gesù, che è capace di leggere i cuori nel profondo e certo non si lascia abbindolare dai gesti enfatici di chi cerca il consenso divino e umano, la nota subito e ne tesse l’elogio. Che scena grandiosa: il Maestro cede la cattedra a questa vedova insignificante – insieme all’orfano e allo straniero era la figura sociale meno considerate – perché con il suo gesto ha riassunto mirabilmente l’atteggiamento vero del credente. Ella, infatti, non getta il superfluo come fanno tutti gli altri, ma l’essenziale che le serve per vivere: Gesù sa che quelle erano tutte le sue sostanze e ora non ha più niente, neanche un soldo per comprarsi un po’ di cibo. La donna ha così tanta fiducia in Dio che gli dona tutta: non gioca con la religione, ma si mette in gioco. Non si serve del Signore, ma serve il Signore proclamando la sua illimitata fiducia in Lui!
Non sarà stato facile per lei compiere questa offerta, vera e propria consacrazione a Dio: “Ti dono tutto perché tu sia il mio tutto!” Certamente avrà dovuto combattere con la propria interiorità: l’incertezza del futuro, la paura di morire di fame, il giudizio degli altri… C’è sempre una parte di noi che si ritrae, che crede di poter fare meglio con le proprie forze, che teme che Dio sia un’illusione o che sia troppo distratto o distante!
Senza dubbio non è stato un gesto estemporaneo, bensì il punto di arrivo di un cammino di purificazione interiore, un atto di sublime liberazione che sprona a cercare la vera felicità non nelle cose del mondo, così fugaci, transitorie, ma unicamente in Dio, l’unico che non passa!
Un gesto compiuto nel silenzio e nel nascondimento, nello stile di Gesù, il quale evita di farsi notare dagli uomini, non ama gli applausi, i consensi, gli elogi: egli sa che la superbia è un mostro accovacciato dinanzi alla porta del cuore, sempre pronto ad alzare la testa, a farla da padrone e a portare l’uomo ad assumere atteggiamenti arroganti e presuntuosi, a diventare preda di quel maledetto delirio di onnipotenza che scaraventa nel pantano del male, dell’effimero, del fatuo. Mai smettere di combattere!
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