Quando il "Jet Set" contemporaneo incontra un archivio in periferia: Miracolo a Milano
Una volta si chiamavano "socialites", ed erano i rampolli delle grandi aristocrazie finanziarie americane che dimoravano gli attici di Manhattan d'inverno e le enormi magioni di campagna del New England in estate, tutte costruite una accanto all'altra in una perenne concorrenza immobiliare che seguiva quella patrimoniale tra le grandi famiglie. Agli inizi del '900 I Morgan, i Vanderbilt , i Delano e i Roosevelt, gli Astor, i Crawford, i Dupont e via dicendo ebbero fino a dopo la seconda guerra mondiale il monopolio di questo termine e l' appannaggio di rappresentare nel mondo una nicchia di vita dorata e a mala pena sognata dai più. Erano diventati loro i più ricchi e invidiati del pianeta, soppiantando i fratelli maggiori, gli aristocratici inglesi.
Negli anni '50 e nella società del boom economico globale i rampolli di queste grandi famiglie abbandonarono progressivamente i noiosissimi rituali plutocrarici delle loro magioni americane e iniziarono a spassarsela per tutto il mondo: le loro scenografie non erano più solo le grandi sale da pranzo degli hotel newyorkesi o le feste nei grandi giardini delle ville estive del Rhode Island, ma Le spiagge di Acapulco o di Ravello, i Casino' della Costa Azzurra, i ristoranti parigini o i bar di Via Veneto e i safari nel Kenia: si spostavano coi loro esclusivo jet privati da un capo all'altro del pianeta con un solo scopo : divertirsi. Era nato il Jet-Set, termine che ha tenuto banco fino ad anni abbastanza recenti ad indicare il bel mondo e i più influenti personaggi della bella vita.
Poi, nell'arco di una piccolissima manciata di anni, il dilogare spaventoso di Internet ha letteralmente stravolto ogni codice pregresso, e la mondanità si è rapidissimamente travasata dal Jet Set ai Social: oggi chi "fa mondanità" non sono più tanto i membri delle grandi dinastie ma coloro che hanno influenza sui nuovi mezzi di comunicazione di massa, gli Influencers.
Oggi sono loro a decretare il successo o il declino di una meta turistica o di un ristorante, di un evento mondano o di uno stile di vita.
Ieri sera in Cittadella degli Archivi abbiamo ospitato la preview, ossia una anteprima riservata, della mostra Miracolo a Milano, in cui una delle più belle voci della musica italiana, Nina Zilli, assieme ad uno dei volti più noti della radio italiana, Alvin, si sono cimentati nella loro passione per l'arte contemporanea assieme ad un grande veterano della street art, RaptuZ.
La mostra apre al pubblico proprio oggi: il titolo è un chiaro omaggio al grande De Sica in quella Milano del dopoguerra un po' fumettistica, povera e sognatrice che vede gli abitanti di una baraccopoli volare con le scope sopra al Duomo: tutto è possibile in una città grande, se è una grande città. E in effetti la mostra omaggia la Milano di oggi in alcune delle sue declinazioni più POP e caratteristiche ma con un indiscusso amore ad una città che va ri-scelta ogni giorno tra mille difficoltà e altrettanti sogni. Del resto, come scriveva MacInerney, "la religione della città è scambiare continuamente ciò che si ha per qualcosa di nuovo".
La scelta di ospitare questa mostra nei nostri spazi nasce, oltre che dalla consueta filologica connessione con Milano, prevalentemente dalla convinzione che un luogo pubblico istituzionale sopratutto quando è periferico debba irradiare la propria presenza attraverso la più vasta offerta possibile di momenti di espressione e di aggregazione.
In questo caso con un valore aggiunto che potrebbe sembrare banale ma che non lo è per nulla: durante la preview mi sono stati presentati gli amici degli artisti, volti noti dello spettacolo, della radio e dello sport tutti con una caratteristica comune, che è una enorme influenza sui Social.
Tornato a casa ho fatto due conti nemmeno troppo approssimativi guardando i loro profili Instagram: le persone presenti in Cittadella ieri sera sono seguite complessivamente da oltre 6 milioni di persone, alle quali hanno mostrato attraverso post e storie le opere in mostra, i nostri edifici e spazi e i nostri archivi.
È come se 6 milioni di persone fossero passate in Cittadella in una sola sera. Si può un po' dileggiare questi mezzi di comunicazione e anche a buona ragione, e anche provare un certo disappunto per come spesso riducano in poltiglia liofilizzata la realtà o la mistifichino completamente, ma non se ne può assolutamente negare di contro lo straordinario potenziale, il quale per definizione è buono o cattivo a seconda dell'uso che se ne fa.
Se è vero che una Istituzione culturale stimata può dare un indiscutibile imprimatur di legittimazione a tutti, personaggi dello spettacolo che si affacciano al mondo dell'arte compresi, è altrettanto innegabile il patrimonio di attenzione che queste persone sono in grado di riversare su quella istituzione e sul quartiere che la ospita.
Personalmente, ma qui ammetto di scrivere non senza una certa soddisfazione per nulla imparziale, mi ha particolarmente emozionato vedere li presenti personaggi così famosi anche se così diversi e distanti dalla realtà di un archivio: l'ho ritenuto e lo ritengo un segno indiretto ma indiscutibile di riconoscimento, almeno quanto sono certo che aver incrociato, anche se solo per una sera, una realtà culturale come Cittadella abbia lasciato un segno positivo in ciascuno di loro.
Una conferma ulteriore, io credo, che si possa fare Pubblica Amministrazione attraverso la contaminazione, e che la costante apertura alle proposte che vengono dal di fuori di Essa non possano che giovarle, finendo peraltro per confermare che proprio il luogo pubblico ha in sé un enorme potenziale di irraggiamento al proprio attorno di ciò che di buono è in una città: come diceva Pericle di Atene, tutte le cose buone del mondo entrano dentro una città per la grandezza stessa di quella città.
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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