12 giugno 2021

Nel bicentenario del primo Dracula, trattatello di vampirologia per gli amanti dell'inverno

E’ arrivata l’estate, che per molte persone è la stagione più bella dell’anno. Io invece la detesto, come molti di coloro che la vivono nella asfissiante calura delle terre del Po. Ma non siamo soli: Il Principe di Talleyrand-Perigord, uno dei più abili diplomatici della storia, affermava che a Versailles la stagione estiva era inutile alle missioni diplomatiche perché il caldo non consentiva i “consueti” svaghi, e Jude Law nei panni di Pio XIII in The Young Pope sussurra addirittura che “tutte le persone intelligenti d’estate si annoiano”. Agli inutili e pateticamente giocosi tentativi di vincere la soffocante noia estiva, Cesar Franck dedicò una delle più belle sonate della musica classica, quella in La maggiore per pianoforte e violino. E perfino Paolo Conte in Azzurro fa dire a Celentano che d’estate “il pomeriggio è troppo azzurro e lungo… mi accorgo di non avere più risorse… ora mi annoio più di allora”... insomma la conferma in musica che Sorrentino ha ragione. 

Non sopporto l’afa spossante, la luce fino a tardi, le finestre aperte a tutti i rumori a tutti gli odori altrui: motorini che sfrecciano, cani che abbaiano, bambini che gridano, televisori a tutto volume. Il grande Totò diceva di amare l’eleganza tetra della notte almeno quanto odiava la luminosità chiassosa del giorno: ecco, per me l’inverno sta alla notte come l’estate sta al sole di Totò.  

Nel mio autocompatimento di queste prime sere estive mentre guardavo un Dracula in TV mi sono detto “pensa un vampiro poveretto...d’estate avrebbe ancora meno ore per gironzolare” e poi mi sono ricordato che quest’anno in agosto ci sarà il bicentenario della morte del medico John Polidori, l’inventore dei vampiri: Braham Stoker e Dracula sono venuti dopo. Bontà di CremonaSera, mi concederò col caldo afoso questo piccolo divertissement da appassionato di vampirologia per passione cinematografica. 

Odio i film dell’orrore anche adesso che ho passato i quaranta, eppure fin da piccolo ho subìto il fascino irresistibile del genere vampiresco. Sarà perché sono eleganti, sarà perché non si ammalano mai e pur non lavorando sono sempre ricchi, sarà perché non hanno mai fretta e perché stanno alzati fino a tardi, sarà perché sono irresistibili seduttori con tanto di superpoteri, ma tutti noi subiamo un po' il fascino dei vampiri cinematografici.

Fu proprio John Polidori  durante “l’estate senza sole” del 1816 in una villa in Svizzera a creare Lord Ruthven, il primo vampiro. Un mix tra le leggende greco-ortodosse dei “vrykolakas” ed il suo anfitrione e paziente (e forse anche amante) Lord Byron, celeberrimo dandy raffinato, debosciato e tenebroso. Per inciso nella stessa villa e negli stessi giorni la loro amica Mary Shelley scrisse il suo Frankenstein: insomma la mia estate ideale.

I “vrykolakas” erano nella vulgata greca i corpi dei morti che davano segni di vita nelle prime ore di sepoltura: si gonfiavano e scoppiavano facendo grondare sangue da tombe poco ermetiche. Oggi in necrologia si chiama “fase enfisematosa” ma dato che all’epoca erano un po' meno clinici e un pò più sospettosi pensavano che quel sangue fosse di qualche parente visitato e “succhiato” nella notte. E infatti in Romania per stare tranquilli riesumavano il corpo dello “Strigòi”o dell “Upìr” ( “impuro” nel latino dei Daci, da cui appunto Vampir), gli cavavano il cuore lo bruciavano e se lo bevevano.  E non solo nei secoli addietro: l’ultima volta è successo nel 2005 a Marotinu de Sus, un (per nulla) ridente villaggio dell’entroterra rumeno dove la polizia ha avuto un bel da fare a denunciare tutti i paesani per vilipendio di cadavere. 

Le storie di cadaveri che escono dalle tombe in cerca di vittime sono proprie però delle culture non cattoliche europee e americane: per la Chiesa di Roma non esistono infatti zombi o vampiri, e il Diavolo in terra non può giocherellare coi morti e nemmeno con le anime: queste ultime se devono stare tra Paradiso e Inferno lo fanno in Purgatorio, entrato definitivamente nella dottrina cattolica col Concilio di Trento, e i Santi e Martiri proteggono i credenti dalle forze demoniache. Tutto questo nelle culture protestanti e ortodosse non c’è, ed ha prodotto nei secoli una zona d’ombra dove i morti si mettono a visitare i vivi senza troppi complimenti.

Nella cultura anglo-americana irruppe poi Shakespeare con il Sabba delle streghe del Macbeth, tutto sangue pipistrelli e pentoloni, causando un trauma irreversibile che ha ingenerato l’horror hollywoodiano come lo conosciamo oggi. E dato che la cultura americana è quella dominante da 50 anni, noi abbiamo fatta nostro qualcosa che proprio non lo era. Tutto questo non ha nulla a che vedere con l’eleganza raffinata del vampiro del cinema, frutto anzitutto del primo indimenticabile Dracula del 1931: l’eccezionale Bela Lugosi, che da buon ungherese emigrato negli USA volle dare al personaggio quell’allure da nobile magiaro con tanto di frac, mantello e onorificenze al collo.

In realtà il vero vampiro è una creatura tutta scientifica e tutta settecentesca: fu proprio la incolmabile curiosità dell’epoca dei Lumi a voler far luce sui racconti dei diplomatici spediti ai remoti confini di terre dimenticate, come l’Est europeo o la Grecia ottomana, che narravano di questi “non morti” che tormentavano i sogni del popolino. Ed ecco che l’epoca dei Lumi, destinata a portare nelle tenebre dell’ignoranza popolana la luce della conoscenza scientifica, si mise ad indagare al tal punto sul fenomeno da farlo diventare una vera e propria moda continentale in tutti i salotti aristocratici e da questi nei racconti a stampa dalla tiratura illimitata. Fino a quando l’irlandese Braham Stocker ne fece un romanzo nel 1897 da cui un tal Hamilton Daene trasse una pièce teatrale dal successo immediato: il tutto però fu subito fagocitato da una nuova terrificante creatura: il cinema dei fratelli Lumière, nato proprio due anni prima del romanzo. 

Da lì in poi tutto è dilagato senza tregua fino alla mitologia nazional popolare: dai crocefissi e paletti di frassino di Peter Cushing che uccide Christopher Lee, fino alle spade d’argento e luci agli ultravioletti del “diurno” Blade con Wesley Snipes

Perfino Philippe Daverio mi mostrò una volta una valigetta “Kit per uccidere un vampiro” con tanto di paletto e polvere d’aglio comperata chissà quando e chissà dove, ma di cui era orgogliosissimo…

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano

 

Francesco Martelli


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