Nassirya vent’anni dopo ma il mondo sembra dimenticare
A vent’anni dalla strage di Nassirya il commento della nostra Beatrice Ponzoni che, come volontaria e come giornalista, ha partecipato a diverse missioni all’estero. Nel 2012, selezionata dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana e dal COI (Comando Operativo Vertice Interforze), cuore pulsante di tutte la Forza Armata Italiana, ha partecipato e superato il corso ( un vero e proprio addestramento) per operatori destinati in aree di crisi, diventando embedded, ovvero, inviata di guerra.
Vent’anni fa la notizia della morte di 19 militari italiani morti, sei stavano per tornare a casa. La strage del 12 novembre 2003 sconvolse la terra del tricolore. I fatti: un camion carico di esplosivi si schiantò sulla base Maestrale a Nassirya, uno dei quartier generali del contingente italiano di stanza in Iraq. Tra i nostri connazionali persero la vita dodici Carabinieri, cinque militari dell’Esercito, un cooperante internazionale ed un regista, Stefano Rolla che si trovava presso la base italiana per girare uno sceneggiato. Tra le vittime Filippo Merlino, quarant’anni, originario di Sant’Arcangelo (Potenza), sposato con un figlio. Con il grado di maresciallo comandava la stazione dei carabinieri di Viadana (Mantova) e negli anni 80’ aveva diretto la caserma di Torre de’ Picenardi in provincia di Cremona. Chi scrive queste righe lo ricorda molto bene. All’epoca era una bambina di cinque anni che con stupore e rispetto osservava quest’uomo dallo sguardo colmo di fierezza ed orgoglio. Lui amava profondamente il tricolore, era un uomo che, per offrire al figlio disabile un futuro migliore e le cure più all’avanguardia, era partito per quella terra difficile in missione di pace.
Al tempo gli italiani si trovavano in terra irachena perché nel marzo 2003 era iniziata l’invasione del Paese da parte di una coalizione composta da esercito britannico e statunitense per indebolire il regime di Saddam Hussein. Ricordiamo che, all’epoca, Saddam era accusato di volersi dotare di armi di distruzioni di massa per appoggiare il terrorismo di matrice islamica. L’Onu chiese a tutti i Paesi di sostenere la rinascita dell’Iraq. Con l’operazione “Antica Babilonia” l’Italia partecipò all’operazione facendo base a Nassirya in una zona sud del Paese.
Che cosa significa far rinascere un paese dopo che è stato martoriato dalla guerra? Significa che servono persone addestrate per compiere attività di peacekeeping, ovvero, prima di poter riportare una sorta di normalità e poter tornare ad utilizzare le infrastrutture pubbliche ed i servizi essenziali è necessario bonificare il territorio. Rilevazioni radiologiche, biologiche e chimiche; polizia militare, ordine pubblico, gestione aeroportuale, contrasto alla criminalità; il compito degli italiani in missione di pace era, ed è, proprio questo.
Alle 8.40, ora italiana, un camion cisterna pieno di esplosivo scoppiò davanti all’ingresso della base Maestrale, sede MSU italiana dei Carabinieri. Lo scoppio provocò l’esplosione del deposito munizioni e la morte di diverse persone tra Carabinieri, militari e civili. L’attentato ridusse la base Maestrale ad uno scheletro di cemento e danneggiò anche l’altra sede vicina, Libeccio.
La responsabilità dell’attacco fu attribuita all’organizzazione terroristica Ansar al-Islam probabilmente in collaborazione con Al-Qaeda. Un’azione interpretata come una rappresaglia contro la partecipazione dell’Italia alla coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti in Iraq. Una tragedia che rappresenta un tragico capitolo della storia italiana, una ferita difficile da rimarginare. Resta il ricordo, restano le famiglie con un dolore impossibile da comprendere. Sarebbe bello che, oggi più che mai, esistesse il senso di appartenenza al Tricolore così come avveniva in passato, in cui la tristezza, l’amarezza della morte trovava sollievo nel senso di rispetto che i cittadini portavano per la Patria, l’onore.
Passa il tempo ma le guerre non si fermano. L’odio e la ricerca di supremazia trovano sempre modo per ricordaci che, nonostante tutto, certi meccanismi non cambiano mai.
Oggi, tra i tanti teatri di guerra attivi, i riflettori sono puntati sull’attacco subito da Israele, ormai più di un mese fa, ha sicuramente scritto un’importante pagina di storia. Israele sotto attacco, è guerra a Gaza. L’intelligence israeliana conosciuta per essere una delle più attente e scrupolose al mondo ha dimostrato di avere una falla. L’offensiva dei militanti di Gaza avvenuta su larga scala ha provocato la morte di centinaia di israeliani. Ciò che più colpisce e che segna ancora di più un cambiamento, sicuramente non in termini positivi, è il coinvolgimento dei civili, la brutalità e la violenza con cui uomini, donne e bambini sono stati trasformati in prigionieri di guerra. Non solo. Territorio di guerra lo sono diventati pure i social, tutto scorre sulla sottile linea del mostrare. Nulla è lasciato al caso perché le immagini valgono più di mille parole e non è solo un modo di dire. Il 7 ottobre scorso Israele ci ha offerto sotto gli occhi una strategia semplice ed implacabile con effetti devastanti sulla popolazione. Gli oltre duecento ostaggi in mano di Hamas sono a Gaza. A Gaza mancano acqua, luce, carburante finché non verranno liberati, una città in prigioniera di fatto. Sui media fluisce ininterrottamente la voce di trattative in atto, pedine che si spostano, il classico sistema del corrono voci, ma la verità si cela sotto la scacchiera protagonista in altri tavoli. Nel mentre, la guerra continua.
Da ormai più di un decennio si sa che la linea di pace tra Libano ed Israele corre su un filo molto sottile. Dopo lo sconfinamento di circa un mese fa, al confine tra Libano – Israele (mentre veniva messo in atto l’ormai denominata Operazione Tempesta di Al-Aqsa), gli Hezbollah dichiarano che la situazione lungo la Bluline, confine di demarcazione tra Libano ed Israele, è calma e non ci sono segni, per ora, di “Inasprimento militare”. Non illudiamoci, però. Come una grande ombra c’è l’Iran che da sempre se ne sta alle spalle del partito-milizia insediatosi in Libano già nel lontano 1982. Basti pensare che due mesi fa il leader Hassan Nasrallah, in un discorso pubblico, aveva affermato che il suo movimento era pronto a scatenare una vasta offensiva contro Israele.
Impossibile non ricordare il massacro del 5 settembre alle Olimpiadi di Monaco di Baviera nel 1972 in cui otto terroristi palestinesi, rappresentanti del gruppo militante “Settembre nero” fecero irruzione nel villaggio Olimpico, uccidendo due membri della squadra israeliana e prendendone nove in ostaggio. Tutto questo avvenne a soli 20 km da Dachau. A 24 ore dall’attacco tutti gli atleti israeliani furono massacrati. Cinque dei nove terroristi sono morti ed un poliziotto perse la vita nel tentativo di liberare gli ostaggi. Il messaggio che emerse all’epoca è che la questione palestinese non era più un qualcosa confinato solo al Mediorente ma tutto il mondo ne era coinvolto, oggi, come allora le questioni di guerra non sono mai solo fatti che interessano i confini all’interno dei quali si svolgono così come sta avvenendo in Ucraina.
L’elenco dei conflitti in atto sarebbe numerosissimo e non basterebbero fiumi di parole per rendere onore ad ogni defunto. La guerra non hai mai i guanti di seta e, forse, dovremmo imparare ad avere uno sguardo meno indifferente anche verso ciò che non ci tocca da vicino perché nascere dalla parte fortunata del mondo é solo una questione di fortuna.
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commenti
Manuel
12 novembre 2023 12:32
Nassirya, come tragico ricordo, galleggerà in Italia perché han pensato bene di dedicare vie e piazze, altrimenti la vita di quei militari (e delle loro famiglie) si sarebbe già perso nell’oblio del contingente quotidiano. Senza addentrarci sull’aspetto storico di quel periodo, credo si possa individuare nelle ragioni di tale generale rimozione il ripetersi e moltiplicarsi di tante Nassirya in giro per il mondo che solo un’esigua frazione ne ricordiamo.
Sull’attaccamento al tricolore mi astengo e rimando alla prossima puntata... quando Ponzoni crederà.