Non si muove foglia che Dio non voglia! Ma è proprio vero?
In alcuni casi la sapienza popolare pecca di ingenuità, ne è un esempio il noto proverbio: “Non si muove foglia che Dio non voglia”. Secondo questo adagio tutto è determinato dal Padreterno e i margini di movimento dell’uomo sono estremamente limitati. Fortunatamente Dio non è come quella stupida caricatura del film “Dio esiste e vive a Bruxelles”: un cinico uomo di mezza età seduto davanti un computer intento a dirigere le vite degli uomini come se fossero degli automi! Dio ci ha creati liberi!
È vero, nel Vangelo di questo domenica – dodicesima del tempo ordinario - è scritto: “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia”. Ma ciò non significa che sia Dio a spezzare le ali di queste innocenti creature per farle cadere. No. Il Vangelo non dice questo. Letteralmente assicura che neppure un passero cadrà a terra “al di fuori, all'insaputa di Dio”, di un Signore coinvolto nel volo e nelle sofferenze delle sue creature.
Non c’è nulla che accade, di gioioso o di doloroso, di bello o di angosciante, che Dio non ne sia coinvolto. Nel libro “La notte” di Elie Wiesel, superstite dell’Olocausto c’è una pagina drammatica che racconta dell’impiccagione di un bambino reo di atti di sabotaggio in un campo di concentramento: “I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi. - Viva la libertà! - gridarono i due adulti. Il piccolo, lui, taceva. ‘Dov’è il Buon Dio? Dov’è?’ domandò qualcuno dietro di me. A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte. Silenzio assoluto. All'orizzonte il sole tramontava… I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora... Più di una mezz’ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti. Dietro di me udii il solito uomo domandare: ‘Dov’è dunque Dio?’ E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: ‘Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca...’”.
Cristo, morendo sulla croce, ha voluto identificarsi con tutti i crocifissi della storia, ha deciso di assumere il volto delle donne vittime della violenza di uomini meschini, dei profughi che affogano nel mare dell’indifferenza del mondo ricco, dei bambini che vivono ancora – nel terzo millennio – l’incubo della fame, della guerra, dell’analfabetismo, di tanti cristiani martiri per la loro fede in Corea del Nord, in Cina, in molte parti dell’Africa e dell’America Latina. Dio resta lì, testardamente appeso alle forche che gli uomini costruiscono per altri uomini, per i loro fratelli, illudendosi così di poter avere più potere e più ricchezze.
Può sembrare scandaloso un Dio così inerte, tremendamente debole, quasi passivo! Ma il Signore ha scelto di rispettare la libertà dell’uomo a qualsiasi costo, di non tarpare le ali neanche all’animale rapace che si diverte a uccidere candide e innocenti colombe. Dio soffre per le vittime, ma anche per i carnefici, perché affliggendo gli altri non fanno altro che affliggere sé stessi, permettendo al male di invadere il proprio cuore creano solo vuoto e solitudine accanto a sé. Non c’è peggior condanna per un uomo che abbandonarsi al male.
Noi tutti vorremmo un Dio interventista, pronto a giudicare e a punire sul momento. Ma che inferno sarebbe la vita! Anche perché se dovesse punire i malvagi che compiono azioni deprecabili, dovrebbe castigare tutti e sempre. Dovrebbe punire anche noi che spesso siamo protagonisti di azioni cattive!
Ci sarà un giudizio, alla fine della nostra vita, dopo che Dio avrà fatto di tutto, sempre nel rispetto della nostra libertà, per farci ravvedere, per mostrarci quanta infelicità c’è nel fare e perpetuare il male, per ri-iniziarci continuamente all’amore. Quando avremo oltrepassato l’estrema soglia e saremo di fronte a Lui, che è Amore puro, sarà la nostra vita a giudicarci. Non si può, infatti, andare incontro all’Amore se tutta l’esistenza è stata caratterizzata dall’egoismo, dalla violenza, dalla rapacità.
Riconoscere Dio nella propria vita significa non tacerà la verità che lui è l’unico Salvatore del mondo, ma anche vivere nel segno pieno dell’amore, significa guardare il volto dell’altro come fosse il volto di nostro fratello. Riconoscere Dio vuol dire scommettere sempre e unicamente sulla carità.
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