Quaresima: lacerare il cuore e non le vesti!
“…Il diavolo combatte con Dio e il campo di battaglia è il cuore dell’uomo”. È l’intima convinzione di Fëdor Dostoevskij contenuta nel suo ultimo romanzo, i Fratelli Karamazov, vero e proprio capolavoro della letteratura di ogni tempo. Certo l’uomo non è uno spettatore passivo di questa epica guerra, ma deve schierarsi, come sottolinea anche san Paolo nella lettera agli Efesini: “Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove” (Ef, 6, 13).
La Quaresima è un tempo benefico, salutare, perché ci ricorda anzitutto che il male è un subdolo compagno di viaggio che ci abbandonerà soltanto quando esaleremo l’ultimo respiro; che è necessario essere sempre vigilanti, pronti a vagliare, discernere, soppesare scelte, relazioni, stili di vita, modi di ragionare affinché siano sempre conformi a Cristo e al suo Vangelo; che le tentazioni sono accattivanti, facilmente abbordabili, apparentemente piacevoli, immediatamente fruibili, “sensate” secondo la logica del mondo.
Siamo, dunque, un campo di battaglia! Sostenuti da Dio e dalla sua grazia, dobbiamo difendere con le unghie e con i denti la nostra autenticità, la nostra innocenza, lo splendore della verità della nostra umanità (che è bellezza che incanta), l’amore gratuito, oblativo, che Gesù ci consegna dall’alto della Croce.
Allora comprendiamo l’invito di Gioele a lacerare il cuore e non le vesti! Il cuore, per la Sacra Scrittura, è la sede delle passioni, dei sentimenti, della volontà, dei desideri.
Lacerare il cuore significa compiere un profondo lavoro interiore che parte prima di tutto da una accurata conoscenza di sé stessi: se non conosco esattamente la mia malattia come posso curarmi? Lacerare il cuore comporta dare un ordine alla propria giornata con tempi di preghiera e di meditazione della Parola precisi: il “va’ dove ti porta il cuore” è assai dannoso per la vita spirituale (preghiera). Lacerare il cuore richiede di imparare a vivere con libertà il rapporto con cose o persone che incatenano così tanto a loro da creare schiavitù, dipendenza (digiuno). Lacerare il cuore impone di essere maggiormente riflessivi, meno superficiali e istintivi, domandandosi se certi atteggiamenti sono nel segno dell’egoismo o dell’amore, della rivalsa o della misericordia, del piacere fine a sé stesso o dell’offerta di sé. Lacerare il cuore esige di accogliere il fratello così com’è, con i suoi pregi e difetti, con le sue fragilità e le sue necessità, con la sua diversità di pensiero o di azione: non siamo il centro del mondo, non siamo i detentori della verità, non siamo perfetti e intoccabili nella nostra umanità. La relazione con l’altro, soprattutto se povero, emarginato sfruttato o indifeso, ci impone continuamente una revisione interiore, un ripensamento del nostro modo di rapportarci e di agire, di consumare e di condividere! (carità)
Lacerare il cuore, infine, significa svestirsi dall’orgoglio, dalla presunzione di bastare a sé stessi sempre e comunque, dalla convinzione di potercela fare con le proprie forze: restiamo sempre esseri fragili, incoerenti, facilmente azzoppabili…
In ultima analisi lacerare il cuore vuol dire accogliere l’invito di Paolo contenuto nella seconda lettura: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”. È davvero straordinario il nostro Dio: egli continua a cercarci, brama ansiosamente di riconciliarsi con noi, gli basta solo un nostro cenno per correrci incontro, abbracciarci, rivestirci dell’abito nuovo e fare festa.
La Quaresima, lungi dall’essere un periodo cupo, mortificante, triste, fatto solo di rinunce e impegni gravosi, è il tempo della gratitudine e della riconoscenza perché ci pone dinanzi agli occhi la Croce gloriosa di Cristo, la sua offerta d’amore che ci ha ridonato la libertà perduta con il peccato.
La Quaresima grida al nostro cuore il grande “sì” di Dio all’umanità, la sua splendida ed eterna dichiarazione d’amore. Se partiamo da qui, dal dono che continuamente riceviamo da Dio, l’impegno quaresimale non sarà più un peso, un obbligo, una serie di precetti “ormai superati”, ma una vera e propria necessità. Una preghiera più fervorosa e una meditazione più seria della Parola, la rinuncia a tutto ciò che ci imprigiona al nostro io e al nostro piacere egoistico, l’uscire da sé per andare incontro agli altri per prendersi cura di loro non saranno azioni imposte, estranee alla nostra coscienza, compiute per compiacere e compiacersi, ma saranno il modo più naturale e logico di chi ha scoperto di essere immerso nell’amore di Dio e ha compreso quanto è bella la Croce di Gesù, strumento non di morte, ma di vita, non di sofferenza ma di liberazione, non di annientamento di ma valorizzazione piena della dignità e della libertà dell’uomo. “In hoc signo vinces”!
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