2 ottobre 2022

Per perdonare occorre una fede sempre più salda e forte

Per comprendere l’accorata richiesta degli apostoli a Gesù – «Signore, aumenta la nostra fede» – è necessario rileggere i versetti precedenti che sono stati omessi nella pericope evangelica di questa prima domenica di ottobre. Il Maestro di Nazareth invita la stretta cerchia dei suoi seguaci ad avere larghissima misericordia verso il prossimo, senza mai stancarsi: «Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai».

Gli apostoli, con molto umiltà, riconoscono che, umanamente, questo atteggiamento è quasi impossibile da attuare: non c’è atto più difficile e faticoso per l’uomo che perdonare un torto subito, un giudizio malevolo, una cattiveria gratuita, un tradimento inaspettato, una sofferenza inflitta. Il perdono richiede un profondo “spossessamento” di sé, la salda capacità, cioè, di tenere a freno il proprio orgoglio, la propria superbia, quell’ancestrale bisogno di imporre sempre e solo se stessi agli altri, al mondo e purtroppo, a volte, anche a Dio! Il perdono richiede che la persona impari a morire a sé stessa, e, lungi dall’essere un segno di debolezza e remissività, esso presuppone una grande forza interiore. 

Perdonare, per molti, sembra quasi un “coprire” il male subito, abdicare ad una giustizia che è sempre garante della vittoria del bene. Come se il perdono fosse una mano tesa verso il prepotente, l’arrogante, l’aguzzino, l’iniquo! Una sorta di connivenza con il male!

In realtà perdonare significa concedere a chi ha sbagliato la possibilità di riconoscere il proprio errore, anche di emendarlo, ma di non venire bollato, schiacciato o perseguitato da esso: il cristiano è consapevole che l’uomo è qualcosa di più dei gesti che pone in essere, dei peccati che compie! Perdonare significa concedere una rinascita umana e spirituale, l’occasione di dimostrare di essere migliori dei propri atti. 

Umanamente - lo sappiamo bene - tutto questo è difficile da concretizzare! La nostra propensione al male, la nostra paura di essere considerati dei pavidi e degli sconfitti, il nostro desiderio di primeggiare sempre, di gustare la vittoria su tutto e su tutti, ci porta, invece, a vendicarci, a rispondere con la stessa moneta! E non ci rendiamo conto di ingigantire ancora di più questo male nel nostro cuore, come in quello di chi ci ha fatto il torto! Un fiume in piena che, senza quasi accorgerci, travolge tutti, rendendo la nostra quotidianità sempre più nervosa, violenta, arrabbiata. 

Per vivere, dunque, nella logica del perdono e della misericordia dobbiamo imparare a sincronizzare il battito del nostro cuore con quello di Dio! 

Gli apostoli “mendicando” una fede più salda e più vigorosa stanno chiedendo di entrare ancora più intimamente in relazione con Lui, perché soltanto con Cristo l’uomo trova la forza e il coraggio di superare sé stesso, di perdere qualcosa di sé perché confortato dalla promessa di guadagnare ciò che è imperituro: la felicità, la vita eterna, quella bellezza divina che completa e dona pienezza all’esistenza!

E come se gli apostoli dicessero: «Il perdono è un gesto quasi sovraumano, che va al di là delle nostre forze e capacità, ma se tu ci stai accanto, o Signore, riusciremo in questa impresa che ci rende sempre più divini».

La fede, questa capacità di abbandonarsi a Dio, mettendogli nelle sue mani la propria vita, conduce l’uomo ad essere ancora più uomo, ad arricchire la propria umanità: essa non promette solo un oltre di felicità e di gioia, ma assicura fin da subito una vita intensa e piena, ricca di stimoli al bene, a relazioni autentiche.

Il perdono nasce anche dalla scoperta di essere continuamente perdonati dal Signore: se c’è uno che mette in pratica l’invito a perdonare sette volte al giorno, quello è proprio Gesù! Se davvero provassimo a pensare quanta pazienza Dio ha nei nostri confronti, quante occasioni ci offre per riprendere con gioia e fierezza il nostro cammino… forse riusciremmo ad avere occhi un po’ più indulgenti nei confronti del nostro prossimo. Invochiamo da Lui misericordia, ma noi per primi siamo pronti a donarla?

La fede, infine, è anche un ottimo “purificante” per chi vuole seguire Gesù. Egli non promette posti d’onore, privilegi, riconoscimenti terreni. La gioia dell’apostolo risiede solo nell’aver fatto quello che Dio gli ha chiesto di fare. Se ci pensiamo bene quanto è liberante poter dire alla fine di una giornata: “Sono un servo inutile, ho fatto solo il mio dovere! Ci ho messo tutto il mio impegno, la mia fantasia, la mia passione… ora tocca a Dio trarre le conclusioni”! Ma che risparmio di ansia da prestazione, di bramosia di successo, di timore di inadeguatezza… di superbia!

E come diceva padre Ermes Ronchi nel suo commento settimanale al Vangelo: “inutile” non significa che è il servo è superfluo o ininfluente, ma che non cerca mai il proprio utile, il proprio tornaconto. Ma solo quello di Dio!

 

Claudio Rasoli


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