Nell'amore vero non c'è mai posto per la parola fine
Le prime pagine del libro delle Genesi sono un magnifico trattato di antropologia: dal capitolo uno al tredici è racchiusa una esaustiva riflessione sull’identità profonda dell’uomo, del suo rapporto con il male, della sua innata vocazione alla relazionalità, del suo bisogno di un’alterità che, però, gli sia simile e che stia di fronte a lui, alla pari.
La prima lettura di questa domenica di ottobre, tratta dalla Genesi, racconta della creazione della donna. Dio si accorge che ad Adamo manca qualcosa: c’è un’assenza che non può essere colmata dal lavoro, dal possesso, dal governo degli animali e delle cose. Per certi versi neanche Dio può bastare all’uomo: egli necessita di un partner corrispondente, adeguato che lo aiuti a vincere l’isolamento, la solitudine e gli permette di riconoscersi. È attraverso l’incontro con l’altro simile a lui che l’uomo inizia a comprendere sé stesso e soprattutto impara cos’è l’amore che, in fondo, è la grande forza che plasma l’identità umana e che le permette di assomigliare sempre di più a Dio.
Due particolarità interessanti. Il Signore, prima di creare la donna, fa scendere un torpore sull’uomo: Adamo, dunque, non assiste e non dà nessun contributo cosciente alla creazione di Eva. Dio gli presenta la donna – quasi fosse una solenne liturgia nuziale – dopo che si è risvegliato. Ella, dunque, rimane sempre un mistero per l’uomo: il quale non ha nessun diritto di proprietà o di dominio su di essa! Adamo può solo accoglierla nella sua vita, meravigliandosi che ora può guardare una creatura “alla pari”, specchiando sé stesso in quegli occhi.
Un secondo aspetto: l’uomo inizia a parlare quando ha davanti a sé la donna: è vero che Adamo ha già imposto un nome agli animali rivelandosi così al vertice della Creazione, ma solo ora è capace di dialogo. L’uomo, dunque, comprende sé stesso unicamente nelle relazioni che intesse al di fuori di sé e la Genesi descrive con minuzia questo itinerario: prima il rapporto con la terra, poi con gli animali e poi con quell’essere che osso delle sue ossa e carne della sua carne. Solo dopo questi passaggi fondamentali Adamo entra in relazione con Dio. L’uomo si umanizza ed è capace di apertura al divino quanto più cresce armonicamente inserito in questo flusso di relazioni terrestri. Senza una serena e completa immersione nel mondo risulta difficile costruire un profondo e fruttuoso rapporto con Dio.
La relazione uomo-donna è talmente totalizzante – “una carne sola” – che implica una rottura con la famiglia di origine, con i propri genitori. C’è un distacco che deve essere compiuto con decisione: l’uomo unendosi alla donna si impegna in una relazione interpersonale più profonda di quella filiale, una relazione che non è solo unione carnale, ma coniugale in tutta la sua ampiezza, cioè fino all’impegno fondato sulla fedeltà e sull’amore di essere una sola persona.
Ma c’è anche un altro distacco altrettanto doloroso: quello dal proprio “io”! Accogliere l’altro significa, infatti, fargli spazio nella propria vita, rinunciare, cioè, a tante cose che ingombrano il proprio cuore di “single”! Aprirsi ad una relazione totalizzante con l’altro è, in fondo, un po’ “un morire a sé stessi”. Un esercizio che, se c’è davvero amore, è fatto con piacere e che non pesa affatto: si toglie qualcosa da sé per ricevere molto di più.
L’amore cantato da Genesi – totalizzante, identitario, fedele, fecondo – è l’unico che Gesù può comprendere e vivere. Per Dio, infatti, è inconcepibile che un amore possa finire, si possa ritrarre. Nell’amore vero non c’è mai posto per la parola fine! Nel vocabolario di Dio non esiste la parola “basta così”!
E se Mosè, nell’antico patto, quello scritto su tavole di pietra e non nel cuore dell’uomo, aveva permesso l’atto di ripudio è solo per la durezza del cuore dell’uomo! Ora nella nuova alleanza, nel tempo dello Spirito, l’amore prende il sopravvento sulla legge. C’è un insegnamento “nuovo”, diverso, che chiede attenzione da parte dell’uomo e che è impartito da Dio dall’alto di una strana cattedra: la croce piantata sul Golgota. Da quel venerdì di 2000 anni fa l’amore non solo è “tornato alle origine” così come Dio l’aveva pensato prima della disobbedienza di Adamo e quindi dell’inizio di una storia di male e di peccato, ma si è perfezionato. Non c’è manifestazione più grande dell’amore che la Croce! Essa ha ristabilito l’originale progetto trasfigurandolo! Non ci possono essere più fraintendimenti o mezze misure: per trovare la vera felicità, la piena realizzazione di sé, un anticipo di Paradiso si deve amare solo così.
Dio non vede che con gli occhi di questo amore. Per questo non riesce a concepire che un amore possa essere ripudiato.
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