Meglio tardi che mai!
Sabato 10 giugno ho partecipato alle ordinazioni presbiterali in una Cattedrale gremitissima di popolo e di sacerdoti. Quattro ragazzi, il più giovane ha solo 25 anni, hanno compiuto il gesto forse più trasgressivo in assoluto: quello di consacrarsi a Dio e agli uomini, per sempre. Vivere per gli altri, in modo totale e permanente, senza compromessi o mezze misure, è oggi, certamente, una provocazione per chi cerca solo la propria realizzazione e il proprio godimento e una via di uscita quando la responsabilità, i sacrifici e l’impegno diventano rilevanti.
Li scrutavo mentre dinanzi al Vescovo rispondevano affermativamente a quella serie di impegni che per molti sono fardelli inutili e ingombranti ma che, a ben vedere, solo l’unica strada per poter mantenere l’amore scevro da ogni asfissiante atteggiamento egoistico. L’amore indubbiamente ha una componente di passione, di emozione, di spontaneità, ma se si richiude solo in quegli aspetti rischia di soffocare, di essere asservita solo al proprio “io”, che, se lasciato libero di cavalcare, si trasforma in un tiranno esigente e crudele! L’amore si nutre di progettualità, di donazione, di spossessamento di sé, di fatica e, indubbiamente, di sofferenza. Chi non è disposto a soffrire non toccherà mai le vette sublimi e immacolate dell’amore!
Li guardavo attentamente, i loro occhi pieni di luce e di futuro, i loro volti sereni e decisi, le loro mani stese per la prima volta ad invocare lo Spirito sul pane e vino. Li osservavo per ritrovare anche in me, dopo 21 anni di sacerdozio, quell’entusiasmo, quella freschezza, quella gioia che sono propri degli inizi.
Mi sono venuti in mente loro – don Alex, don Jacopo, don Claudio Mario, don Andrea – quando ho letto il Vangelo di questo domenica, nella quale Matteo racconta della chiamata degli Apostoli: dodici uomini, uno così diverso dall’altro, ma accomunati da un’unica missione. L’evangelista li elenca a due a due, perché non si può vivere la propria vocazione in solitaria, non c’è spazio per i battitori liberi nella Chiesa. Il rapporto e il confronto con l’altro ci permette di capire chi siamo e cosa dobbiamo essere, di esercitarci nella carità, di aprirci all’inaspettato e al mistero. Tutte le vocazioni germogliano, maturano e si fortificano in una comunità, la grande palestra dell’amore! Non per nulla la prima decisione di Gesù è riunire attorno a sé questi individui in una comunità stabile. E allora chiama il pescatore, il pubblicano, lo zelota… uomini accomunati unicamente dallo sguardo di predilezione di Gesù. Egli non si rivolge ai perfetti, ai migliori, agli immacolati, ma solo a coloro che sono disposti a lasciare che Dio agisca nell’intimo del loro cuore. Chiama dei peccatori e degli ignoranti, proprio loro, perché mostrino unicamente la potenza del Padre: è lui che converte, è lui che consola, è lui che salva. Gli uomini, con la loro pochezza, possono solo esaltare la misericordia di Colui che li ha inviati!
Cosa ha spinto questi quattro giovani a pronunciare il loro “Eccomi”, parola affascinante dai commoventi echi biblici? Ciascuno di loro custodirà nel cuore le motivazioni più disparate, ma sono convinto che tutti e quattro abbiano percepito che quell’Amore di cui si sono ritrovati immeritati destinatari non poteva essere consumato nell’intimo del loro cuore. La missione nasce sempre da un surplus d’amore: donarlo è l’unico modo per goderlo appieno, è anticipo di Paradiso, tenerlo per sé è l’anticamera della solitudine e della desolazione, un vero e proprio assaggio di inferno!
Cosa possiamo augurare loro? Di coltivare sempre, instancabilmente, testardamente quella “compassione” che ha spinto Dio a farsi carne e sangue e a condividere la fragilità dell’uomo. Compassione, che non è commiserazione che spesso sfocia nel disprezzo o nel dileggio, ma è la ferma decisione di prendersi in carico i dolori, le sofferenze, le contraddizioni della gente, è risposta pronta e decisa ai loro bisogni e alle loro richieste, è la disponibilità a caricarsi un po’ della croce dell’altro perché sia meno pesante ed umiliante.
Gli auguriamo soprattutto, così come ci indica chiaramente il Vangelo, di occupare maggiormente il tempo nella preghiera, vincendo quella tentazione dell’attivismo e dell’efficientismo dietro alla quale si nasconde la ricerca di sé. Gli auguriamo di sognare e di costruire una Chiesa che parli di meno e che preghi di più, che sforni meno documenti e programmi pastorali e che indichi nella celebrazione dei sacramenti, nell’adorazione eucaristica e nella preghiera del Santo Rosario la via maestra dell’evangelizzazione. Meno intellettualismo e più calli alle ginocchia…
Quando impareranno, di fronte a situazioni ingarbugliate e complesse, a consegnare a Dio le soluzioni, avranno scoperto uno dei segreti della missione. Io, dopo 21 anni di presbiterato, l’ho appena intuito: quando lascio fare a Lui – dopo averci messo tutto il mio impegno – i risultati sono insperati e magnifici. L’ho capito adesso! Meglio tardi che mai!
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