Nell'amore c'è solo il sì: convinto, continuo, concreto!
Perché i pubblicani e le prostitute ci precederanno nel Regno di Dio? Perché dei peccatori conclamati, pubblicamente additati dall’opinione pubblica, dovrebbero avere una corsia preferenziale nel faticoso, ma salutare cammino verso il Paradiso?
Perché, rispetto a coloro che si ritengono giusti, non possono restare vittime dell’ipocrisia, dell’apparenza, di quelle tante maschere che i benpensanti indossano per essere lodati e onorati dalla gente e per nascondere a se stessi il male che alberga in loro.
Pubblicani e prostitute non possono costruirsi alibi! il loro peccato è talmente manifesto che non ci possono essere fughe, giustificazioni, mistificazioni. Essi sanno che stanno facendo il male e che questo male sta corrodendo il loro cuore isolandoli da tutto e da tutti! Perché il peccato fa proprio questo: isola l’uomo troncando ogni relazione con Dio, con i fratelli, con sé stessi. Satana, il grande signore della solitudine, mira a far credere all’uomo che l’amore è impossibile, illusorio, inarrivabile, che la felicità si può raggiungere solo depredando e mai donando, accaparrando per sé e mai condividendo con gli altri, vincendo e mai perdendo, da soli e mai insieme. Già lo abbiamo detto: il peccato non è altro che la risposta sbagliato ad un autentico e sacrosanto desiderio di felicità, di compiutezza di sé!
Ebbene queste categorie di persone sperimentano ogni giorno, sulla loro pelle, le conseguenze del loro peccato. I pubblicani sono odiati, emarginati, additati dal resto del popolo di Israele. Essi non solo collaborano con i pagani romani nel sacrilego dominio di quella fiera terra data un tempo da Dio ad Israele, ma sono anche dei ladri aggressivi e arroganti sempre pronti a fare la “cresta” sulle tasse. Le prostitute vivono la contraddizione di un corpo senza anima, condannate per sempre a non assaporare le vette sublimi dell’amore vero, perennemente mendicanti di un abbraccio autentico e delicato, smaniose di un uomo che le ami per quello che sono e non per quello che possono offrire. Insomma pubblicani e prostitute pagano senza sconti il loro pieno coinvolgimento con il male; la loro pubblica situazione li costringe a fare i conti con il peccato, volenti o nolenti! E vivono già, in parte, il loro inferno in questo mondo: sono già stati scaraventati in quella terra brulla e infuocata dove regna esclusivamente la solitudine, la disperazione, la violenza.
Così come d’altra parte accade a noi quando ci lasciamo irretire dal peccato: esso, a prima vista, appare buono, gustoso, appetitoso, ma poi, una volta assaporato, comunica un senso di fallimento, di incompiutezza, di amaro. Chi fa o sceglie il male, inevitabilmente dal male viene rapito: il suo cuore si inaridisce, il suo sguardo si incupisce, le sue passioni si pervertono irrimediabilmente diventando tiranni esigenti ed insaziabili: non ci si accontenta mai, ci si illude di poter avere sempre di più, di godere e soddisfarsi sempre di più!
Gesù, dunque, vuol spiegarci che meretrici ed esattori delle tasse sono talmente conficcati nel cuneo d’ombra del male che non possono che rialzarsi e reagire a tale devastazione interiore. Per questo molti di loro si aggrappano a Gesù: perché è l’unico che mostra un po’ di amore e la possibilità di uscire da quelle situazioni così dolorose e umilianti. Coltivano nel profondo del cuore la nostalgia di una esistenza diversa, di una vita che faccia loro gustare relazioni piene, autentiche, gratuite.
I benpensanti, invece, - i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo destinatari di questa parabola – non si rendono conto di quanto sia pericoloso il peccato, di quanto scavi nel profondo lasciando scorie che difficilmente sono estirpabili se non attraverso un serio, puntuale e rigoroso cammino di purificazione e di conversione.
Gli interlocutori di Gesù partono svantaggiati rispetto a pubblicani e peccatori perché non sanno o non vogliono sapere di essere anch’essi schiavi del male. Essi credono che per essere a posto in coscienza basta semplicemente osservare alla lettera la legge ebraica, andare al tempio, compiere perfettamente i gesti liturgici, partecipare alla vita della comunità. Ma per Gesù non basta che si facciano delle cose: a lui non interessa che obliteriamo il biglietto, che ottemperiamo i nostri obblighi e doveri. A lui interessa che impariamo a fidarci di lui e ad amare Dio e i fratelli. Se precetti e comandamenti servono a questo bene, altrimenti è meglio fare altro…
I benpensanti sono più ciechi dei pubblicani e delle prostitute, perché almeno quest’ultimi sono consapevoli che stanno sbagliando e ne stanno già pagando le conseguenze; gli altri, invece, pretendono di essere giusti e questa presunzione li rende arroganti, autosufficienti, arrivati! Credono che dicendo di “sì” con le labbra a Dio abbiamo già adempiuto al loro dovere. Ma a Dio del dovere non interessa nulla, perché il dovere presuppone un rapporto di sudditanza e anche un limite rispetto alle cose fare (una volta assolto il dovere non sono più tenuto ad altro!), mentre l’amore rivendica libertà e non ammette limiti. L’amore non ha barriere o recinti, non si compiace di regole e precetti, non pronuncia mai la parola “basta”, non è mai sazia del bene, del giusto e del bello. L’amore continuamente mette in discussione e in subbuglio il cuore; l’amore non si accontenta, non si assuefà, non si impigrisce, non si sclerotizza, non si lascia imbrigliare dalle apparenze, ma va alla radice profonda dell’essenza dell’uomo, della sua identità, dei suoi desideri e delle sue passioni più vere. Nell’amore c’è solo il “sì”, convinto, continuo, concreto!
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