12 febbraio 2023

Quel di più della legge che ci insegna ad amare

A che serve ostentare serenità e mitezza se nel cuore coviamo continuamente rabbia e livore? Perché mostrarci sorridenti e disponibili verso il prossimo quando, invece, proviamo disprezzo e risentimento? Le risposte potrebbero essere molteplici: “Per buona educazione”, “Per quieto vivere”, “Per salvare la faccia”, “Perché ho paura delle mie reazioni”, “Perché temo le conseguenze”.

Spesso noi fingiamo quello che non siamo soprattutto nel variopinto campo dei rapporti umani: c’è chi non sopporta la suocera che tutte le domeniche offre il pranzo condendo le pietanze con perfide osservazioni, chi non tollera il datore di lavoro perché è un viscido sfruttatore, chi non regge il vicino che fa rumore fino a notte tarda… è indubbio che uno degli sport più praticati è fare “buon viso a cattivo gioco”.

Insomma dedichiamo tanto tempo ed energie per comportarci bene, per seguire le regole, per non oltrepassare certi limiti, per mantenere una buona nomea, ma il cuore è un gigantesco campo di battaglia dove, il più delle volte, hanno la meglio la cattiveria, il rancore, l’invidia, la malignità… la violenza. E così ci immaginiamo di infilzare con il coltello dell’arrosto la suocera, di malmenare il datore di lavoro o di assistere alla fine ingloriosa del nostro vicino. Pensieri che, se ci fermiamo un attimo, ci fanno rabbrividire portandoci ad esclamare: “Ma sono veramente io?”.

I “luoghi” dove le persone possono essere davvero sé stessi, spesso coperte dall’anonimato, sono i social media e infatti propri in questi “ambienti digitali” la perfidia e la meschinità raggiungono livelli inauditi pari, forse, a quelli delle folle assetate di sangue durante gli spettacoli tra gladiatori nella Roma imperiale. In quelle arene davvero usciva il peggio dell’uomo!

È per questi motivi che Gesù - l’unico che davvero conosce il cuore dell’uomo e sa che se non è contenuto può trasformarsi in un cavallo imbizzarrito – continua ad insistere non tanto sui comportamenti esteriori ma sugli atteggiamenti interiori, sulle motivazioni che muovono la persona, sui desideri e sulle scelte che modellano l’identità profonda di ciascuno.

A Cristo, cioè, non interessa che tu faccia il bravo e rispetti il fratello che incontri ogni giorno, ma che nell’intimo coltivi la mitezza e la misericordia; Lui non guarda se rispetti le leggi e se agisci onestamente ma se la tua coscienza sceglie sempre e solo la pace, la giustizia, l’equità; Lui non gioisce se non tradisci tua moglie o tuo marito, ma è veramente felice se hai imparato cos’è l’amore gratuito, oblativo, che rifugge ogni atteggiamento predatorio ed egoistico.

Attenzione! Gesù non abolisce la legge antica – Il Vangelo ci parla di lui come di un ebreo ligio ed osservante -, ma gli preme insegnarci “un di più”: la legge va osservata nell’ottica esclusiva dell’amore! La legge, cioè, deve mirare non semplicemente a normare la vita comunitaria, la libertà del singolo, il rispetto della dignità delle persone, ma deve aiutare a crescere nella relazione piena e matura verso Dio e i fratelli, a cesellare il cuore unicamente nell’amore. Se una legge non aiuta a fare questo allora è inutile, anzi serve solo a rendere più complicata la vita delle persone e, addirittura, a far credere loro che basta seguire determinate norme e precetti per potersi dichiarare “giusti”. Per questo motivo Gesù si scaglia contro il legalismo dei farisei che confidano di potersi salvare grazie ai loro 613 precetti. Questi uomini così ligi e sapienti hanno fondamentalmente due problemi: il primo è che hanno riposto la loro fiducia più nelle leggi che in Dio e il secondo è che questi precetti non solo non li hanno cambiati nell’intimo del loro animo, cioè non gli hanno permesso di amare di più, ma li hanno resi più arroganti, più altezzosi e, così pieni di disprezzo verso gli altri, miseri peccatori!

Allora, alla luce di quello che ci dice il Vangelo di questa domenica, non mi accontenterò di osservare i comandamenti, ma mi sforzerò di crescere nell’amore attraverso di essi, di convertire non tanto i gesti e i comportamenti, ma il cuore!

Dunque non mi basterà “non uccidere”, ma cercherò di vedere nel prossimo – in ogni prossimo - il volto del fratello da amare, rispettare, promuovere nel bene. Senza dimenticare che si possono uccidere le persone in tanti modi diversi: mettendole in cattiva luce, ignorandole come se non esistessero, umiliandole per i loro errori, soffocando la loro speranza di rinascita…

Non mi basterà semplicemente non aver tradito chi amo, ma mi eserciterò a guardare tutte le persone e le cose con occhi di meraviglia, di stupore, di gratitudine e non smaniando di potermi saziare della loro bellezza! Accoglierò, invece, la bellezza che mi circonda unicamente come riflesso della bellezza di Dio e più rispetterò quella bellezza più i miei occhi saranno capaci di penetrare il mistero della vita e il mio cuore di cantarlo!

Quando si trattò di presentare la regola della sua Congregazione, con la proverbiale serenità san Filippo Neri rispose deciso a papa Gregorio XIII: “Santità, per farsi obbedire bastano poche regole. Io ne ho scelto una sola: la carità”. Pippo buono – così era chiamato dal popolo questo gigante della fede della Roma barocca – con la sua sapienza del cuore aveva compreso l’essenziale! Quel di più che è il segreto del Vangelo!

 

Claudio Rasoli


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