22 marzo 2021

Noi gente di teatro tra paura di dissolverci e voglia di reinventarci

“Pretendere di vivere è da megalomani” dice Ibsen, “…sopravvivere è tutto” scrive Rilke; ecco come si potrebbe riassumere, in poche ma verissime parole, lo stato d’animo dei “teatranti” prima e durante la pandemia.

Certamente la categoria dei lavoratori dello spettacolo è una di quelle più abituate a vivere nell’incertezza, a doversi conquistare il proprio spazio giorno per giorno, a meritarsi la fiducia del pubblico e a dover fare i conti con la limitatezza dell’essere umano, limite che, di per sé, è il vero carburante di ogni forma d’arte; Thomas Mann ha scritto che solo chi è molto creativo riesce a non dimenticare mai l’ineluttabilità della morte, che entra così a far parte della vita stessa; vivere non diventa quindi una pretesa ma una consapevolezza, che in Teatro si materializza nella rappresentazione della vita, un rito scaramantico per annullare i confini dell’essere.

Dovendo raccontare come le donne e gli uomini di Teatro affrontano questo momento drammatico per l’umanità, mi è sembrato giusto prima di tutto puntare i riflettori sull’aspetto psicologico del nostro lavoro, un lavoro che nasce dalla conoscenza, figlia della ricerca della consapevolezza, di sé stessi e degli altri, conoscenza che può attuarsi soprattutto attraverso il contatto umano ed il riconoscimento dell’importanza del proprio lavoro da parte del pubblico.

E’ facile intuire quindi che il distanziamento e l’impossibilità di stare in scena abbiano portato a tutti coloro che, come me, lavorano in teatro, un doppio problema, il primo appunto di natura psicologica - si ha come la sensazione di dissolversi - e l’altro, non meno importante, di natura economica.

Se volessimo paragonare i teatranti ai marinai, potremmo certamente dire che sia i primi che i secondi hanno accettato il rischio di incontrare tempeste durante la navigazione e che sono certamente abituati ad affrontare difficoltà inaspettate ed ineludibili, ma affrontare il naufragio su di un’isola deserta e dover lottare per sopravvivere (ecco Rilke) per lungo tempo con poca acqua e scarsità di cibo, diventa un’esperienza drammatica anche per chi ha la pelle dura. In questo momento storico il teatro e un’isola deserta, sulla quale bisogna fare di necessità virtù ed inventarsi qualcosa che possa garantire la sopravvivenza.

Mi è stato chiesto di scrivere questo articolo ed in particolare di raccontare come sto vivendo, da uomo di Teatro, questo momento così difficile per l’umanità, ma mi rendo conto solo ora che non ho ancora scritto nulla di me, forse perché questa lontananza forzata dalle tavole del palcoscenico, ha messo a tacere l’ego di noi teatranti e ci ha ricordato che nella vita da soli non si va da nessuna parte e che questa regola vale ancora di più in Teatro

Oggi più che mai mi sento parte di una categoria di lavoratori che viene percepita come “non indispensabile”, ombre svanite nel nulla; è vero, i personaggi scompaiono ogni sera appena si chiude il sipario ma l’oblio dura poco, di solito fino alla sera seguente, quando si riaccenderanno le luci e tutto torna a vivere; ora però il sipario è calato da troppo tempo e nella penombra del palcoscenico, gli attori, i registi, gli autori, i tecnici, tolta la maschera, si aggirano confusi tra le quinte della vita cercando un modo per sopravvivere.

Io personalmente, dopo la prima ondata che ha colpito duramente me e la mia famiglia, ho continuato le lezioni della Scuola di Recitazione, che da anni dirigo presso la Società Filodrammatica Cremonese, con gli allievi che hanno accettato di lavorare online, pochi in verità, e con loro stiamo facendo un lavoro molto interessante sulla “parola”, una sorta di studio prolungato ed approfondito sul testo; si sta rivelando un’esperienza davvero molto interessante, con la quale riusciamo a trasformare il limite della mancanza di fisicità in un vantaggio a favore della comunicazione verbale. 

In qualità di Direttore artistico del Teatro V. Bellini di Casalbuttano, sono riuscito, la scorsa estate, con il sostegno psicologico ed economico dell’Amministrazione comunale ed in particolare dell’Assessore Dott.ssa Eleonora Lanza, a recuperare all’aperto gli spettacoli annullati della scorsa stagione teatrale, bruscamente interrotta a fine febbraio 2020; devo riconoscere che è stato davvero emozionante rivedere gli attori sul palco e la platea all’aperto gremita di spettatori: l’affetto e l’entusiasmo che il nostro pubblico ci ha dimostrato è stato davvero importante per darmi la forza di continuare e di non mollare ed è per questo che anche quest’anno proporremo una stagione teatrale all’aperto a Casalbuttano (4 o 5 spettacoli a giugno e luglio).

E’ con questo annuncio di una ripartenza che voglio terminare questo mio breve intervento; forse non segnerà il ritorno alla normalità nel mondo del Teatro, ma è pur sempre un segno di speranza, un invito rivolto ai colleghi dello spettacolo a non mollare, un appello a tutti i cittadini, in particolar modo a coloro che in questo momento possono aiutare chi è in difficoltà, ad essere solidali con chi soffre, perché nella vita può capitare a tutti di veder chiudersi improvvisamente il sipario davanti a noi, ma sapere che ci sarà qualcuno che ci aiuterà a riaprirlo può aiutarci a “riveder le stelle”.

Beppe Arena


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commenti


Ornella

22 marzo 2021 13:29

Beppe meriti un elogio
Il tuo sconcerto è condiviso da tutti i "I TEATRANTI"" che non solo usano corpo e v

Io

oce in modo espressivo., ma hanno.una profonda cultura non solo legata all"arte che professano ma sono eclettici anch"io mi considero tale
Ornella