Napoleone e la Lombardia: una “storia d’amore” dal primo Tricolore al Manzoni, a 200 anni dalla morte dell’Empereur
Su Napoleone e il suo tempo sono stati scritti più di 500.000 tra articoli e libri, eppure ancora se ne scrivono in quantità. I detrattori e gli accusatori dell’Orco non sono mai mancati, ma per la maggioranza delle persone e anche della storiografia Napoleone rimane un personaggio positivo: non ha subito il karma dei grandi dittatori della storia, ma quello dei grandi ed eroici condottieri. Mi ha profondamente impressionato quanto il bicentenario della morte, 5 maggio 2021, è stato sui social un tripudio di commemorazioni e richiami per un uomo la cui epopea ha pur sempre causato una ecatombe da quasi 5 milioni morti tra civili e militari.
Io per primo non disdegno definirmi bonapartista quando scherzo con l’amico e professore Antonino De Francesco, che di Napoleone è massimo esperto, e di cui esce proprio in questi giorni una nuova biografia. Perfino Ferdinand Celìne, nella prefazione alla sua tesi di laurea sul dottor Semmelweis, finisce per citare Napoleone come “il maschio” che l’Europa cercava e trovò dopo gli sconvolgimenti della Rivoluzione.
Si potrebbe continuare per pagine e pagine, ma mi tocca esser breve e preferisco commemorare il lombardissimo Napoleone ricordando il suo particolare rapporto con la Lombardia (e Milano ovviamente), l’unica terra che mai da lui si sentì conquistata ma anzi liberata, e che forse unica tra le sue conquiste, lo amò senza troppe riserve.
In Lombardia “N” arriva a soli 27 anni da Generale della sbandata Armata d’Italia e in un batter di ciglia la libera dalla dominazione austrica con la memorabile battaglia di Lodi del 10 maggio 1796. Gli si presenta il Conte Melzi D’Eril coi maggiorenti milanesi, abituati ai rigori dell’assolutismo austriaco, recando con un inchino la chiavi della città e la risposta è subito memorabile: “è tempo che i milanesi imparino a governarsi da soli”. Nasce da lì un rapporto di amore, complicità, simpatia e affetto che mai lo separerà da Milano e dalla Lombardia, tanto che ancora oggi vanta un Foro Bonaparte ed una via Monte Napoleone.
E perfino il sommo Manzoni, che di certo non era di indole imperialista, sconvolto nel luglio del 1821 nella sua dimora estiva di Brusuglio dalla notizia della sua morte, gli dedica in tre giorni con impeto davvero napoleonico la poesia che ancora oggi si insegna come un mantra nelle scuole italiane: Ei fu Siccome immobile…Manzoni che peraltro, ancora quindicenne, ebbe modo di incrociare al Teatro alla Scala i fulminanti occhi del Bonaparte allora Primo Console, e mai li dimenticò.
Dalla Lombardia Napoleone fondò ben due Repubbliche Cisalpine, la primissima “Repubblica Italiana” e infine il primo “Regno d’Italia”, sempre con Milano capitale. A Milano fece realizzare con costi astronomici parte della facciata del Duomo, che ancora non l’aveva, per poter ottenere la più straordinaria delle scenografie della sua incoronazione a Re d’Italia; che avvenne proprio sul sagrato di quel Duomo su una cui guglia fece mettere perfino una statua di San Napoleone, che ancora oggi è visibile.
La nostra bandiera, l’attuale tricolore, è esattamente la bandiera della Prima Repubblica Cisalpina, che data 1797. Quel verde che dal 1970 è simbolo della Lombardia, è lo stesso che Napoleone scelse per le divise dei Cacciatori della Guardia Cisalpina e per sostituire il blu del tricolore francese, facendo nascere il nostro. Secondo molti storici, quel Regno d’Italia, che copriva Lombardia Veneto Emilia Romagna e Marche, fu l’embrione dell’Unità d’Italia, o quantomeno dello Stato che ne nacque.
Fu proprio nella Milano napoleonica che Vincenzo Cuoco, esule dalla sua Napoli monarchica e assolutista, poté pubblicare quella pietra miliare che è il Saggio storico sulla Rivoluzione napoletana del 1799. Ed è indiscutibile che i moti del ’48 e le Cinque Giornate di Milano mai sarebbero stati senza quella perentesi di libertà rivoluzionaria che fu il primo Napoleone. Per volontà dei milanesi distrusse perfino la prima cerchia delle mura del Castello Sforzesco, ormai odiato simbolo delle prepotenze prima spagnole e poi austriache: segno che per i lombardi Bonaparte non fu un invasore ma un liberatore, o quantomeno un pari. E’ lo stesso Cuoco a dirci che in Italia vi fu da subito una minima minoranza entusiasta delle gesta rivoluzionarie francesi, più al settentrione, ed una grande maggioranza più avversa in quel sud che tanto Cuoco amava. Contribuì certamente anche la spinta celtica e gallicana che Napoleone volle astutamente imprimere alla Francia e al Nord Italia, spingendo sulla riscoperta della Gallia pre-romana e sulle origini celtiche degli italiani settentrionali: un celtismo che trova ancora oggi moltissimi simpatizzanti nella nostra regione. E non a caso si prese quale bibliotecario personale l’influente storico italiano Carlo Denina, che pose all’Acàdemie Celtìque di sua fondazione.
Pianti e ormai sepolti i milioni morti, accantonata la figura dell’Orco saccheggiatore di tesori altrui e lo spregiudicato uomo politico, pare proprio che oggi di Napoleone rimanga una idea del tutto positiva.
Rimane l’indiscutibile fascino romantico dell’outsider sconfitto e esiliato dalle trame dei politicanti aristocratici e conservatori, che scruta il mare da uno scoglio con milioni di emuli quotidiani su Facebook ed Instagram che scrutano anch’essi l’orizzonte in bermuda e bikini in inconfondibile posa napoleonica. Rimane il primo uomo del ‘900, veloce in tutto, sempre in comoda divisa da cavallo e affetto da gastriti da stress quando gli altri sovrani europei scoppiavano lardosi nei pizzi merlati e nelle sete colorate.
Rimane il corso venuto dal nulla che spalancò le carriere ai figli dei panettieri facendone dei sovrani e degli eroi, il riformatore della moderna macchina statale e l’innovatore della burocrazia.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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