Pandemia e guerra hanno davvero ucciso la speranza?
È la terza Pasqua “strana” che stiamo vivendo, soprattutto noi uomini e donne nati a scavalco tra il Secondo e Terzo Millennio dell’era cristiana, così fortunati da non aver mai dovuto fronteggiare devastanti pandemie o guerre fratricide in casa nostra o a pochi passi da noi. Tutto questo almeno fino al 2020, quando, alla fine di febbraio, mentre eravamo intenti a organizzare, spensieratamente e anche un po’ indolentemente, il Carnevale, ci siamo barricati in casa per evitare la diffusione del temutissimo Covid19.
E quando hanno cominciato a dirci che l’emergenza sanitaria era sotto controllo, ecco la Russia di Putin, in un anacronistico desiderio di supremazia, aggredire l’Ucraina agitando anche lo spettro di una guerra nucleare oltre che la chiusura dei gasdotti.
Dopo due anni di pandemia, ci sembrava di aver perso la speranza, ma non avevamo ancora fatto i conti con i bambini morti di fame a Mariupol, le donne stuprate davanti ai loro figli, le fosse comuni di Bucha, le belle città della parte orientale di questo paese giovane e fiero ridotti a scheletri: intere comunità, con il loro carico di vite, di storia, di bellezza, spazzate via, rase al suolo in un triste groviglio di ferro e di polvere. Questi scenari, strazianti e disumani, hanno spento la nostra speranza. Definitivamente! O almeno una certa speranza: quella del “Andrà tutto bene” dei cartelloni e degli striscioni sui balconi o quella della protagonista del celebre colossal “Via col vento” che sigilla il lungometraggio con la celebre frase: “Dopo tutto domani è un altro giorno”. La speranza dell’uomo che si basa solo sulle proprie forze e capacità, su indefinite illusioni, su desideri limitati, su sogni bizzarri. Questa speranza è certamente morta! Ma è bene che sia così, perché è una speranza vana che spesso si trasforma in un terribile anestetico o in una mortifera disillusione!
Dove l’uomo va ad alimentare questa inutile speranza?
C’è chi la nutre rivolgendosi alle proprie capacità ed energie! Se c’è una cosa che ci ha insegnato questo virus ed ora questo conflitto è proprio l’umiltà. Ci credevamo padroni del mondo, addirittura dell’universo, e abbiamo compreso, sulla nostra pelle, di non essere nemmeno padroni del giorno che stiamo trascorrendo. Anzi ci siamo ritrovati pavidi, angosciati, inermi e ora ancora più tremanti di fronte alle minacce sconsiderate di un uomo che si crede il Padre eterno. L’uomo, quando rompe il cordone ombelicale con Dio, spesso si trasforma nel carnefice di sé stesso, in balia della propria arroganza, di un implacabile delirio di onnipotenza.
C’è chi nutre la propria speranza appellandosi alla scienza e alla tecnica! Per carità, la scienza e la tecnica sono importanti, necessari. La Chiesa guarda con rispetto e gratitudine scienziati e ricercatori. Con ammirazione ringrazia medici, infermieri e operatori sanitari tutti per il lavoro grandioso che hanno compiuto e stanno compiendo in questi mesi. Eppure neanche la scienza può rispondere alle domande profonde del nostro cuore: perché la sofferenza, il dolore, la morte? Ma anche: perché l’amore, perché la dedizione fino al sacrificio della vita per salvare altre vite sia nelle corsie degli ospedali sia sui campi di battaglia dove un tempo si seminava il grano sia negli scantinati di Odessa o di Kharkiv? No, questo la scienza non ce lo può dire, non ne è capace.
C’è chi nutre la propria speranza nel lavoro convulso, nel divertimento frenetico, in una vita vissuta a cento allora, sganciata da tutti e da tutto, con un’unica meta: realizzare sé stessi! Paradisi artificiali che illudono l’uomo di essere invincibile e immortale, ma che lo rendono solo più arido e cinico. Ancora più disarmato di fronte alla morte.
Noi, oggi, in questa mattina di Pasqua, la speranza l’andiamo a cercare “disperatamente”, come si cerca l’acqua in un deserto assolato, in quel giardino posto poco lontane dalle mura di Gerusalemme.
L’andiamo a cercare in quella tomba che, agli occhi del mondo, manifesta un fallimento, una vicenda chiusa per sempre e che invece, agli occhi di Dio, rivela l’inizio di una storia nuova. Perché quella tomba è vuota, la morte è stata beffata per sempre. E la paura, che era la sua arma più efficace per tenerci in scacco, vinta in modo irrimediabile.
Noi andiamo a nutrire la nostra speranza in Dio il solo che può darci la certezza che “siamo nati e non moriremo mai” e che la nostra esistenza, tutto ciò che siamo, la nostra personalità, la nostra storia, il nostro amore, i nostri desideri più belli, i nostri sogni più arditi, non andranno mai perduti. Non finiranno in un buco nero inghiottiti dal nulla. No! La nostra vita sarà trasfigurata in Dio e tutto sarà raccolto e custodito dalla sua mano misericordiosa.
Durante la veglia di quella “strana” Pasqua del 2020, celebrata in una magnifica quanto deserta basilica vaticana, papa Francesco gridò: “Stanotte conquistiamo un diritto fondamentale, che non ci sarà tolto: il diritto alla speranza. È una speranza nuova, viva, che viene da Dio. Non è mero ottimismo, non è una pacca sulle spalle o un incoraggiamento di circostanza, un sorriso di passaggio. No. È un dono del Cielo, che non potevamo procurarci da soli”.
A noi cristiani, però, il Cristo vivo affida un compito! Quello di vivere da Risorti! San Paolo è categorico: “Se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù!”. Con la nostra vita, con le nostre scelte, con il nostro modo di ragionare e di giudicare, dobbiamo mostrare a tutti che la felicità vera e duratura, la realizzazione piena di sé stessi, non sta nelle cose del mondo, che sono fragili e passeggere, ma solo e unicamente nell’Amore. Perché solo l’amore vince la morte. Solo una vita che è spesa per gli altri, nella ricerca del bene, del vero e del bello può guardare la morte negli occhi e farsi beffe di lei. Lo ripeto con convinzione: chi ama non ha paura della morte! Dio è amore, Dio è vita, Dio è risurrezione!
Allora “Andrà tutto bene”, ma solo perché Cristo è risorto, perché noi viviamo da risorti, perché noi crediamo nell’amore! La sola certezza che non teme confronti.
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