3 giugno 2023

Qualche riga militante: il coccodrillo come fa…

Poiché il libero arbitrio è un fragile titano, non entrerò nel Battistero di Cremona per vederlo appeso al filo di una certa piega di arte contemporanea e dei suoi addentellati col mercato – un dio insincero che battezza senza nome. Prendo una posizione perché – a mio avviso, come tutto ciò che vengo scrivendo – è necessario non far passare il “va bene così”, compagno del “che male c’è”, specie quando cresciuti all’ombra di un’arte che induce il pubblico a pensarla come vetta culturale.

Ma cosa stiamo vivendo, col naso in su di fronte a un coccodrillo fluttuante? A me dispiace non sia più in vita ad osservare, lento, il corso di un grande fiume della terra originaria: eppure proprio in questa sua nuova condizione è ipostasi del nostro essere lontani. Ci rappresenta, è specchio. Mi viene in mente l’Appeso dei tarocchi medievali, che rimandava inequivocabilmente (vale a dire che chi stava giocando a carte ne discerneva con semplicità fattezze e significato) alle pitture infamanti; si rappresentava infatti un personaggio di pubblica notorietà (identificabile per un segno araldico, non per somiglianza ritrattistica) appeso per un piede a testa giù, posizione percepita, e quindi usata ad hoc, come oltraggiante – allo stesso modo si potevano dipingere sui muri del palazzo comunale i membri della comunità caduti in infamia. Insomma era un incontro di sguardi funzionante con un procedimento speculare: chi aveva guastato la vita pubblica era figurato nella sua essenza interiore, a rovescio. Ma in questa primavera del XXI secolo non abbiamo più codici simbolici sottili: solo il denaro e la voce indistinta delle opinioni, dei grugniti e dei ragli.

Il coccodrillo come fa? Fa guadagnare likes e appalta il viavai dei curiosi, lo sguardo opaco e la webcam come guida nella selva degli io e degli ego. Dovrebbe dunque indirizzare gli utenti verso luoghi da visitare e presentarsi come fulcro di cultura, necessario per stare al passo coi tempi e con le sue esigenze performative innovative consapevolmente eclettiche. Pensiamoci su, per favore, coi piedi per terra.

Altro che schiaffi estemporanei ed evanescenti dati dall’opera al passante, secondo la medesima logica degli acquisti e magari del voto in cabina, che siamo indotti a vivere d’istinto. Abbiamo davvero dimenticato la luminosa possibilità dell’arte come soglia di sguardo sull’oltre? Perché è palese che gli occhi rivolti al povero coccodrillo restano qui e solo qui, nell’aldiquà ristretto dell’io, coriaceo e deperibile post mortem. Lo spirito non c’entra, non è evocato, non è sul mercato. Proprio per questo è grottesco e irresponsabilmente incolto dar voce alla misera partita tra io ed ego in un Battistero; dimostra che non si ha idea – nemmeno parvenza all’orizzonte – di cosa sia la presenza di ‘immagini’ in uno spazio sacro, né di cosa esso sia permeato.

Per far opinione si possono allora tentare discorsi sull’immaginazione dell’uomo post-moderno: le luci del proscenio puntano sull’individuo. Lasciamo stare, per qualche istante, e consideriamo invece l’immaginario, che è orizzonte sociale e dunque dimensione collettiva. Ciò che abita e dà forma al nostro immaginario orienta l’interpretazione della realtà: se vediamo segni nel cielo possiamo oggi ‘immaginare’ il passaggio di un extraterrestre (con tutto il bagaglio di timori e aspettative di cui carichiamo questa figura) anziché, come nel medioevo, quello di una presenza angelica, buona o demoniaca. Insomma anche lo stupore corre su canali differenti, così come la bellezza.

Come l’Appeso, allora, il coccodrillo chiede da che parte stiamo. Sfugge all’intenzione del grande artista e, vero monstrum, con etimologica fedeltà ‘mostra’ il nonsenso del giocare con forma e sostanza, con l’alto e il basso – “che male c’è”, canta il coro in penombra sulle note del plastico assolo “questa è arte”. Oggi è la provocazione (peraltro fuori tempo massimo, già vista, rinfrescata come la giacca della cresima a cinquant’anni) mirata a far parlare di sé (altro volto dell’io) e così aumentare fatturato e chiacchiere, deformi idoli e insieme demiurghi dello scenario globale. Mille anni fa – ma ancora ne (r)esiste un lume – una prospettiva che “chiamava all’interno”, mostrando la direzione. Avremo lacrime di coccodrillo sulla deriva dell’arte? Abbiamo bisogno di Ego per vedere, alte al centro della cupola (e secondo la direzione della vita umana), le ali dello spirito?

C’è del profetico nel nuovo appeso, ottenuto con un procedimento che salva solo la pelle (esteriorità priva del suo senso originario), poiché l’arte che lascia a bocca aperta l’io è destinata a deperire con lui, centripeto e vorace, così onnivoro da assimilare il bene al male. Altro che contestazioni perbeniste: c’è da essere presenti, aprire lo sguardo e mettersi nel punto più basso (umile) a guardare. Le persone di cultura hanno perfino il dovere di dire qualcosa, di non lasciare che il coro opinionista di tutti-come-uno prenda il sopravvento in un indistinto brusio di mercanti – e acquirenti – nel tempio. Lasciamo stare anche i simbolismi da piccola enciclopedia (utile per orientarsi, non per fingere bagagli culturali imbottiti di carta straccia): il coccodrillo vuol dire questo, lo stare appesi quest’altro, una e una sola verità deve trovarsi, e poi egizi e post moderni insieme, un pizzico di filologia arcaica d’accatto e magari insieme l’avanguardia – shakerare e servire in Battistero. Non si tratta di levare gli scudi – che evidentemente la cultura, anche la più fine, ha comunque dismesso o tassidermizzato – ma di chiamare allo sguardo, che non è dare un’occhiata per poi scrivere impressioni social. Vorrei dire qualcosa, ancora, di committenza sacra e di denari, di possibili dialoghi tra mecenati e persone di cultura, ma a un prevedibile e non utile polverone preferisco la fiducia nel filo d’oro dell’arte come misterioso ponte tra immanente e trascendente.

Meglio un cenno immaginario: sul tavolo medievale della briscola, l’Artefice prende la posta in gioco dell’Appeso, mentre il Matto passa mano, colmo di stupore nel Battistero abitato di spirito.

docente di Storia medievale

 

Adelaide Ricci


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commenti


Luciano Ferragni

9 giugno 2023 09:39

Per me non è arte, ma schifezza...Perché non se lo appende a casa sua?

Foderaro Vittorio

11 giugno 2023 16:04

Shakerare, bersi il cocktail e passare alla cassa. Brava! 1000/100