Quel Dio tremendo e affascinante che ci conquista con la sua bellezza
La Quaresima è fatta anche di luoghi. E ogni luogo influenza il cuore dell’uomo, il suo pensiero, i suoi atteggiamenti anche le sue scelte. Domenica scorsa lo Spirito ci ha condotto nel deserto, un ambiente essenziale, dove non v’è altro che sabbia, rocce e qualche arbusto che resiste tenacemente all’arsura. Nel deserto non ci sono distrazioni, l’unico rumore è quello del vento che trascina la sabbia, l’unica compagnia è quella del sole che picchia martellante sulla testa. Il deserto è il luogo del combattimento, non solo contro una natura assai poco favorevole, ma contro sé stessi, perché in mezzo a quelle dune non c’è altro che l’uomo e la sua anima! Per una settimana siamo stati scaraventati nel deserto per capire chi siamo, cosa desideriamo, cosa significa per noi la libertà, qual è il nostro atteggiamento nei confronti del male, ma soprattutto se crediamo davvero di essere figli di Dio, cercati, amati, protetti.
Il deserto ci ha immersi in una dimensione penitenziale che non ha nulla a che fare con la tristezza e la malinconia, ma, al contrario, con la gioia perché la meta finale è la liberazione da tutte quelle schiavitù che incatenato l’amore e non gli permettono di esprimersi in pienezza con Dio e con i fratelli.
Questa domenica ci ritroviamo su un alto monte. L’allusione è al Sinai – Matteo scrive per dei giudei convertiti e richiama continuamente la storia dell’antico Israele -, all’esperienza mistica in cui è coinvolto Mosè e che si concluderà con la consegna delle tavole della legge. Le dieci parole vergate dal dito di Dio sulla pietra ora lasciamo il posto a Gesù: è Lui l’ultima e definitiva Parola di Dio, avvalorata anche dalla testimonianza eccelsa di Mosè e di Pietro.
Gesù offre ai suoi discepoli prediletti – Pietro, Giacomo e Giovanni - un assaggio della sua divinità così che abbiano la forza di sopportare la sua cattura, la sua umiliazione nella passione e la sua morte in Croce. E come se gli dicesse: “Per essere davvero trasfigurato nella gloria di Dio io devo essere sfigurato dalla crudeltà dell’uomo, devo amare fino a diventare irriconoscibile”. D’altra parte è lui stesso a dirci che solo se il seme muore porta frutto, solo perdendo la propria vita la si ritrova, solo amando si può davvero cambiare il mondo!
I discepoli vivono un intenso e sublime momento di vita spirituale: assaporano lo splendore del volto di Dio, spalancano gli occhi su quella bellezza perfetta che hanno sempre inseguito nella loro vita e che è l’unica realtà che accende il desiderio e spinge l’uomo a vivere in pienezza, a sopportare le traversie e a formulare progetti!
Gli apostoli, come tutti gli uomini, sono cercatori di bellezza! Un corpo umano perfetto, il mare che all’alba sorge dal mare, una catena montuosa innevata che si staglia nel blu del cielo, un fiore delicato dai colori vivaci sono il riflesso, certamente incompleto ma comunque evocativo, della bellezza eterna di Dio. Pietro rimane incantato perché finalmente ha trovato quello che il suo cuore ha sempre cercato e vorrebbe che quel momento non finisse mai!
Quante volte anche noi abbiamo fatto esperienza di questa bellezza: una preghiera particolarmente intensa, una testimonianza di vita cristiana estremamente toccate, un ritiro ben predicato, degli esercizi spirituali assai coinvolgenti, un’esperienza di carità che ha permesso di vedere Dio nei fratelli… Tutte realtà che hanno lasciato un segno indelebili del cuore e che parlano di Dio, della sua sapienza nel condurre a lui, del suo amore che non ha confini…
Poi però arriva il momento di scendere a valle, di confrontarsi con la propria quotidiana, con quella routine che uccide ogni entusiasmo, che mortifica ogni promessa di coerenza e di fedeltà. Ci ritroviamo tristi e umiliati perché la preghiera è distratta, affrettata, limitata al movimento delle labbra e non del cuore. Soprattutto la preghiera non dà niente in cambio, non fa assaporare nessuna consolazione, nessuna bellezza. Tutto è arido e silenzioso, sembra di essere tornati nel deserto!
Allora i momenti forti, quelli spiritualmente intensi, devono diventare un memoriale, una sorta di riserva da attingere proprio nei tempi di carestia interiore quando tutto sembra dire che Dio è lontano, indifferente e sordo!
Eppure è proprio in questi momenti di “sconfitta” occorre non perdere la costanza della preghiera! Il nostro dialogo con Dio, infatti, non deve essere mosso dalla speranza di consolazioni divine – troppo comodo pregare quando tutto va bene e quando si riceve qualcosa in cambio! -, ma dalla pura fede, da una obbedienza granitica che si fonda proprio sui quei memoriali che dicono che Dio c’è, sempre! E se per caso appare muto e indifferenze è perché ci sta chiedendo di fare un passo in avanti nella nostra vita spirituale, di lottare con noi stessi: non possiamo mai accontentarci di quello che siamo e di quanto abbiamo appreso di Dio. Egli resta sempre “tremendo e fascinoso”, sempre conoscibile e inconoscibile, manifesto e misterioso, afferrabile e inarrivabile. Dio è Gesù che ci tocca con la sua mano delicata e ci dice di non temere così come la nube luminosa che tutto rende opaco, la voce potente che atterra l’uomo, così fragile e così piccolo!
Per questo Dio continua a stupirci perché è prossimo e fuggevole: è il fragile pargolo tra le braccia di Maria ma anche il Creatore Onnipotente del cielo e della terra, l’uomo dei dolori che ben conosce il patire e allo stesso tempo il Pantocratore che tutti giudicherà alla fine dei tempi.
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