3 settembre 2022

Messer Piero e il cardinale Bessarione: dalla pittura alla cucina, Italia regio nobilissima

Tornando dal mio tradizionale soggiorno toscano mi sono fermato ad Arezzo, tappa non casuale ma dettata dal desiderio di rivedere uno dei massimi capolavori dell’arte mondiale, la Cappella Bacci decorata dagli affreschi di Piero della Francesca. Dietro ad uno splendido crocifisso inconfondibile testimonianza del fantastico Dugento, nella Basilica di San Francesco, si intravedono le pareti quadrate di un’abside dai colori sgargianti: sono i dipinti commissionati dalla famiglia Bacci ed eseguiti tra il 1452 e il 1466 dal grande Messer Piero dè Franceschi, che illustrano la "Leggenda della Vera Croce" secondo lo schema del domenicano Jacopo da Varagine.

Al centro storico di Arezzo si accede per una brutta cinta periferica di edifici degli anni’50, eredità di quel Fanfani che negli anni al comando della DC raddoppiò la sua città natale regalandole perfino una autostrada, che infatti non passa da Siena: rivalità secolari che mai sopiscono, come quando nel derby calcistico Siena-Firenze i senesi cantano ancora l’inno della battaglia di Montaperti, in cui le suonarono di santa ragione ai fiorentini 700 anni prima! Ma Arezzo non è Firenze e nemmeno Siena: non a caso il grande D’Annunzio la inserì nel suo “Le città del silenzio”, un diario di viaggio del 1907 in cui il Vate narra di città nascoste, poco celebri ma che custodiscono capolavori assoluti. Solo e solamente in Italia questo è possibile, in nessun altro pese al mondo, che in città di provincia si trovino vette dell’arte mondiale.

E quando D’Annunzio vide la Cappella Bacci nel 1907 scrisse “come davanti ad un giardino profondo io stetti, o Pier della Francesca”: un giardino, perché pieno di colori meravigliosi, e profondo perché costruito sulla più perfetta padronanza dello spazio, quintessenza della prospettiva. Non per niente Roberto Longhi descrive questi affreschi come “una poesia prospettica, una forma monumentale che gli ha dato modo di realizzare una composizione coloristica altrettanto monumentale, mai più raggiunta da cui si ricevono le più alte sensazioni che da qualsiasi creazione pittorica”. Secondo Longhi, proprio la perfetta contrapposizione di vuoti e pieni negli spazi, e la contrapposizione dei colori che li riempiono, fanno di questi affreschi qualcosa di inarrivabile, come lo sono le figure quasi ieratiche, austerissime che Messer Piero dipinge. Non a caso Bernard Berenson lo definì il pittore della “non eloquenza, della impersonalità, della perfetta astrazione”. 

Piero della Francesca, il cui nome di battesimo era Piero di Benedetto dei Franceschi, nacque a Sansepolcro nel 1415 circa. Trasferitosi a Firenze, impara il mestiere nella bottega di un altro gigante dell’arte, Domenico Veneziano. E come tutti i grandi, da Venezia apprende le meraviglie del colore: Venezia è l’Oriente, lì giungono le stoffe e le spezie dell’Asia con i loro colori sgargianti e preziosi, che entrano nella pittura veneta e poi contagiano tutto il resto dell’Italia grazie ai suoi pittori che si spostano fin verso Roma e le Marche: Veneziano, Crivelli, Bellini e poi Giorgione, Tiziano... Lo stesso Piero si sposterà in varie corti dell’Italia centrale, Ferrara, Rimini e soprattutto Urbino presso la corte di Federico da Montefeltro. E proprio ad Urbino è conservato un altro capolavoro di Messer Piero, la Flagellazione di Cristo.

Un quadro che ci interessa perché tra i vari personaggi spicca un signore barbuto con un grande cappello orientale ed un mantello in rosso di brique: è il Cardinale Basilio Bessarione, Arcivescovo bizantino di Nicea, cresciuto alla corte di Trebisonda, dove i Mega Comneni, gli ultimi malaticci e crudeli custodi di Bisanzio, reggevano ciò che ancora i turchi non avevano conquistato. 

Ebbene questo straordinario uomo di lettere della Chiesa d’Oriente, passò a quella Cattolica di Roma dopo aver tentato invano di riconciliarla con la sorella bizantina, cosa che gli costò di fatto l’espulsione e l’esilio. Questi tentativi ebbero luogo durante il Concilio Ecumenico della Chiesa Romana e Greca di Ferrara- Firenze del 1431-1445.

Cosimo il Vecchio, signore di Firenze, nonno di Lorenzo il Magnifico e abilissimo fondatore non solo della dinastia medicea ma anche potremmo azzardare del Ducato di Toscana, per darsi fama e importanza, nel 1439 convinse il Papa Eugenio IV a spostare il concilio ecumenico da Ferrara (dove esplose la peste) a Firenze: il tutto, ça va sans dire, sponsorizzato senza badare a spese dal Banco de' Medici. Narra la leggenda che durante uno dei magnifici banchetti offerti da Cosimo, nacquero due termini oggi famosissimi e usatissimi nella cucina italiana: precisamente “àrista” e “vinsanto”. Fu proprio il nostro cardinale Bessarione, mentre gustava il famoso carrè arrosto di maiale ad esclamare conquistato dalla sua bontà "àristos !" che in greco significa “eccellente!”. I fiorentini, credendo che quel nome indicasse uno specifico pezzo di carne, lo scelsero come nome definitivo per quel taglio che ancora oggi portiamo in tavola. Alla fine di quel pranzo mitologico, venne servito al nostro Bessarione uno squisito vino passito, dal colore giallo scuro, alla vista del quale il cardinale greco disse “santòs!”, che in greco significa biondo: fu così che un altro dei prodotti più italiani del mondo, il Vin Santo, prese il suo nome da un cardinale turco!

Può sembrare un po' sfacciato associare Piero della Francesca ad una storiella di lombate di maiale e bevute cardinalizie di passiti, ma testimonia la ricchezza infinita di incroci assurdi e straordinari di cui questo nostro Paese è stracolmo, e in cui tutto si fonde in un racconto unico al mondo: persecuzioni, filosofie, arte e perfino cucina.

Nel cuore dei Musei Vaticani si trova la Galleria delle Carte Geografiche, una eccezionale rappresentazione fatta nel 1580 di tutte le regioni d’Italia e delle isole con le sue principali città.

Voluta da papa Gregorio XIII, è lunga 120 metri e comprende 40 enormi tavole sulle quali sono rappresentate piante delle città e raffigurazioni dei territori. 

In alto, Papa Gregorio volle scritto nella epigrafe inaugurale: “Italia totius orbis regio nobilissima”, Italia, la regione più nobile di tutto il mondo, intendendo con “nobile” tutto ciò che è bellezza naturale, arte, cultura e storia.

Non dimentichiamo mai, nemmeno quando ci sediamo a tavola a mangiare, di quanta storia siamo eredi quotidiani!

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano

Francesco Martelli


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