29 aprile 2021

Non sono perseguitati politici, ma è il tempo della riconciliazione

La richiesta di estradizione dalla Francia degli ex terroristi è un dovere di giustizia anche nei confronti dei familiari delle vittime, non un atto di vendetta. Serve una premessa: la dottrina Mitterand si basava su un equivoco, ossia che queste persone, come altre arrestate in quegli anni, fossero dei perseguitati politici. Questo non è vero: le Corti italiane li hanno giudicati e condannati, quasi tutti per una serie di omicidi, con il rispetto di tutti i diritti di difesa. Nessuno di loro può ragionevolmente proclamarsi innocente. Lo dimostra il caso di Battisti che dopo l’estradizione ha confessato tutti e quattro i delitti per cui era stato condannato. 

Premesso questo, la richiesta di estradizione e la loro consegna al nostro Paese sono normale giustizia. Però ritengo che per l'eventuale trattamento penitenziario che seguirà quando saranno in Italia, bisognerà tener conto se in questo lungo periodo di latitanza abbiano fatto una riflessione critica di quegli anni, se siano cambiati e se la loro pericolosità siano venuta meno. Se così fosse potrebbero essere concessi, certo non subito ma col tempo, anche benefici come ad esempio la semilibertà. Ogni caso andrà valutato per capire se la persona che si ha davanti, sempre nel rispetto dei familiari delle vittime, sia ancora la stessa che ha commesso quei delitti trenta o quarant'anni fa.

Bisognerà trovare delle forme, già sperimentate in molti altri casi, di riconciliazione e di dialogo tra le vittime e gli autori dei delitti.

Raffaele Ventura è stato condannato per l’omicidio del vicebrigadiere Antonino Custra. Mi stupisce un po' che Ventura, che era uno dei capi dell’Autonomia milanese, si sia reso, come sembra in queste ore, ancora latitante perché negli anni aveva dimostrato il suo distacco e la sua riflessione sugli eventi di allora e si era reinserito nella società francese. Dovrebbe finalmente accettare di confrontarsi con la giustizia italiana e non fuggire ancora. 

Dell’omicidio Calabresi, nonostante le condanne, non si sa tutto, non si conosce se non in parte come fu deciso e organizzato e nemmeno tutta la fase esecutiva. Pietrostefani è a conoscenza di quei segreti e con il suo ritorno in Italia potrebbe rivelarli. Non dimentichiamo che quello del Commissario non fu un crimine qualsiasi, è stato il primo omicidio politico, legato a piazza Fontana e ideato prima ancora che iniziasse il terrorismo con i suoi crimini seriali. Credo che Pietrostefani abbia il dovere civile di raccontare quanto accaduto in quel maggio 1972 perché se si vuole la verità su piazza Fontana, e Pietrostefani è di certo tra questi, si deve volerla anche per tutto il resto, dalla morte di Calabresi a quella di Pinelli. Aggiungo però che Pietrostefani è gravemente malato e questo dovrà essere tenuto in considerazione perché, per una persona in quello stato, il carcere sarebbe ingiusto. 

Sono state moltissime le iniziative di riconciliazione tra terroristi e vittime. Ad esempio l’ex militante dell’Autonomia Mario Ferrandi, che uccise il vicebrigadiere di Polizia Antonio Custra a Milano nel maggio 1977, dopo aver scontato la pena ha incontrato la figlia di Custra proprio in via De Amicis, sul luogo dell'omicidio. E su esperienze simili di dialogo sono stati scritti anche dei libri come "Un'azalea in via Fani Da Piazza Fontana a oggi: terroristi, vittime, riscatto e riconciliazione" (Edizioni San Paolo) o "Il libro dell'incontro" (Saggiatore) curato dal mio collega di Università il prof. Adolfo Ceretti. 

Chi torna adesso in Italia può intraprendere anche lui questo percorso con magari con i familiari di chi, tanto tempo fa, ha ucciso. Non parlerei di clemenza ma di percorso di riconciliazione e comprensione. 

Qualcuno sostiene che in quegli anni ci siano stati tribunali e processi speciali ma non è vero, Questo è un ingiusto luogo comune. I processi sono stati del tutto regolari, le condanne non sono certo state pronunciate da Tribunali speciali e ne sono testimone, non solo in prima persona, ma anche ricordando il lavoro di mio padre Angelo che allora presiedeva la Corte d'Assise e condusse, tra grandi rischi anche personali, il primo processo per l'omicidio del gioielliere Torreggiani, uno dei delitti per cui è stato condannato Cesare Battisti. Il problema è che alcune persone si sono sottratte ai processi. Battisti ad esempio evase dal carcere di Frosinone mentre era in corso il dibattimento a suo carico. Certo ci sono state condanne dure ma poi con la dissociazione e con i benefici penitenziari molti ex terroristi sono stati scarcerati molto prima di scontare l’intera pena, una volta usciti non hanno più commesso reati e si sono reinseriti nella società 

Guido Salvini (magistrato)


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