Quando il Leader non può morire: storie di medici e di agonie politiche
Mi ha davvero impressionato l’immagine di Silvio Berlusconi pubblicata oggi da Ansa dopo l’ennesimo ricovero in ospedale: in verità la foto risale all’uscita dal San Raffaele di qualche settimana fa, ma si vede il Presidente di Forza Italia incorniciato dal riquadro nero del finestrino della sua blindatissima Audi mentre cela dietro a un sorriso di circostanza tutta la sofferenza dell’ultimo periodo, con il volto reso quasi irriconoscibile dal gonfiore rossastro e tonicamente artefatto del cortisone. L’eredità in ballo è pesantissima: un patrimonio immenso, aziende con migliaia di dipendenti, una famiglia numerosissima e certamente non priva di equilibri patrimoniali delicatissimi, e soprattutto il lascito politico di un partito che, benchè lontano dai consensi da primato nazionale di qualche anno fa, rimane pur sempre indispensabile alla maggioranza di Governo e il cui pressochè sicuro dissolvimento alla morte del suo fondatore rimane una incognita che non lascia del tutto tranquilli. Insomma ci sarebbero fior di motivi per prolungare il più possibile la vita terrena del Cavaliere, ed in effetti quella foto mi ha lasciato proprio questa impressione, e cioè di una vita stiracchiata come il poco burro su troppo pane, di una agonia “gestita” e prolungata perché Berlusconi è ancora troppo ingombrante per morire e la sua eredità troppo pesante da gestire, anche se in TV non mancano fiori di trasmissioni che già gli preparano da settimane il famoso “coccodrillo” (non quello di Cattelan ma quello giornalistico, e cioè i servizi di compianto per i trapassati di gran fama).
A me, che trovo la malattia e la sofferenza fisica il peggiore dei castighi, l’idea del dolore prolungato contro al fisiologico spegnersi della vita per ragioni di interessi, fossero anche dei più alti, fa venire la pelle d’oca, e Dio mi scampi dal dovermici trovare un domani. Eppure questo fatto non è assolutamente insolito nella storia, anzi gli esempi di vite strascinate oltre le leggi della fisica con conseguente strazio dei poveri malati illustri è diffusissimo: per secoli Faraoni, Imperatori, Re, Papi e Dittatori vari sono stati sottoposti e strazianti salassi ed estenuanti purghe da stregoni e pseudo medici la cui stessa vita era scommessa sul piatto di qualche oretta in più di agonia del povero sovrano malcapitato. Faide familiari, equilibri di potere, contingenze storiche, politiche, religiose o semplicemente la necessità di sopravvivenza di una classe dirigente attorno al proprio leader hanno imposto alla medicina di superare i confini di sé stessa per rimandare anche solo di pochi giorni l’inevitabile, vizio genetico della gestione del potere.
Ogni Capo che abbia regnato troppo energicamente e troppo a lungo, crea in chi gli sta intorno un timore raggelante del dopo trapasso che porta a prolungarne il ruolo pubblico oltre la sopportazione fisica: il Re Sole venne scorrazzato su una assurda sdraio-carrozzella per tutti gli ultimi anni del suo lunghissimo regno, gravato di ogni malattia conosciuta dall’uomo e perennemente bardato a lutto avendo seppellito la quasi totalità dei suoi eredi. Una sorta di nemesi della storia, dato che 50 anni prima una lunga agonia fatta di purghe e salassi toccò al potentissimo Cardinale Mazzarino, tenuto in vita dai parenti fino a che il futuro Re Sole non rinunciò ad incamerare l’enorme ricchezza del porporato lasciandola ai legittimi eredi. La Regina Vittoria morì vecchia obesa e claudicante soffocata da banchetti infinti e cerimonie strazianti, e non ha fatto eccezione la Regina Elisabetta dato che non è sopravvissuta nemmeno un mese alle celebrazioni interminabili per i suoi 70 anni di regno, entrambe forse timorose di cedere lo scettro al proprio figlio ormai anziano e forse ritenuto poco adatto al compito.
Ma è indiscutibile che le vette più inarrivabili della conservazione sottovuoto del leader spettino di diritto al vecchio mondo comunista: il corpo di Mao Tse Tung è praticamente vissuto sotto formalina per gli ultimi anni del suo potere, e la mummificazione in vita del Capo e del suo entourage nella vecchia URRS non ha eguali. Durante le ultime visite di Stato con Giscard D’Estaing e Honecker, si vede il gran capo dell’URSS Leonid Breznev muoversi come un automa con carica a molla attorniato dalla infinita sequela dei geronti del Partito che a mala pena si reggevano in piedi, tutti dotati di spessissimi occhiali da vista e di vistosissimi apparecchi acustici. E come raccontava Demetrio Volcic, uno dei tentativi di far fuori Garbacev fallì perche’ nella medesima notte del Colpo di Stato alle tre il Ministro degli Esteri e alle cinque il Primo Ministro Pavlov finirono in ospedale perché troppo vecchi e in preda ad attacchi di cirrosi per abuso di vodka. E credo che in molti si ricorderanno Borsi Eltsin completamente ubriaco e barcollante in moltissime delle sue ultime apparizioni pubbliche: eppure a nessuno in Russia sarebbe venuto in mente di mettere in discussione il Capo.
Del resto fino allo straordinario sdoganamento mediatico della malattia operato da Giovanni Paolo II e poi dalle clamorose dimissioni di Benedetto XVI anche nella Chiesa Cattolica la malattia del Papa era un tabù da tenere nascosto a pena di scomunica ufficiale: il rappresentante di Cristo in terra era felicemente e lucidamente regnante fino all’ultimo respiro quasi per Dogma. E siamo oggi agli Stati Uniti che in netta controtendenza con la loro storia, che ha sempre strabiliato il mondo per la gioventù dei suoi leaders, si ritrova a ricandidare un 84enne che di certo non ha dimostrato di godere di forma smagliante e il cui naturale avversario è un 77enne sotto inchiesta: per la prima volta nella sua storia l’America ricorda l’URSS, e in fondo anche noi italiani abbiamo costretto Presidenti ottuagenari a prolungare i loro mandati nella incapacità della politica di trovare successori più giovani. Insomma, quando la situazione si cancrenizza e si temono le conseguenze della novità, si cerca in ogni modo di mantenere in vita lo Statu Quo: come ben diceva Andreotti, tirare a campare è sempre meglio che tirare le cuoia.
Non si può del resto ignorare che allo stesso modo ed esattamente all’opposto, moltissime altre volte alla medicina è stato imposto di accelerare la dipartita dei grandi capi: l’avvelenamento è stato per secoli il più diffuso sistema di “spoil system” conosciuto dall’uomo per sostituire un capo e il suo cerchio magico con un altro. Il terrore degli avvelenamenti o il ricorso agli stessi è stato per secoli caratteristica delle corti italiane: dai Visconti Sforza ai Borgia, in nessuna corte mancavano temerari assaggiatori di cibi e bevande così come illustri membri della Casata che si dilettavano con perizia nella creazione di veleni e antidoti. Al di là della leggenda nera della ben nota Lucrezia Borgia, il veleno che forse uccise il capostipite Gian Galeazzo Visconti spalancò la strada del potere a Ludovico il Moro (ne morirono il fratello Galeazzo Maria Sforza ed il figliolo di lui Gian Galeazzo), almeno quanto prolungò quella del nonno Filippo Maria Visconti; e la cosa ha tenuto banco fino ai giorni nostri, se ancor oggi il Presidente degli Stati Uniti ha dei chimici che testano le sue pietanze. Del resto negli anni ’60 la CIA aveva tentato di avvelenare gli anfibi di Fidel Castro, e questo timore di crepare avvelenato dai vestiti aveva portato a conclamata paranoia anche il dittatore rumeno Ceausescu: il Genio dei Carpazi, come amava farsi chiamare, faceva sigillare ermeticamente ogni abito dal suo sarto e lo gettava via dopo averlo indossato una sola volta onde evitare rischi da avvelenamento tessile.
(La foto del professor Martelli è di Daniele Mascolo)
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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