24 dicembre 2022

Natale e la Natività. Storie di angeli e famiglie

Non scrivere di Natale a Natale è praticamente impossibile. Scriverne bene è prassi. Scriverne male è una tentazione: tentazione di scagliare frecce avvelenate sulla frenetica tristezza dello shopping compulsivo a cui è stata definitivamente ridotta questa festività, svuotata veramente ormai di tutto, perfino di quel pietoso buonismo che negli anni ’80 grondava dagli spot per farci sentire un po' meno in colpa quando spendevamo i soldi.  Oggi siamo al capolinea: ci è rimasto solo l’obbligo sociale (steroidizzato all’ennesima potenza dalla tecnologia)  di comperare qualsiasi cosa non sia morta da più di dieci minuti unito alla inconfessabile brama che finisca il prima possibile, liberati dal giogo delle carte di credito prosciugate e soprattutto per non sentirci più bombardati a grappolo dalle migliaia di pubblicità con musichette insopportabilmente cretine o pateticamente tristi che ci inseguono senza tregua peggio di Willy il Coyote. 

La tentazione è forte, ma ci si può resistere: e per non rovinarvi la festa, adorati lettori, mi rifugio nei ricordi di bimbo e nell’arte. 

Se penso al Natale, devo ammettere che i miei ricordi più immediati e resistenti al tempo sono “Il Flauto a sei Puffi” e il coniglio al forno: da bambino pochi giorni prima del pranzo di Natale i miei genitori organizzavano una cena con gli amici più intimi, e ricordo benissimo che la trepidante attesa degli ospiti era resa ancor più eccitante dal profumo dell’intingolo del coniglio che sfrigolava nel forno e dal primo fortunatissimo lungometraggio dei piccoli ometti blu che Italia 1 trasmetteva impeccabilmente in quelle sere natalizie degli anni ’80. Ancora oggi se incappo in quel cartone animato o quando sento profumo di coniglio al forno, il mio primo pensiero va al Natale. Da che si deduce, senza troppo sforzo, quella che è una ineluttabile evidenza universale, che si sia laici o cristiani o di qualunque altra religione: Natale coincide con la famiglia. E’ l’unica cosa che ha resistito alla pestilenza del consumismo internettiano: a Natale si sta in famiglia, e se non se ne ha una ci si fa ospitare in quella degli altri.

Questa inossidabile e insopprimibile tradizione ha origine, piaccia o no, nel mondo cristiano: narrano i Vangeli che il figlio di Dio venne partorito da una donna in una stalla, aiutata dal marito falegname:  “Mentre si trovavano a Betlemme, giunse per Maria il tempo di partorire, ed essa diede alla luce un figlio, il suo primogenito. Lo avvolse in fasce e lo mise a dormire nella mangiatoia di una stalla, perché non avevano trovato altro posto.” Il bue e l’asinello nei Vangeli non ci sono, ma siccome il profeta Isaia aveva redarguito Israele dimentico di Dio che "Il bue conosce il suo proprietario e l'asino la mangiatoia del suo padrone” e dato che in ogni stalla che si rispetti una mucca e un asinello ci stanno, l’iconografia si è immediatamente arricchita anche di questi altri due elementi. Ne manca solo uno: l’angelo che volteggia sulla stalla e che indica a Re e pastori la nascita del Salvatore. Ed anche questo invece è proprio Vangelo.

Una capanna, una mamma un papà e un bambino, circondati da due animali e un angelo: in breve, eccovi il Presepe, altro elemento quasi immancabile nelle case italiane, a volte perfino dei più irriducibili atei, e simbolo universale del Natale, anche sulle bottigliette di Coca-Cola.

Il Natale ha dunque la sua matrice originaria nella famiglia, e in una famiglia di tre: madre padre e figlio, niente fratelli, perché per fare famiglia volenti o nolenti si parte sempre almeno da tre persone. E’ quella che in arte si chiama Natività. La sto mettendo un po' sul facile, ma la portata nella storia dell’Occidente prima e del mondo intero poi di questa immagine è stata colossale, quasi certamente la più incisiva di tutta la storia dell’immagine. E dell’arte. Lasciate perdere la crocefissione e perfino la torre di Pisa, il David o la Marilyn Monroe di Andy Warol:  l’immagine più riprodotta nella storia dell’arte è proprio questa famiglia in una stalla.

L’elenco è talmente sconfinato da rendere impossibile perfino un calcolo approssimativo di quante migliaia di rappresentazioni ne siano state fatte, e pertanto occorre citarne solo alcune.

Anzitutto sgomberiamo il campo: la natività è una tentazione irresistibile anche per gli artisti “laici”: perfino la super star della street art Banksy e il super-provocatorio fotografo David LaChapelle ce ne hanno regalata una a testa pochi anni fa; la sua iconologia è talmente forte che non vi ha resistito nemmeno il grande artista ebreo Marc Chagall che nella sua ha perfino messo al posto dell’angelo un rabbino svolazzante, e negli anni della cultura iper-progressista di Weimar Emil Nolde ce ne regala una che sta di diritto all’apice dell’Espressionismo tedesco.

La più famosa dell’immenso Duecento italiano è quella di Duccio da Boninsegna, che sarebbe la perfetta icona del Presepio se non vi fosse una Madonna che sembra in tutto e per tutto una matrona etrusca distintamente sdraiata su un triclinio, e che assomiglia ancora tantissimo a quella che Giotto dipinge nella cappella degli Scrovegni a Padova, di una eleganza e raffinatezza che hanno pochi eguali nella storia della bellezza femminile. Sì, perché poco nella storia dell’immagine ha dato tanto alla bellezza del volto femminile come la Natività: non c’è dolore, non c’è lussuria, c’è solo la bellezza perfetta della madre che contempla la sua creatura nel più bello dei momenti della vita. 

Caravaggio ne dipinge una nel 1609 in cui l’angelo che porta la scritta “Gloria in excelsis Deo” è talmente perfetto che ancora oggi tutti gli angeli che si appendono alla capanna sono esattamente come il suo, che tra l’altro è uguale a quello che Rubens dipinge nella sua nello stesso anno…miracoli del talento. E proprio gli angeli sono gli altri protagonisti della Natività: Botticelli nella sua ne dipinge addirittura ventuno in una perfetta spirale di magnifica danza che avvolge da terra a cielo la stalla, pare ispirato da una famigerata rappresentazione sacra che Brunelleschi mise in scena a Firenze con tanto di attori veri e bambini con le alette appesi con le corde a mezz’aria. Gli angeli… ormai così dimenticati eppure così affascinanti: per chi volesse approfondire, tutto ciò che ne sappiamo si deve al grande teologo siriano ( e anonimo) noto come Pseudo-Dionigi l’Aeropagita, che nelle sue Gerarchie Celesti ci descrive le schiere degli angeli nei loro nomi, colori, gradi di potere e di vicinanza a Dio. Tra questi i più potenti sono i Cherubini, simboli di sapienza e di color celeste, e i Serafini, i più vicini a Dio e rossi come il fuoco del suo ardore. E proprio così li dipinge tutti intorno alla Vergine Jean Foquet, uno dei Manieristi di Anversa nella sua natività del 1450, che raggiunge dei livelli di erotismo che non hanno forse uguali nella storia dell’arte sacra: una Madonna diafana dal corpo levigato e perfetto, i cui seni che sembrano incredibilmente come quelli rifatti di oggi sono offerti al bimbo da un corpetto grigio appuntito che sembra uscito dalla più erotica foto di Helmut Newton.   

Si potrebbe andare avanti per pagine e pagine ma il tempo è tiranno e ci attende la festa… ovviamente in famiglia.

Buon Natale a tutti.

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano

 

 

Francesco Martelli


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti