23 ottobre 2022

Puntare il dito o battersi il petto?

Che cosa spinge milioni di persone a seguire con fedeltà e costanza quel triste carosello di bassa umanità che è il “Grande Fratello Vip” su Canale 5? Perché la docu-serie di Netflix sui raggiri e gli imbrogli di Wanna Marchi e della figlia Stefania Nobile ha avuto un così grande successo? Da dove nasce questo morboso interesse per alcuni efferati delitti? Da Cogne ad Avetrana sono stati versati fiumi di inchiostro e dedicate innumerevoli trasmissioni televisive!

Il trash desta sempre grande attenzione e compiacimento da parte del pubblico! Per questo tanti programmi tv invitano personaggi pittoreschi al limite della decenza o facilmente irascibili che trasformano in caciara discussioni che potrebbe, invece, portare a riflessioni serie e costruttive! Appena scoppia la lite – una delle più gustose è quella di qualche settimana fa tra Sgarbi e Mughini al Maurizio Costanza Show – lo share degli ascolti sale e le visualizzazioni su youtube crescono vertiginosamente!

Il fenomeno è facilmente spiegabile dal fatto che tutti, costantemente, andiamo alla ricerca di chi è peggiore di noi. È il modo più semplice per rassicurarci e coccolarci nel nostro perbenismo, per convincerci che, in fondo, non siamo così malaccio e che quindi non è necessario che ci impegniamo a cambiare qualcosa nel nostro modo di pensare, nei nostri comportamenti, nelle nostre relazioni interpersonali! C’è, infatti, sempre qualcuno più cattivo, più arrogante, più cinico, più ignorante di noi per cui è inutile prendersela troppo: è cosa buona e giusta accettare di restare in quella “media” umanità dove non ci sono sbavature né in peggio… ma neanche in meglio, però!

Ai tempi del popolo d’Israele c’era il “capro espiatorio” - nel giorno dell’espiazione (kippur), il sommo sacerdote caricava tutti i peccati del popolo su un capro e poi lo mandava nel deserto – oggi ci sono personaggi pubblici o resi pubblici grazie a situazioni particolari che vengono condannati sui social network, con una brutalità e aggressività impressionanti, da un esercito di tanto improvvisati quanto implacabili giudici! È un modo per sentirsi migliori, per convincersi di essere dalla parte giusta!

È lo stesso atteggiamento del fariseo protagonista della parabola di questa penultima domenica di ottobre: lui non è come tutti gli altri e soprattutto come quel pubblicano che, in fondo al tempio, non osa nemmeno alzare gli occhi tanto il suo peccato lo schiaccia e lo umilia. Quest’ultimo è doppiamente peccatore: collabora con i romani che hanno conquistato la terra che Dio aveva assegnato ad Israele e per loro riscuote le tasse e, inoltre, ruba ai compaesani facendo la cresta sugli importi dovuti ai conquistatori pagani. Esattore e aguzzino!

Il fariseo, invece, è tutto “casa e tempio”! Osserva in maniera diligente e scrupolosa tutti i comandamenti di Dio: il peccato non alberga alla porta del suo cuore! Eppure tutta questa perfezione nasconde il peccato più grande che un uomo possa compiere: la superbia! Egli, ritto e altero, va al tempio non per ringraziare Dio di averlo preservato dal male e aiutato a camminare nella via della Torah, ma per sciorinare tutti i suoi meriti, le sue “conquiste spirituali”, la sua cristallina moralità. In realtà egli sta cercando il plauso e il ringraziamento del Signore: sta aspettando che l’Onnipotente gli appunti al petto la medaglia d’oro del perfetto credente. La sua preghiera non è, come dovrebbe la risposta ad una chiamata, ma un monologo. Egli è come se fosse salito su un piedistallo e da lì reclama riconoscenza e gloria. Dio, che dovrebbe “inquietare” l’uomo spingendolo ad amare sempre di più e sempre meglio, è relegato al ruolo di “certificatore” di bravura! Il fariseo alla fin fine ha trasformato Dio in un bonaccione rassicurante, in un idolo che, invece, di spronare a vivere sempre più con carità e misericordia, gli liscia il pelo.

Questo atteggiamento spirituale oltre a minare un sano e fruttuoso rapporto con il Cielo, inquina la relazione con i fratelli. Dall’alto della sua colonna, infatti, il fariseo, ebbro di tanta immacolatezza e perfezione, non fa altro che giudicare chi gli sta intorno e in modo particolare il pubblicano che, oggettivamente, ha tanti peccati da farsi perdonare! Purtroppo questa pericolosa religiosità porta il fariseo all’isolamento, mentre un vero rapporto con Dio dovrebbe sempre condurre alla “compassione”: alla condivisione, cioè, delle ferite del corpo e dell’anima del proprio fratello. Compatire, infatti, significa letteralmente “patire con”, accettare cioè di caricarsi di una parte delle sofferenze del proprio prossimo affinché egli possa sentirsi più leggero nel suo itinerario di guarigione e di crescita!

Il fariseo non riesce a compatire perché la sua perfezione lo rende algido e insensibile: egli non sa o non vuol sapere cosa significa essere soverchiati dal proprio peccato; desiderare di amare come insegna Dio, ma non avere l’energia per farlo; essere governati da passioni insane e vizi indicibili e non avere la forza di ribellarsi. Non sa cosa significhi lottare contro sé stessi!

Le ferite interiori del pubblicano, le sue fragilità umane e spirituali, il suo intimo combattimento contro il male lo hanno portato ad essere “umile”, cioè aperto, senza pregiudizi o velleità, all’azione di Dio. Egli è certo che solo la misericordia divina potrà salvarlo e rendergli quella felicità che tanto agogna. È consapevole che non ha la forza di farcela da solo, per questo si abbandona a Dio!

Una persona così, che ben conosce le proprie meschinità e cattiverie, è certamente incline alla compassione, alla tolleranza, alla misericordia. 

Per questo Gesù ha scelto come suoi testimoni privilegiati, persone semplici, fragili, peccatrici: come Levi che era un esattore delle tasse o Pietro che si rivelò codardo e traditore o Paolo che visse parte della sua giovinezza a perseguitare la Chiesa. Uomini segnati e feriti dall’infedeltà e dalla perfidia e proprio per questo disponibili ad aprirsi a Dio e alla sua azione e capaci di comprendere quel popolo “affamato e stanco” che cerca solo comprensione e misericordia. Uomini pronti a battersi il petto e mai a puntare il dito!

Claudio Rasoli


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti