1 maggio 2022

Pietro, tra rinnegamento e dichiarazioni d'amore

Non smetterò mai di stupirmi della figura dell’apostolo Pietro, il pescatore di Cafarnao, la città della Galilea affacciata su quel Lago teatro di molti episodi evangelici. Pietro assomiglia a tanti di noi. È un istintivo, un generoso, vuole bene sinceramente a quel Maestro che lo ha strappato dal “mare” di Tiberiade e dalla sua famiglia per portarlo a percorrere le strade prima di Gerusalemme e poi di Roma. Ma è anche un uomo pieno di dubbi e di paure, non sempre riesce a cogliere le verità pronunciate da Cristo e soprattutto non ci mette molto a rinnegarlo dinanzi alle insistenze di una semplice portinaia. È scostante e anche un po’ sbruffone. In lui convivono atteggiamenti apparentemente contrapposti: amore viscerale, ottusità nel comprendere il messaggio del Maestro, timore per la propria vita, prontezza nel servire il Rabbi. Convivono nel suo cuore come nel nostro. Anche noi sentiamo un’attrazione profonda per Gesù, per i suoi discorsi ricchi di senso, di sapienza e di vita, per i suoi gesti carichi di delicatezza e tenerezza, per la fiducia che caparbiamente mostra per noi! Allo stesso tempo vorremmo chiudergli la porta in faccia perché le sue parole smascherano le nostre ipocrisie, le nostre falsità, le nostre meschinità, le nostre pigrizie. Quante volte ci siamo sentiti di dirgli: “Adesso basta! Adesso è troppo! Amare il mio nemico? Nemmeno per sogno! Perdonare mio fratello fino a settanta volte sette? Così nessuno più mi rispetta! Porgere l’altra guancia? Si, certo, così il prepotente trionferà sempre”. Troppo spesso il suo amore ci è sembrato esagerato, ingiusto, folle, controproducente… 

E poi, anche noi, come Pietro, non abbiamo remore nel rinnegarlo, magari non così platealmente come lui, ma in maniera più subdola, velata: forse non ci è mai capitato di tacere o far finta di niente di fronte agli attacchi contro la fede o la Chiesa? O contro i poveri e gli ultimi? O contro il perdono, l’amore senza misura, il servizio come via di realizzazione personale, l’umiltà come atteggiamento costruttivo, la fedeltà come valore essenziale, il sacrificio come strada maestra per la santificazione? Non mentiamo: troppo spesso abbiamo agito come se non conoscessimo Gesù!

Ora, anche noi, come Pietro ci ritroviamo sul lago di Galilea, sconsolati, alle prese con i nostri fallimenti, le nostre paure che ci immobilizzano, il nostro peccato che ci rende tristi. E proprio nel momento della solitudine e della sofferenza maggiore Gesù viene a risollevarci. La pesca, quella notte, è andata malissimo: Pietro torna a mani vuote, nelle reti assolutamente nulla. 

Ma è proprio nel nulla del nostro cuore che Gesù viene a ripescarci, a ridarci speranza. Certo occorre umiltà nel riconoscere che da soli non possiamo fare nulla e nel correre incontro a Cristo senza vergognarsi del proprio peccato o del proprio rinnegamento. Quando Giovanni riconosce Gesù risorto, Pietro è incontenibile dalla gioia: si butta in acqua per arrivare per primo e così aggrapparsi alle vesti di Colui che può prendere le sue reti vuote e riempirle di una moltitudine di pesci. 

Da quell’incontro nasce un dialogo che è una sorta di rigenerazione di Pietro, una seconda chiamata alla vita di grazia dopo quel triplice rinnegamento compiuto in quella notte scellerata passata a rincorrere da lontano Gesù mentre veniva giudicato dai sacerdoti del tempio, da Erode e Pilato. Tre volte dalla sua bocca era uscito quel tremendo “Non lo conosco” e tre volte Cristo si accosta lui quasi mendicando il suo amore. Pietro non ha la forza di amare Gesù più degli altri, ma neanche di amarlo come o meno degli altri, egli può “solo” volergli bene, come si vuol bene ad un amico. E Gesù si accontenta di quello che “Simone di Giovanni” può offrirgli: non pretende niente di più di quello che il discepolo riesce a dargli! Ma proprio questo amore gratuito e oblativo di Dio, insieme al dono dello Spirito Santo, cambieranno Pietro facendolo salire, anch’egli, sul legno della Croce. Addirittura vorrà essere crocefisso a testa in giù – così dice la tradizione – perché considerava un onore troppo grande quello di morire come il suo Maestro. Dal voler bene è passato all’amore totale, assoluto. In mezzo c’è un cammino faticoso di espropriazione di sé stessi, ma soprattutto il riconoscimento di un amore tanto grande quanto immeritato da parte di Dio!

Claudio Rasoli


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